lunedì 16 maggio 2016

SE ANCHE PER SUSANNA TAMARO IL FISCO E' BRUTTO

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Francamente citare Susanna Tamara come possibile bandiera del partito anti tasse mi suona strano, però, dopo aver letto la sua lunga riflessione sul Corsera di oggi, ritengo utile darle spazio sul blog.
Non leggo i suoi libri ( un titolo come "va dove ti porta il cuore" ha un effetto assolutamente refrattario su di me) , però so che è scrittrice di successo e si esprime con facilità e chiarezza.
Qualità che ritrovo nel suo sfogo contro la fiscalità italiana, pubblicato nel giorno in cui appare anche la notizia della querela per diffamazione che l'agenzia delle entrate ha presentato contro  quelli delle Iene, rei di aver riportato le denunce dei contribuenti italiani contro atteggiamenti vessatori quando non persecutori e demenziali del nostro fisco.
La cosa particolare di questo articolo, di fondo, è che non è scritto da una persona idealmente anti stato e anti tassazione, come per esempio gli amici del coraggioso Tea Party italiano (coraggioso perché battersi contro l'invadenza statale e predicare una ideologia spintamente liberista in un paese infarcito di catto comunismo come il nostro non è affatto facile) , ma da una persona comune, ancorché nota.
Ed è significativo, a mio parere, la scoperta della voracità fiscale quando la vita prende una svolta e la Tamaro, da persona costretta a barcamenarsi nella precarietà economica, diventa un'autrice di successo con lauti quanto meritati guadagni.
Ecco, a questo punto si accorge, cosa che prima magari non avveniva, che pagare le tasse mica è tanto bello se ti tolgono oltre il 50% di quanto ti sei faticosamente guadagnato, oltre ai costi che devi sostenere per cercare di essere in regola - spese del commercialista, le decine e decine di adempimenti richiesti nel corso dell'anno e così via.
E infine la chiosa finale assimilabile ad un luogo comune, inteso come verità ripetuta fino alla nausea, ma non per questo non vera, e che si concretizza in una domanda : dove vanno a finire tutti questi soldi ?
Dove i servizi da Europa del Nord, visto che la pressione fiscale ha raggiunto, quando non superato, quei livelli ?
Inevitabile il rimpianto di tutti i propri soldi finiti nel ventre avido e insaziabile di uno Stato che "tutto divora e davvero poco è capace di offrire" 
Buona Lettura


Il Corriere della Sera - Digital Edition

 Pagare le tasse è civile, non bello

di Susanna Tamaro

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Diciamo subito: pagare le tasse è civile. Ma non è bello. Soprattutto perché non si capisce dove va a finire questo denaro: ci sono 700 scadenze l’anno. È possibile?

«Pagare le tasse è bello!» ha affermato tempo fa il nostro ministro dell’Economia. È davvero bello pagare le tasse? E se lo è, in che cosa si manifesta questa bellezza? Ho quarant’anni di contributi alle spalle e in questi quattro decenni ho avuto la straordinaria — e rara — fortuna di passare da una condizione di precaria nullatenenza ad un’altra di grande abbondanza. Forse proprio per questo sono in grado di fare alcune riflessioni su questo lato della nostra vita civile. Il mondo in cui sono cresciuta e l’inclinazione etica del mio animo mi portano ad essere una persona profondamente devota alla legalità. Non ho mai preso una multa guidando la macchina, non ho mai scansato una tassa, neppure la più piccola, la più assurda. Chi era adulto negli anni 80 si ricorderà che, ad un certo punto, ci venne chiesta la tassa sul medico di famiglia. All’epoca, sopravvivevo con lavori di totale precarietà e dunque quella cifra — centomila lire! — era per me spaventosa, ma purtroppo, per questo terribile istinto pavloviano di onestà, corsi a pagarla. Dico purtroppo perché, poco dopo, la tassa venne cancellata — quasi nessuno infatti onorò l’ingiunzione — senza peraltro venir restituita ai pochi ingenui onesti che avevano obbedito. Cambio di anni e cambio di scenario. Metà anni 90, guadagno cifre ingenti con «Va’ dove ti porta il cuore», pago — giustamente — ingentissime tasse, rifiutando di prendere le scorciatoie consentite allora dalla contraddittorietà e dalla compiacenza delle leggi, quali castelletti, scatole cinesi, fittizie residenze in paradisi fiscali. Comunque, il governo di quegli anni — un governo di sinistra — ha pensato che non fosse abbastanza. Era una vera vergogna poter guadagnare così tanto con la cultura e così venne fatta una legge ad hoc sui best seller — potevano chiamarla tranquillamente legge Tamaro — che mi costrinse ad un ulteriore gravosissimo esborso. Credo di essere stata l’unica persona a pagarla, anche perché dopo solo sei mesi, per l’imbarazzo e la vergogna, la legge venne cancellata. Inutile dire che i soldi non mi sono stati restituiti.

Pagare le tasse è bello? Continuiamo nel nostro percorso. Arriva l’euro, che dimezza a tradimento la capacità di acquisto degli italiani. E, otto anni dopo, inizia anche la crisi che, in poco tempo, taglia le gambe alla maggior parte dei cittadini onesti, quelli che dichiarano i loro guadagni, che esistono fiscalmente, non quelli che galleggiano nel felice limbo dell’illegalità e continuano imperterriti a farlo. Sono gli anni in cui chi ha avuto l’infausta idea di intraprendere un’attività si trova improvvisamente con le spalle al muro, stretto tra il cambiamento economico e un moloch di leggi fiscali che manifesta il suo esistere attraverso una sola via — quella della persecuzione.

Quello che ho capito in questi anni, vedendo tante persone perbene andare in rovina, è che in questo Paese puoi aprire un’attività soltanto se hai le spalle coperte da beni di famiglia o da altre — e magari più ambigue — coperture. Se ti affidi alle tue sole forze, se sei convinto che questo sia un Paese libero in cui agli onesti e volonterosi sia data la possibilità di cambiare condizione, sei un povero illuso.
Basta un inciampo anche minimo e cadi a terra. E da quel suolo nessuno più verrà a risollevarti, anzi. Una mia amica che aveva una rosticceria, si è trovata le fognature della strada davanti al negozio spalancate per molti mesi, per interminabili lavori comunali. Grazie a questi effluvi, la clientela si è volatilizzata. Ma non lo hanno fatto le banche, non gli studi di settore che esigevano ovviamente un guadagno molto più alto e non accettavano il dato di fatto.

Il mondo dei fallimenti e delle gestioni fallimentari è un universo sinistro di cui forse si parla troppo poco e su cui sarebbe importante fare un po’ di luce. Dopo la vendita dei beni, degli arredi, della merce, del computer, ecco che arriva Equitalia e, con il suo ingresso, la vicenda entra nel mondo del surreale. Di mese in mese, di anno in anno, le more si moltiplicano in modo esponenziale trasformando rapidamente la cifra iniziale in quella dei fantastiliardi di Paperon de’ Paperoni. Fantastiliardi che, come quelli del mitico deposito, resteranno sempre nel mondo dell’immaginario. A questo punto, dato che gli esausti debitori non saranno mai in grado di onorarli, iniziano i pignoramenti, roba davvero da leccarsi i baffi: un vecchio televisore, la Panda sfondata, le mura della camera da letto in cui si vive, il libretto con sopra nove euro del vecchio padre invalido. Queste operazioni di recupero vengono fatte con zelo ammirevole, zelo che sarebbe bello vedere in azione in altri settori dello Stato. Questi fantastiliardi, purtroppo, non si volatilizzeranno alla morte dei debitori ma, come le maledizioni bibliche, ricadranno sulle spalle dei figli i quali già sanno che è inutile studiare, darsi da fare, cercare di migliorare la loro condizione perché una spada — anzi, una ghigliottina! — di Damocle penderà per sempre sulle loro teste. Continuando di questo passo, rischiamo di trovarci in una situazione non diversa da quella dell’India dove i bambini vengono venduti alle fabbriche di mattoni per pagare i debiti contratti dai nonni.

Pagare le tasse è bello? Perché sia bello ancora non ci è chiaro, mentre è abbastanza chiaro che per molte persone è ormai impossibile. Ed è anche chiaro che molte, moltissime altre non hanno neppure mai preso in considerazione di farlo. Siamo il quinto Paese al mondo per pressione fiscale, con un’evasione che raggiunge il 38 % delle imposte. Dunque il peso delle persone disoneste ricade sulle spalle di quelle oneste, e il sistema persecutorio ci mette del suo, accanendosi sulle medesime inermi spalle.

Funziona questo sistema? I dati non sono confortanti: dei settecento miliardi di debiti che l’Agenzia delle Entrate ha dato compito di recuperare ad Equitalia ne sono stati incassati finora dieci. Mancano all’appello seicentonovanta miliardi. Continuando con questo sistema — pignorando cioè vecchie auto, televisori e libretti di risparmio dei poveri — per riuscire a pareggiare i conti dovremmo aspettare un’altra era geologica, quando la terra probabilmente sarà dominata dagli alieni o da dei ratti giganti che avranno preso il nostro posto.

Lo stato debitorio di gran parte della popolazione ci trasforma in un Paese inerte, depresso, vittima di una passività di sopravvivenza che certo non giova alla tanto vagheggiata ripresa. «Stiamo qui, attenti a non respirare troppo, perché se respiri troppo, Equitalia ci porta via anche il respiro» mi ha confessato un giorno una madre di famiglia a cui da poco era stata sequestrata — pistola in mano come fosse una camorrista — una vecchia utilitaria sfondata, ultimo bene posseduto.

Pagare le tasse è bello? Abbiamo settecento scadenze all’anno, tre per ogni giorno lavorativo. «Saltare» uno di questi appuntamenti può voler dire scivolare rapidamente nel mondo dei reietti e, anche se si riesce miracolosamente a restare a galla, noi onesti avremo sempre il fiato dello Stato sul collo perché non riesce a credere alla nostra rettitudine e, pur di trovare il dolo nascosto, è pronto ad usare ogni mezzo. Dopo sei mesi di implacabili controlli una mia amica impiegata è stata raggiunta da una sanzione di trentacinque euro. La colpa? Tra gli scontrini del rimborso dei farmaci le era sfuggito un dentifricio! Ecco la prova che anche la persona più integerrima nasconde, sotto la facciata rassicurante, un pericoloso evasore. Ma quanto è costato allo Stato — cioè a noi — il recupero di quei trentacinque euro? È il caso di dire che la montagna ha partorito il topolino.

Dato che denunciare senza proporre soluzioni non fa altro che aumentare il livello di populismo, vorrei allora fare tre proposte concrete. Per tentare di liberare il nostro Paese dall’incantesimo dell’immobilità, la prima cosa sarebbe quella di concedere un’amnistia per le more esponenziali, rendendo così più realistica la restituzione del debito. La seconda sarebbe quella di trattare i contribuenti onesti con il rispetto che si deve alle persone adulte e civili, abbandonando modelli di coercizione poliziesca che troppe volte ricordano i grigi regimi dell’Est. La terza cosa — che probabilmente dovrebbe essere la prima — dovrebbe essere quella di fare un’opera di severissima pulizia su tutte le opacità all’interno degli apparati statali, quelle opacità che ci relegano al sessantanovesimo posto nelle classifiche internazionali sulla corruzione, e ultimi in Europa. Perché la corruzione, oltre ad essere il nostro macigno fiscale — il suo costo è valutato intorno ai sessanta miliardi di euro — è anche la causa dell’ormai totale sfiducia dei cittadini nei confronti dello Stato.

È bello pagare le tasse? Dopo quarant’anni di fedeltà integerrima al tributo posso rispondere serenamente: no! Sarebbe bello se le strade fossero dignitosamente asfaltate, se gli edifici scolastici dessero un’idea di decoro anziché di degrado, se i bambini giocassero in vere aree a loro dedicate invece che su altalene circondate da rifiuti, se non vedessi i pensionati rovistare nei cassonetti della spazzatura. Un giorno magari sarà bello pagarle, ma per il momento si tratta solo di un obbligo a cui è illegale e incivile sottrarsi.
Resta il mio personale rammarico di aver gettato enormi somme guadagnate onestamente nel ventre ingordo di uno Stato che tutto divora e davvero poco è capace di offrire.

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