martedì 16 aprile 2013

LA COLPA E' (ANCHE) DI NAPOLITANO

In America si riaffaccia il terrorismo, confermando agli americani che la corazzata difesa dagli oceani non è è espugnabile ma non più inattaccabile. Il mito della invulnerabilità del suolo americano era caduto l'11 settembre 2001. Ancora non si sa la matrice esatta dell'attacco, ma certo Obama ha ore e giorni difficili davanti a sé. 
Intanto che accade questo, in Italia si avvicina il giorno dell'elezione del Presidente della Repubblica che, speriamo, segnerà la fine dall'allucinante e allucinato gioco di Risiko a cui si assiste basiti dal 25 febbraio.
Dirò una cosa impopolare e del tutto soggettiva : il Presidente Napolitano ha le sue colpe in quanto sta accadendo. Se avesse accolto infatti l'invito pressate venutogli da più parti di ricandidarsi (magari avendo in mente di dimettersi più avanti, nel  momento in cui l'età, sicuramente non verde, e la salute, lo avessero indotto a tale passo) tutto questo non sarebbe accaduto.
Nessuno si sarebbe potuto azzardare a ricusarlo...forse addirittura i grillini avrebbero avuto timore di farlo.
Napolitano è, in questo momento, l'UNICO uomo politico che ha il favore esplicito della grande,  trasversale, maggioranza,  degli italiani. Molti per convinzione, anche tanti come male minore.
Ma questo è. 
Se l'avesse fatto, Bersani si sarebbe rassegnato, sapendo che MAI l'attuale presidente avrebbe appoggiato la sua disastrosa ma cocciuta idea di un governo di minoranza , fondato non su un programma valido e condiviso ma sulla non voglia di voto dei parlamentari appena incollati alle dorate poltrone del Palazzo. E si sarebbe fatto questo governo di scopo, o del Presidente, che pure anche da sinistra, quella non radicale ovviamente, viene considerato l'unica alternativa alle elezioni. Una sorta di Monti bis, senza Monti e con ministri politici. 
Invece siamo come stiamo. E francamente non capisco perché il Presidente uscente, che tanto ama il suo Paese ( lo credo sincero ) , non abbia fatto questo sacrificio, visto che lo viveva come tale, piuttosto che inventarsi quella scemenza dei dieci saggi, di così mediocre esito.. 
Nel PD continuano le grandi manovre e i grandi travagli, con i veti reciproci e rancori che solo i politici hanno lo stomaco di rimuovere per opportunità, che in altre situazioni della vita sociale, sarebbero venuti alle mani o sarebbero partite le querele. "Arrogante" "Miserabile" "Arrivista" sono alcune delle carinerie che i leader del PD si sono scambiate in questi giorni. 
Bisogna anche dire che i nomi partoriti da quelli di via del Nazzareno non sono entusiasmanti : Amato,  D'Alema, Marini, Prodi....Tutta gente di quinto e spesso pelo. Eppure, qualche nome buono ci sarebbe, che coniuga novità istituzionale e allo stesso tempo competenza e sono due DONNE : la Bonino (che i sondaggi di giornali come Corriere della Sera e Stampa indicano come la più gradita ) e la Cancellieri, il miglior ministro del governo Monti (oddio, non che fosse difficile, visto gli altri...però lei è stata brava a prescindere ) , donna senza etichette, seria e preparata. Ma di questi nomi non si parla seriamente (anzi, della Cancellieri non si parla proprio). Si sentono quelli di Rodotà e Violante...poi Onida e Zegrebelsky, che però sono - giustamente - invisi al Cavaliere quanto Prodi...
Insomma alla fine il toto presidente oggi da come compromesso condiviso il nome di Amato...
Certo non precisamente il nuovo che avanza....
Ma ecco la cronaca giornaliera delle tempeste in casa PD (da non perdere il commento di Peppino Calderola sul QI di Gotor e gli altri consiglieri di Bersani...),  veramente un posto dove entrare con la cotta di maglia di ferro e col giubbotto anti proiettile, di questi tempi



RETROSCENA

Scontro Renzi-Bersani, terremoto nel Pd
Ex dc in rivolta. Già si contano i franchi tiratori

Il sindaco: per loro meglio perdere che andare oltre la sinistra

Matteo Renzi (Ansa)Matteo Renzi (Ansa)
ROMA - La vicenda del Quirinale ha terremotato il Partito democratico. Pier Luigi Bersani sente la maggioranza sfuggirgli sotto i piedi. I cattolici, infatti, o per meglio dire, gli ex democristiani sono sul piede di guerra: hanno capito che non sarà Franco Marini il candidato del partito al Colle e minacciano fuoco, fiamme e scissioni.
Seduto su un divanetto Beppe Fioroni scuote la testa e mormora ironico: «Amato da gran paraculo può fare anche il para-cattolico». Dario Franceschini fa avanti e indietro per il Transatlantico con l'aria forzatamente svagata. I «Mpm», ossia i «malmostosi per Marini» (così sono stati battezzati nel Pd gli ex Dc) sono gli unici ad aggirarsi per una Camera semivuota. Intanto il segretario che vede inevitabilmente sgretolarsi la maggioranza fa convocare una riunione di bersaniani «puri» allargata anche agli «impuri». Cioè ai «giovani turchi», che gli uomini del segretario vogliono incorporare alla loro corrente per riallargare una maggioranza che rischia di essere una minoranza. Il clima è tale che un parlamentare di lungo corso profetizza: «Ci saranno minimo ottanta franchi tiratori chiunque sia il candidato».
Intanto Matteo Renzi parte alla volta di Parma: «C'è chi mi ha sconsigliato di andarci, ma chi se ne importa: l'inciucio con Berlusconi lo sta facendo Bersani, mica io». Il sindaco di Firenze sa che i due lo temono. Il segretario soprattutto perché sono già due candidati che gli ha fatto saltare. Guardando a come lo trattano, non sembrerebbe che Renzi abbia tutta questa influenza, ma è così. Lui critica Marini e Finocchiaro, dirigenti e parlamentari del Pd li difendono, però, spiega un autorevole esponente della maggioranza bersaniana, «se non sono più che immacolati, alle accuse di Matteo seguono quelle della gente, dei grillini e in questo clima meglio lasciar perdere».
Sembra la fotografia di un partito paralizzato, ma l'impressione che ricava il sindaco di Firenze è tutt'altra: «Vogliono comandare loro, sempre e solo loro (gli ex ds, ndr ), adesso si sono inventati anche Barca, ma facessero quello che vogliono: se preferiscono perdere per non allargare il perimetro oltre la sinistra, affari loro». Renzi in questi giorni si sente sotto attacco: «E nessuno mi difende, perché mi vivono come un corpo estraneo». Non lo consola il fatto che i vertici del Pd non abbiano difeso nemmeno Romano Prodi dagli attacchi di Berlusconi e dei suoi (lo ha fatto, due giorni dopo, solo Enrico Letta). E a qualche amico che lo invita ad andare avanti nella conquista del partito confida il suo vero timore: «Se continuano così, io rischio di ereditare una terra bruciata».
La tensione spezza gli ultimi fili del rapporto che legava Bersani e Renzi. Il segretario è arrabbiato e si sfoga così con i suoi: «Quello è un irresponsabile. Ha paura che io riesca a fare un governo che duri mentre lui vuole andare alle elezioni anticipate. Ma ha fatto male i suoi calcoli». Nonostante il buon numero di solerti pompieri che cercano di spegnere i mille fuochi che si accendono nel campo del Pd, il compromesso appare impossibile. Per tutto il giorno continuano gli attacchi dei bersaniani a Renzi. Solo Berlusconi li ha impegnati con la stessa intensità. Renzi non vuole replicare direttamente agli insulti. Ma c'è chi si chiede quanto potrà durare una situazione del genere. E il deputato renziano Angelo Rughetti offre una chiave di lettura di quanto sta accadendo: «È strano che Bersani non senta la necessità di fare in modo che le relazioni politiche in questa fase delicata vengano portate avanti anche con il contributo di chi ha preso il 40 per cento dei consensi e si affidi solo alla vecchia guardia».
È una delle critiche che vengono fatte al segretario, quella di procedere senza coinvolgere una parte importante del partito. E c'è chi, come l'ex parlamentare del Pd Peppino Caldarola, imputa questo modo di fare agli uomini più vicini al leader: «Gotor e gli altri che circondano il segretario dovrebbero ispirarsi a letture più liberali se non vogliono far degenerare la vita interna del Pd e passare alla storia come il più ottuso gruppo dirigente che la sinistra abbia mai avuto». E c'è anche un'altra accusa che viene rivolta a Bersani. Dai renziani, ma è condivisa dai dalemiani e dai veltroniani. È di nuovo Rughetti a spiegare di che cosa si tratta: «Mi piacerebbe che Bersani facesse più il segretario e meno il candidato premier. Tutti sanno che il governo di minoranza non esiste e non serve: un esecutivo che così non è utile e non va messo in pista». Già, però Bersani è seriamente intenzionato ad andare avanti con il suo governo di minoranza. Non spera che i grillini cambino casacca adesso, però è convinto che con il tempo alcuni lo faranno.

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