martedì 18 giugno 2013

IN ITALIA E' RIMASTO UN SOLO PARTITO. E NON GODE DI OTTIMA SALUTE.


Sabato il vicedirettore del Corriere della Sera , Fontana, aveva scritto un articolo nel quale passava in rassegna, inevitabilmente in modo sintetico e generale, il panorama delle varie formazioni politiche italiane e il risultato era un diffuso sconforto ( http://ultimocamerlengo.blogspot.it/2013/06/la-cattiva-salute-dei-partiti-italiani.html ) .
Gli fa eco oggi Michele Salvati che ripropone la questione, ignorando praticamente le formazioni minori, riducendo gli ortotteri a gente comprensibilmente arrabbiata che ha trovato un megafono per la propria rabbia, accorgendosi poi che strillare e basta serve a nulla (specie in un'epoca dove chi vince grazie all'astensionismo si frega le mani commentando "non voteno ? mejo !!" ) .
L'opinionista del Corsera, in quota sinistra ( la differenza tra il Corsera e Repubblica, per non parlare degli altri, è l'adesione del primo al principio bipolarista:  i due poli principali sono pienamente  rappresentati  e con pari dignità) ribadisce l'assenza di un partito di destra, di conservatori, più o meno moderati, che invece in Italia sono una forza elettorale assai diffusa (vogliamo dire maggioritaria ? io lo direi ) . Berlusconi, quando arrivano le elezioni politiche, per 20 anni è riuscito a compattare questi elettori, ancorché sempre con minore appeal . A febbraio, ricordiamolo, il PDL ha preso 7.300.000 voti , nel 2008 furono 13.600.000, per strada è stato perso praticamente il 50% dell'elettorato.  DI questi oltre 6 milioni di elettori quanti ne ha intercettati il PD ? Apparentemente nemmeno uno ! Che è il delitto politico denunciato da Renzi, contestando la scelta di chiusura a sinistra della coalizione che poi è valsa il "Pareggio", e quindi la sconfitta politica di Bersani (che rispetto a Veltroni del 2008 ha perso qualcosina come 3.500.000 voti, non uno scherzo vero Piergigi ? ).
Il voto di centrodestra per un milione di schede è rimasto nella coalizione (Fratelli d'Italia, La Destra...), un altro milione e mezzo è andato a Scelta Civica , 400.000 voti a Fare di Giannino. Ben due milioni li ha presi Grillo (gli esperti di flussi elettorali hanno diagnosticato che l'elettorato ortottero aveva una provenienza omogenea : un terzo dal centro sinistra, un terzo dal centro destra e un terzo dall'astensione, e i 18enni al primo voto).
La buona notizia quindi per un futuro rassemblement di centro destra è che gli elettori sono fluidi ma non troppo...si spostano ma non arrivano a sinistra. La cattiva è che un partito di centrodestra NON c'è.
Certo, un PD renziano potrebbe avere tutt'altro appeal, anzi i sondaggi sono tutti in questa direzione.
Che fanno i democratici che finalmente hanno un leader capace di aumentare i voti di partenza ?
Lo boicottano.Ma non è soltanto un fatto personale (c'è anche quello...non è che i politici non siano capaci di  miserie umane...tutt'altro ) , c'è proprio un problema che il PD si trascina dalla nascita, ed è la difficoltà di una VERA convivenza tra TRE anime ben distinte : quella Liberal, quella Socialdemocratica e quella ex comunista. Forse le prime due potrebbero trovare, faticosamente, punti di compromesso (del resto, se ci riescono al governo con il PDL...), ma con la terza come si fa ? Con l'incubo atavico di "nessun nemico a sinistra", ben presente in Bersani, che, deludentemente, ha scelto il continuismo e l'identità alla evoluzione che voleva essere il PD.
E' da queste cose che deriva l'incapacità stratificata italiana di fare le riforme istituzionali. Nemmeno sulle regole del gioco ci si può mettere d'accordo partendo da steccati ideologici così alti.
Buona Lettura


IL PD E IL CONFLITTO TRA DUE ANIME

Il vero partito mai nato

Viviamo in un regime non di «partito unico», ma di «unico partito». Con tutti i suoi difetti, la sola organizzazione politica che assomiglia ai grandi partiti di un tempo è il Pd, radicato nella società sia a livello nazionale che a livello locale, con legami articolati nello Stato e nelle pubbliche amministrazioni, con diffuse capacità di reclutamento di quadri tecnici in grado di cooperare a funzioni di governo, con una connotazione ideologica sufficientemente chiara. I difetti (... un grande partito, non un vero partito) li vedremo subito, e sono profondi. Ma assai più grandi sono quelli delle altre organizzazioni politiche. Il fallimento della Seconda Repubblica, al di là delle politiche inadeguate che ha adottato, sta nel non essere riuscita a creare un secondo grande partito, un secondo stabilizzatore politico, dotato delle stesse caratteristiche del primo, così risolvendo un problema di fondo della nostra democrazia: l'assenza di un grande partito di destra democratica.
Berlusconi aveva le risorse di consenso necessarie a creare una grande e stabile destra liberal-conservatrice, che nel tempo si rendesse autonoma dal carisma del suo fondatore. Non ha voluto o potuto guidare il delicato passaggio dal carisma all'istituzione; in ogni caso, non ci è riuscito. Ancor oggi, o scende in campo il suo attempato fondatore, o la destra balbetta e perde, anche se una «domanda di destra» è forte nella società. Delle altre organizzazioni politiche non vale la pena di parlare. O sono il frutto di vecchi radicamenti ideologici e di domande circoscritte localmente e settorialmente, o sono partiti e movimenti ancor più personali e carismatici del Popolo delle libertà, funghi che nascono nel terreno irrigato dall'indignazione diffusa, alternative episodiche all'astensionismo e al rifiuto della politica.
Condivido dunque, nell'analisi e nello spirito, l'editoriale del 16 giugno di Luciano Fontana, ma farei un'eccezione: il Pd è ancora (e chissà per quanto) un grande partito, e di un partito svolge le principali funzioni. Ma questo aggrava, non attenua, le critiche che gli possono essere rivolte. Passare dal carisma all'istituzione, dal potere personale ad una solida struttura ideologica e organizzativa - il compito di Berlusconi - era un'operazione difficilissima, e il nostro «Cavaliere» non è un De Gaulle. Il compito che attendeva la leadership della sinistra di governo, dall'Ulivo al Partito democratico, nei vent'anni che sono passati dalla crisi politica del 1992-93, era invece accessibile a un ceto politico capace ed esperto come quello di origine comunista e democristiana.
Questo ceto - i D'Alema, i Veltroni, i Marini, le Bindi - sapeva benissimo che, creato un amalgama in cui si fossero scolorite le vecchie appartenenze, il problema principale era quello di tenere insieme due tendenze che si sarebbero inevitabilmente contrapposte in una sinistra riformista con «vocazione maggioritaria»: una tendenza con orientamento più liberale e un'altra con orientamento più socialdemocratico. L'accento qui cade sull'espressione «tenere insieme».
Un partito è una comunità d'intenti, e si è partito se si riconosce lo stesso spirito di parte, la stessa comunanza profonda, lo stesso soffio vitale, alle principali tendenze che in esso operano, non se si respinge una di esse al di fuori dei confini del partito, gabellando la tendenza più liberale come «destra».
Se questo è vero, e nonostante le capacità e i meriti che prima ho riconosciuto, il Pd è un grande partito, ma non è ancora un vero partito: nel Labour, nel Ps, nella Spd, nel Psoe si combatte, ma nessuno mette in dubbio l'appartenenza al partito delle diverse tendenze che in essi si confrontano.
Il caso Renzi è esemplare. Difficile negare che Renzi sia il migliore acchiappavoti che il Pd ha oggi a disposizione. Se nel prossimo congresso Renzi corresse per la segreteria e vincesse, quanti, nei circoli, tra i militanti, nei quadri intermedi, riconoscerebbero in lui il «loro» segretario e collaborerebbero con lealtà, se non con entusiasmo? Le bizantine polemiche di cui i giornali ci informano - sulle regole statutarie, sulle primarie... - hanno tutte a che fare con questo problema profondo. E se il Pd non lo risolve, il problema non è solo del Pd, ma della democrazia italiana: un vero partito sul lato della sinistra di governo aiuterebbe la formazione di un vero partito sul lato della destra, perché una tendenza politica così diffusa non può rimanere a lungo senza rappresentanza. Che il Pd risolva il suo problema è una speranza, naturalmente. Ma il realismo mi costringe a far mia la frase finale dell'editoriale di Fontana: «La speranza di una "democrazia normale" con due poli... che competono per conquistare il consenso degli elettori è sempre più lontana».

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