martedì 4 dicembre 2012

LA BELLA LETTERA IMMAGINARIA DI UN OPERAIO DELLA VECCHIA ITALSIDER



Trovo bella la lettera immaginaria scritta da Severino Salvemini sul Corriere di oggi. Il giornalista immagina un pensionato della vecchia Italsider che scrive ad un suo amico, e in essa il pacato e ragionevole ex operaio ripercorre brevemente la storia della nascita del centro siderurgico secondo in Europa.
Un modo suggestivo per ricordare come il problema non nasce oggi, o coi Riva, ma che fu presente dopo pochi anni dall'insediamento della fabbrica vicino alla città E fu lo STATO a realizzarlo in tal modo. I Riva comprarono l'azienda , a suo tempo pubblica, senza che qualcuno facesse a botte per acquistarla al  posto loro. Non voglio certo difendere i due proprietari, uno ai domiciliari, l'altro latitante. Ripeto una cosa nota ma che in tanti tendono a dimenticare : non ci sono innocenti in questa vicenda, se non quei bambini che dicono nascere con già presenti dei problemi di salute. Politici, informazione, sindacati e anche magistrati. Tutti silenti per decenni. Ora si deve correre ai ripari, e lo si fa sull'onda della più assoluta emergenza, stretti tra scelte drammatiche : salute e lavoro.
Per salvare entrambe le cose, temo che per un lasso di tempo che spero sia il più breve possibile, bisognerà continuare a sacrificare la prima, fino a quando i lavori di bonifica non saranno stati ultimati, pur di non pregiudicare per sempre il secondo. Anche i citati, positivi esempi dei soliti vicini europei, virtuosi a differenza nostra, parlano di 2-3 anni per l'opera di risanamento. I Magistrati si mettessero calmi, curando il rispetto del decreto da parte dell'azienda (e rispettandolo loro ).
Buona Lettura


 La scelta assurda tra salute e lavoro
Quel la che segue è la lettera immaginaria di un lavoratore dell'Ilva che ha vissuto la storia dell'acciaieria di Taranto dall'Italsider a oggi.


«Caro Luigi,
forse tu che sei un avvocato avrai più dimestichezza di me con i nessi causa-effetto dei fenomeni sociali. Io, anziano impiegato in pensione dell'Italsider, faccio un po' fatica perché questo è un caso difficile, dove addirittura si mette in antitesi il diritto alla salute con quello al lavoro. Meglio morire di cancro o morire di fame? E poi l'effetto domino: se salta un tassello, addio ai coil e addio anche al resto, con guai sequenziali sull'industria metalmeccanica nazionale. Di sicuro l'unica vera vittima di tutto ciò è la nostra città di Taranto. Chi come me aveva allora salutato l'installazione del maggior complesso industriale della lavorazione dell'acciaio in Europa vede ora un contesto stravolto nel suo tessuto sociale. Qui la siderurgia ha rubato la manodopera alla campagna, alla pesca, alle botteghe artigiane e di fatto ha lasciato sul territorio veleni, diossina, polveri e acidi. Per non parlare della tromba d'aria che davvero è stata troppo, quasi che gli dei abbiano voltato per sempre la faccia ai tarantini.
«Non che fossimo così ingenui da non sapere che l'azienda fosse un forte bacino clientelare per le forze politiche. Italsider e Finsider avevano i propri boiardi di Stato e le interlocuzioni con il potere locale erano un chiaro sistema di scambio. Ma eravamo orgogliosi di contribuire al più importante polo manifatturiero del Sud. Poi arrivò la privatizzazione e alcuni anni dopo l'acquisizione da parte della famiglia Riva. È ben vero che quando Ilva fu ceduta ai Riva non c'erano tanti pretendenti per lo stabilimento (solo dopo alcuni anni iniziò lo shopping al rialzo da parte di indiani, russi e cinesi). È però anche vero che ci volevano investimenti disinquinanti e invece la storia ci ha detto che si è privilegiata l'attenzione ai ricavi e meno ai costi ambientali.
«Ben sappiamo che, nell'economia capitalistica, l'iniziativa privata deve essere libera, ma l'Ilva dei Riva ha preteso il primato della produzione sulla persona. Io, che sono figlio dell'acciaio, ricordo che già venti o trent'anni fa gli inquinamenti erano presenti (già allora erano comparsi gli avvisi di garanzia). La polvere di ferro si depositava sul tetto delle automobili parcheggiate o sulla biancheria stesa. Ma allora la sensibilità ecologica era scarsissima e la voglia di capacità produttiva era massima sia tra i manager che tra i sindacati. Dov'era la politica allora? Sicuramente gli amministratori pubblici si sono sottratti alle responsabilità e al rispetto della legge, facendo finta di non vedere il problema. In buona parte oliati da una compiacente lobby aziendale che riusciva a condizionare le redazioni della stampa locale con l'obiettivo di persuadere l'opinione pubblica che tutto andava bene. E invece si moriva. Nei 7 anni considerati dai periti della Procura di Taranto più di 11.500 decessi con una media di 1650 morti all'anno, soprattutto per cause cardiovascolari o respiratorie. L'assassino era a monte del ciclo produttivo, e cioè tra i parchi minerali, le cokerie, i camini degli impianti di agglomerazione, gli altoforni. Ma ciò riguarda i processi di avvelenamento delle ultime decadi, che quindi sono ricaduti sulla mia generazione. Adesso bisogna mettere in salvo le generazioni correnti.
«Caro Luigi, non ho un parere preciso su cosa occorrerebbe fare. E credo che non ci siano risposte univoche. Il problema però ha valenza simbolica per il modo di intendere l'economia nel prossimo futuro. Oggi alla proprietà non si devono fare sconti, come è accaduto nel passato. Con il decreto di questa settimana, coraggioso nell'anticipare le sentenze della magistratura, i politici hanno dato prova di saper fare scelte e di non essere subordinati a chi possiede il capitale. Gli esperti di politica industriale sostengono che la produzione non può e non deve essere chiusa, perché altrimenti crollerebbe tutto l'indotto. Inoltre tenere la produzione in esercizio sembra strategico per l'interesse nazionale (l'alternativa sarebbe l'importazione di molte tonnellate dall'estero con un danno enorme sulla bilancia commerciale). Gli economisti possono aver ragione, ma il patto di ridurre drasticamente l'inquinamento da aria e da discariche viene prima. I francesi, gli inglesi, gli olandesi, i tedeschi nel giro di 2-3 anni l'hanno fatto, bonificando gli impianti e portandoli a norma. Loro la green economy la praticano in silenzio, non nei convegni o nei talk show.
Antonio»

 

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