lunedì 22 aprile 2013

"C'ERAVAMO TANTO SOPPORTATI ". LA VERITA' DELLA FINE DELL' "OPERAZIONE PD"

 
C'eravamo tanto amati è il titolo di un bel film di fine anni 70. Al PD odierno andrebbe adattato in "c'eravamo tanto sopportati". Perché di amore vero, nella fusione pure coraggiosamente voluta da Veltroni e altri nel 2007 tra DS e Margherita, non per sommare due formazioni robuste (20% il primo, 10% la seconda) e decisamente distanti da Forza Italia (che prima di fondersi con AN  aveva attorno al 25 ) ma per cercare proprio di far nascere una cosa NUOVA, non ce n'era. Non una somma, ma una trasformazione vera, doveva essere. Programma ambizioso fin dall'origine, che pure suscitò grande entusiasmo, specie tra i giovani. Meno ovviamente per i "nostalgici", che però, di vecchia genererazione, erano usi obbedir borbottando, quindi rimanendo fedeli alla "ditta", come la chiama Bersani, che faceva parte di questo filone.
IL risultato fu che nelle elezioni del 2008, dove Berlusconi era dato per strafavorito dopo il beccheggiante e boccheggiante governo di Prodi, durato nemmeno due anni, il neonato PD, smarcatosi dalla sinistra radicale e comunista, prese il 33% dei voti. Un risultato non solo non più ripetuto ma nemmeno avvicinato, anche nelle successive che ha vinto. Alle ultime, lo sappiamo, si è fermato al 25% scarso. 8 punti e quasi 4 milioni di voti in meno.
Cosa è accaduto ? Semplicemente che il trapianto non è riuscito e che il paziente ha rigettato il "cuore".
La gente come la Moretti -graziosa quanto odiosa, e sul serio, non come la Bindi , "più bella che intelligente" - è bene che decida,  senza la possibilità di essere eletta grazie alla protezione di chi oggi viene da loro tradito. Magari accade, però preferisco la Moretti, e Orfini, e Fassina , nelle liste della nuova cratura annunciata da Barca e Vendola che in un partito dove magari vengono eletti anche grazie ai voti di gente che ha un pensiero liberaldemocratico, blairiano, progressista , comunque  lontano dallo statalismo dirigista a loro caro. Barca, senza più foglie di fico e ipocrisie, pensa ad una SINISTRA - SINISTRA. Niente centro, con il quale semmai ci si allea dopo, se ci si mette d'accordo sul da farsi.
Ovviamente vale anche per gli altri...Renzi ha apirazioni di leadership ma deve verificarle senza l'appoggio coatto di una sinistra radicale che lo detesta. Lui parla del "suo partito", ma , fino ad oggi, la pancia VERA di quel partito non solo non lo ha votato ma non lo sopporta proprio.
Le sintesi sono un'ottima cosa, così come il dialogo tra diversi, che però alla fine consenta le prime.
Se invece accade che la maggioranza decide Marini, e il partito si spacca, e la Moretti versione Iscariota rivendica come un merito l'ostentazione della scheda bianca, allora è meglio che ognuno (ri)prenda la sua strada. E' curioso che ci sia gente che chiami traditori quelli che nelle urne hanno boicottato Prodi e dissenzienti quelli che non hanno rispettato il principio della maggioranza con Marini...
Certo, i primi , per fare contenti i loro tweettatori , lo hanno esplicitato il loro fare per sé, i secondi hanno approfittato del voto segreto. Ma 101 voti contro non sono franchi tiratori, sono proprio una bocciatura.
E quindi si ritorna al nodo iniziale che ci riporta lle elementari e al Maestro che ci spiegava che mele e pere NON si sommano.
Sono diverse.
Ecco l'editoriale della Stampa di Riccardo Barenghi
Buona Lettura

Il futuro di Vendola e Barca

riccardo barenghi
 
E’ durata poco la piccola grande alleanza messa in piedi da Bersani e Vendola. Il tempo di non vincere le elezioni e di spaccarsi verticalmente sull’elezione del presidente della Repubblica. E soprattutto sul governo che verrà. Sarà difficile a questo punto ricomporre quel «bene comune» che tanto aveva fatto sperare gli elettori del centrosinistra.  
Il bene non si sa più dove sia, e se per caso ci fosse ancora non sarebbe più comune. 

In comune, semmai, potrebbe esserci qualcos’altro, ma non più tra Bersani e Vendola bensì tra lo stesso Vendola e Fabrizio Barca. Il ministro del governo Monti, che qualche settimana fa si è iscritto al Pd pubblicando un impegnativo documento su quel che dovrebbe essere il nuovo partito della sinistra (attenzione: sinistra e non centrosinistra), l’altro ieri è uscito allo scoperto giudicando «incomprensibile» la scelta del «suo» partito di non votare per Rodotà. Una posizione che ha incontrato il consenso di moltissimi militanti ed elettori dello stesso Partito democratico, che nei giorni scorsi hanno fatto sentire la loro voce contraria alle scelte dei loro dirigenti, considerate vecchie, poco coraggiose e soprattutto foriere di un governo di larghe intese con il centrodestra del tanto odiato Berlusconi (ipotesi che tra qualche giorno diventerà realtà). Ma che più avanti potrebbe sfociare in qualcosa di molto più impegnativo di una semplice manifestazione di dissenso su una singola scelta. 

Il Pd, si è detto e scritto in questi giorni, non è più un partito, forse sono due, forse di più, certamente non ha un gruppo dirigente degno di questo nome. E adesso non ha neanche più un leader. Si andrà a un congresso ma forse neanche il congresso riuscirà a rimettere insieme i cocci. E’ evidente che al suo interno convivono ancora due grandi filoni politico-culturali. Uno è quello dei cosiddetti moderati, cattolici o meno cattolici, che guarda a Matteo Renzi come il suo futuro leader. L’altro, che proviene dalla storia del Pci ma non solo del Pci, potrebbe riconoscersi nel pensiero di Barca. Vendola, che dirige un’ altra formazione politica, ripete da anni che i partiti sono «semi» che servono a far nascere nuove piante, magari alberi. E l’albero a cui pensa il governatore della Puglia è un «nuovo soggetto politico della sinistra italiana». Praticamente la stessa idea di Barca. Un’idea che avrà la sua prima prova concreta nell’assemblea dell’undici maggio convocata dallo stesso Vendola a Roma. 

Dunque sarà a questi due personaggi che si rivolgeranno i tanti (o pochi, si vedrà), dentro e fuori il Pd, che considerano finita con Bersani quell’esperienza nata con Veltroni. Era una scommessa suggestiva e ambiziosa, un progetto che voleva tenere insieme culture diverse, storie diversissime ma che avevano in comune la stessa idea della democrazia e della società, ovviamente contrapposta a quella di Berlusconi. Ma il progetto è naufragato contro lo scoglio di una realtà fatta di divisioni, egoismi, correnti e correntine, attenzione spasmodica al proprio «particulare» e anche strategie politiche alla fine inconciliabili. Oltre quattro anni fa Massimo D’Alema parlò del suo partito come di un amalgama mal riuscito. Era stato ottimista: più che mal riuscito non c’era proprio l’amalgama. 

La sfida quasi impossibile per il futuro è dunque riuscire a amalgamare ciò che finora non si è lasciato impastare, magari affidandosi alla magica ricetta di un giovane cuoco come Matteo Renzi. Oppure prendere atto che quella storia è finita, come si fa quando una coppia non riesce più a stare insieme e magari continua a convivere per paura che i figli soffrano. Ma i figli del Pd stanno soffrendo da anni, adesso poi hanno superato la soglia della sopportazione. E forse, chissà, se Renzi da una parte e Barca e Vendola dall’altra dessero vita ai due partiti che sognano, i figli sarebbero più contenti. Quantomeno non dovrebbero assistere ai furibondi litigi dei genitori che mandano la loro casa in frantumi.

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