giovedì 24 maggio 2012

ALDO CAZZULLO, IL CORSERA, UNA RETORICA CHE STORDISCE


L'altro giorno parlavo del tipo di industria che nel nostro paese non fallisce mai: quella della retorica.
Un esempio lo troviamo oggi nell'articolo di Aldo Cazzullo in prima pagina sul Corsera.
Lo riporto:

IL PAESE E L’EMERGENZA CRIMINALE
Una memoria che costruisce

La condanna dell’eterno ritorno, che condiziona la vita pubblica italiana, sembra trovare una conferma nel ventennale della morte di Falcone e Borsellino. Il Paese appare sospeso tra un passato destinato a ripetersi e un futuro che non arriva. E in effetti qualche punto in comune con il biennio ’92-’93 c’è: una crisi economico- finanziaria, un governo tecnico sostenuto da partiti in grave difficoltà, un passaggio di stagione politica, e fiammate di violenza che il procuratore nazionale antimafia Grasso definisce non senza ragione «terrorismo puro».
In realtà, non siamo tornati al punto di partenza. Come dice il presidente Napolitano, «siamo molto più forti di allora». Qualcosa in questi vent’anni è accaduto. Non soltanto i capimafia che parevano inafferrabili sono stati catturati e condannati, i loro patrimoni sequestrati, le loro terre affidate a giovani volontari. La società italiana, compresa quella del Sud, ha sviluppato anticorpi che combattono la patologia mafiosa. Le imprese siciliane hanno espresso un uomo come Ivan Lo Bello, che ha fatto della battaglia contro il racket e per la legalità il primo punto della sua agenda. Il movimento per la liberazione dal pizzo avanza sui passi coraggiosi di piccoli commercianti, artigiani, sacerdoti. Nei feudi della mafia, della camorra, della ’ndrangheta è cresciuta una generazione non più disposta ad accettare le angherie, le complicità, i silenzi. È la generazione colpita a Brindisi, qualunque sia la matrice dell’attentato. Adesso è importante che i Lo Bello, i commercianti antipizzo, i giovani come le amiche strette attorno alla bara bianca di Melissa Bassi non siano lasciati soli, come furono lasciati soli Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un dovere che ci riguarda e ci impegna; tanto quanto il dovere — ribadito ieri dal premier Monti — di fare luce definitiva sulle stragi del ’92.
In questi vent’anni si è affermata un’idea-chiave: le mafie non sono un problema esclusivo del Sud. Sono una questione italiana, e non soltanto perché investono e corrompono pure al Nord. Anche nell’ora in cui i sentimenti più diffusi appaiono il malumore, la rabbia, lo sconforto, sta crescendo un’Italia che resiste e che riparte. «L’Italia che ce la fa», come l’ha definita il Corriere tre anni or sono. Un Paese perbene, impegnato a uscire dalla crisi ma che non esaurisce le sue energie nel lavoro in azienda e in famiglia, animato da uno spirito civico emerso nella straordinaria reazione popolare alla barbarie di Brindisi, e anche nelle ultime Amministrative, in cui — accanto a un preoccupante astensionismo e a esempi inaccettabili di violenza verbale — si sono viste nuove forme di partecipazione. Un Paese consapevole che la lotta alla mafia e la resistenza alla crisi sono un’azione comune, a prescindere dalle appartenenze geografiche e politiche. Per questo la testimonianza di Falcone e Borsellino chiama in causa tutti: la politica, che non può rinviare ancora le riforme necessarie, a cominciare dalla legge anticorruzione; noi stessi, che vent’anni fa accogliemmo la notizia della strage di Capaci con incredulità e sgomento; i nostri figli e nipoti, che non c’erano o non avevano l’età per ricordare. La memoria del sacrificio dei due magistrati simbolo della lotta alla mafia oggi è radicata, in un Paese cui la memoria talora ha fatto difetto. Non è un dato acquisito per sempre, è una base per conquistare la coscienza che il passato non si ripresenta mai allo stesso modo, e che il futuro sta arrivando. In quali forme, dipende innanzitutto da noi.

Ecco, un pezzo così io lo posso giustificare solo pensando che si senta il bisogno di spendere parole di fiducia, e con questo far credere ciò che sarebbe bello che fosse anziché quello che è.
La gente in piazza, le persone attorno alle bare in Italia non mancano mai. Come bene ha scritto l'anonima ragazza nel suo cartello sopra riportato, gli italiani si uniscono solo quando qualcuno muore. Secondo me lo facciamo anche per esorcizzare la paura. Il giorno in cui scoppiasse una bomba e facesse una strage in occasione di una manifestazione o sul sagrato di una Chiesa durante un funerale, allora potremmo misurare in un altro modo il valore delle persone che, DOPO fatti del genere, trovassero ancora la motivazione ad "esserci".
A Mesagne, per Melissa, c'erano 10.000 persone. Tante? Forse no.
A scuola di Melissa metà studenti non hanno ripreso le lezioni. Hanno paura, o ce l'hanno i loro genitori. 
Il dopo Brindisi è stato un bailamme indegno di dichiarazioni di ogni genere da parte di chiunque avesse a portata di voce un microfono. DI concreto, gli inquirenti, dopo 5 giorni, non hanno nulla. Nemmeno una rivendicazione.
Anzi, ci sarebbe stata una telefonata di un sedicente portavoce della Sacra Corona che avrebbe comunicato che l'avrebbero trovato loro l'assassino, tanto per dimostrare: A) che loro certe cose NON le fanno (uccidere ragazze innocenti) B) che si sentono più efficienti dello Stato.
E' vero che molti boss della criminalità organizzata sono stati arrestati ultimamente, unico fiore all'occhiello del governo Berlusconi, al quale però nemmeno di questo si vuole dare atto. Un successo ottenuto, secondo il Direttore dell'Antimafia, il giudice Grasso, grazie all'emanazione di quelle norme suggerite a suo tempo da Falcone e che solo 15 anni dopo hanno trovato approvazione nel Parlamento. 
Infine, nei ricordi di Falcone e Borsellino, un dato emerge su tutti: gli eroi di oggi, furono avversati IERI. Soprattutto il primo. E da TUTTI: Colleghi, Giornalisti, Politici e anche cittadini (paurosi e infastiditi).
Certo, ci furono anche giovani magistrati  che sull'onda dell'emozione del martirio chiesero di essere trasferiti in Sicilia. Dopo 20 anni, tutte le sedi giudiziarie del Sud sono sotto organico. 
Oggi sono stato rimproverato per aver biasimato la retorica dei cartelli e delle magliette indossate dai ragazzi di Brindisi con su scritto "e ora ammazzateci tutti". I giovani hanno diritto a enfatizzare le loro emozioni.
Forse è vero.
Aldo Cazzullo però giovane non è, e tanta melensaggine infondata poteva evitarla. 

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