domenica 7 luglio 2013

RICOLFI E L'ILLUSIONE CHE PER IL MALATO ITALIA BASTINO CURE OMEOPATICHE


Nelle interviste qualche volta l'intervistato dovrebbe fare lui delle domande all'intervistatore che opera i suoi legittimi commenti alle risposte fornite. Mi veniva da pensarlo l'altro giorno nel leggere l'intervista fatta da Alberto Zincone su La Sette, settimanale del Corsera, ad un giovane manager rampante (ancora ce ne sono pare ) che sottolineava come l'anno del governo tecnico non avesse portato alcun miglioramento alla crisi italiana, semmai il contrario. Al che Zincone osservava come Monti fosse considerato un salvatore della patria . Bene fossi stato nel manager avrei replicato " Lei sa di essere uno dei pochissimi che ancora tramanda questa fola ?". Monti è stato un bluff e una delusione per tanti (mi vanto : non per il camerlengo. Ci sono i post di fine 2011 inizi 2012 a testimoniarlo ). Sicuramente ha ridotto il deficit così come richiesto da Bruxelles ma ha realizzato questo obiettivo applicando un salasso fiscale non compensato da alcuna manovra volta alla riduzione del debito pubblico e della spesa. Il risultato è stato l'aggravamento del primo e il passaggio dalla stagnazione alla recessione. L'Italia del Post Monti ha un debito passato da 120 a 130 miliardi (!!) , una pressione fiscale record, ormai al 4 posto in Europa, una disoccupazione del 12%, migliaia di imprese chiuse e la Cassa Integrazione giunta a saturazione. A fronte di tutto questo, l'introduzione di una patrimoniale come l'IMU, e l'ulteriore aumento dell'IVA che ora LEtta ha rinviato - ricorrendo ad altre tasse, quali quelle sulle sigarette elettroniche , Unica misura strutturale riformatrice valida (ancorché viziata da pesanti errori, come gli esodati) l'accelerazione della riforma pensionistica con il definitivo passaggio dal sistema retributivo (più costoso) a quello contributivo. Discutibile viceversa l'elevamento dell'età pensionabile, portata a 67 anni laddove l'espulsione dal lavoro (non quindi scelta del lavoratore : ESPULSIONE ) avviene molto prima. Come vivono gli ex dipendenti nel lasso di tempo che passa tra licenziamento e diritto alla pensione ? E' il problema degli esodati, che aumenterà col tempo.
In attesa che Zincone restituisca il patentino di giornalista ( sbagliare previsione si può, ignorare i fatti no ) , propongo l'editoriale domenicale  di Luca Ricolfi che appunto ricorda come l'austerità in salsa montiana sia stata per lo più deleteria. Altre erano e restano le cose da fare.
Buona Lettura


La trappola dell’austerità all’italiana

luca ricolfi
Dopo il Consiglio Europeo della settimana scorsa il clima politico è cambiato, almeno sui principali mezzi di informazione italiani. Il cambiamento si manifesta essenzialmente attraverso la ripetizione, in mille forme e varianti, di un racconto base che suona più o meno così: l’Italia ha fatto bene i «compiti a casa», ora siamo rientrati nel club dei paesi virtuosi, l’Europa ci loda e ci premia concedendoci qualche margine di flessibilità, finalmente si può tornare a investire e a spendere, sia pure con la dovuta prudenza. L’era dell’austerità, finalmente, volge al tramonto.
Questo racconto non è del tutto sbagliato, ma è altamente fuorviante. Esso induce a pensare che il peggio sia passato, che i rischi finanziari siano finiti, e che con la politica dei piccoli passi l’Italia possa finalmente tornare a crescere.  

Spero di sbagliarmi, ma credo che le cose non stiano affatto così. Anzi, credo che l’indulgente ottimismo dei media sia corresponsabile dello stallo italiano. Esso induce a un sillogismo del tipo: l’austerità non ha funzionato, dunque la strada da battere è quella di allentare poco per volta i vincoli che l’austerità stessa ha imposto al paese. 

Il problema, però, sta nella premessa. Quella che abbiamo avuto con il governo Monti non è la politica dell’austerità, ma una delle due possibili varianti di una politica di austerità. Contrariamente a quanto molti credono, la parola «austerità» non designa una politica economica, ma il fine che essa vuole raggiungere.
Un Paese entra in regime di austerità nel momento in cui chiede ai suoi cittadini dei sacrifici per correggere uno squilibrio, tipicamente un deficit dei conti pubblici, dei conti con l’estero o di entrambi. Dire che si sta facendo una politica di austerità significa solo che si cerca di effettuare tale correzione, indipendentemente dai mezzi che si intendono usare per ottenere il pareggio di bilancio. E’ solo quando si specificano i mezzi adottati per raggiungere quel fine che l’austerità diventa anche una politica economica.
Ed eccoci al punto cruciale. Della politica di austerità esistono due varianti fondamentali: la variante «statalista» basata sull’aumento delle tasse e l’introduzione di ulteriori controlli nell’economia, la variante «liberale», basata sulla riduzione della spesa pubblica e le liberalizzazioni del mercato del lavoro e dei mercati dei prodotti e dei servizi.  

Nessuna politica economica reale adotta mai una di queste varianti allo stato puro, ma la politica del governo Monti si è molto avvicinata alla variante statalista. La variante liberale, strenuamente difesa da Alberto Alesina sia nei suoi articoli sia nei suoi lavori econometrici, è stata parzialmente adottata dalla Germania a partire dal 2003, ma in Italia non è mai stata sperimentata da nessun governo.

Ecco perché dire che la politica di austerità ha fallito è una mezza verità. Noi abbiamo avuto solo la variante-Monti, che effettivamente ha messo in ginocchio il Paese, ma non abbiamo mai sperimentato la variante-Alesina. Dunque la vera questione oggi non è austerità-sì, austerità-no, ma è con quale politica l’Italia possa tornare a crescere. Qui sta il nodo, e qui si affrontano due visioni nessuna delle quali è di mera austerità, perché la situazione dei conti pubblici italiani non è più drammatica come negli anni scorsi, anche se resta molto grave sul versante del debito.

Secondo la prima visione è inutile illudersi che l’economia possa ripartire senza una riduzione delle aliquote immediata, drastica e permanente, da finanziare con un mix di impegni riformistici (liberalizzazioni e sburocratizzazione), riduzioni progressive della spesa pubblica, dismissioni del patrimonio dello Stato. Secondo l’altra visione, invece, si può procedere come al solito, navigando a vista, con misure a tempo (sgravi che scadono nel giro di 6,12 o 18 mesi), piccoli aggiustamenti di bilancio, senza un drastico scambio fra spesa pubblica e tasse.

Personalmente, penso che la visione drammatizzante della cultura liberale sia esatta ma generi politiche inattuabili, se non altro perché siamo un popolo molto conservatore, a destra come (se non di più) a sinistra. E che la versione tranquillizzante della cultura di governo sia attuabilissima, ma generi politiche che non appaiono disastrose solo perché, in Italia, il disastro si presenta in dosi omeopatiche, sotto forma di un declino tanto lento quanto inesorabile. Questa, temo, è la trappola logico-politica in cui siamo impigliati.

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