mercoledì 30 ottobre 2013

LA RICCHEZZA PRIMA DI (RE)DISTRIBUIRLA, TOCCA PRODURLA


Si può diventare presidenti di un importante istituzione pubblica in un'età nella quale si sta già fruendo della proroga temporale per NON andare in pensione ? Sì, avviene alla Corte dei Conti, dove il presidente in pectore, Raffaele Squitieri, pronto a subentrare a Giampaolino che si ritira per i suoi 75 anni, ne ha appena 72...
Vabbè, poco male, in un paese dove il Capo dello Stato ha 87 anni, il capo del centro destra 77 (e vorrebbe ancora fare il premier, ma ormai non potrà più) e aspirava a divenire senatore a vita Eugenio Scalfari, che di anni ne ha 90.
Insomma, non pensavano a noi i fratelli Coen quando hanno prodotto il film "Non è un paese per vecchi". 
Il problema non sarebbe grave in sé, che magari nella senectute riposa la saggezza, ma non è quello che pare di vedere, per lo più.
Certo l'esordio del Dr. Squitieri non depone favorevolmente, come amaramente rileva Davide Giacalone, commentando il discorso tenuto dal presidente subentrante.
Buona Lettura



 

Iniquo e surreale


Il dibattito sulla legge di stabilità procede in un clima surreale. Ignorando i pericoli che incombono, facendo finta di non sapere che i punti di forza (che esistono e sono tanti) del nostro sistema produttivo e della nostra affidabilità di debitori sono oscurati dallo spettacolo d’immobilismo che trasmettiamo in mondovisione, ragionando del 2014 come se nel 2015 non scattasse l’obbligo di tagliare, annualmente, un ventesimo del debito pubblico eccedente il 60% del prodotto interno lordo, bellamente trascurando tutto ciò si assiste alla seguente scena: il governo continua a dire che intende tagliare il cuneo fiscale, ma in maniera irrisoria e irridente, e la Corte dei conti va a sostenere che quel taglio sarebbe iniquo, in quanto non ne beneficerebbero i pensionati, i lavoratori autonomi e gli incapienti, cioè circa 25 milioni di cittadini. Roba fuori dal mondo.
L’idea di concentrare gli sforzi nel taglio del cuneo fiscale è giusta. Risponde al bisogno di restituire competitività al nostro sistema produttivo, alleggerendo il costo del lavoro da oneri che non si traducono in salario. Il guaio non è nell’idea, ma nel fatto che rimane una pura ipotesi, o una realizzazione meramente propagandistica, facendo il solletico a un cuneo enorme e punitivo. Ma l’obiezione della Corte dei conti è solo in parte questa, perché poi solleva il tema dell’equità. Vorrebbero che riguardasse tutti. Ma come li fanno, i conti? Il nostro problema è che, a fronte di una spesa pubblica di 800 miliardi più della metà se ne va in debiti: 80 per gli interessi sul debito pubblico e il resto in pensioni. Sul sistema produttivo pesa un debito esagerato e iniquo. Certo, va abbattuto con le dismissioni. Ma anche nel governare la pressione fiscale non ha senso supporre che si debba agire allo stesso modo sia relativamente alle pensioni che ai fattori produttivi, e se lo si facesse il tagliettino diventerebbe ancora più piccolo. Si comunichi ai signori della Corte una banale verità: la ricchezza bisogna prima produrla, mentre loro credono si debba solo redistribuirla.
A essere audito, presso le commissioni bilancio di Camera e Senato, è stato il presidente designato: Raffaele Squitieri, che sostituirà Luigi Giampaolino, che ha raggiunto i limiti d’età. Solo che il secondo ha 75 anni e il primo, ovvero il futuro, 72. Il quale andrà in testa a una magistratura che costa, ogni anno 333 milioni, di cui 150 spesi per gli uffici dei vertici. Il gettito e il danno erariale che la Corte riesce effettivamente a recuperare, ogni anno, è incongruente con quel che costa. Così, tanto per dare qualche riferimento a chi volesse tagliare la spesa pubblica inutile. Non a caso ieri ha sostenuto che va ripensata “l’organizzazione delle funzioni pubbliche per evitare che la riduzione di dipendenti determini il degrado nella qualità dei servizi”, aggiungendo che le norme di taglio sul pubblico impiego “non sono replicabili all’infinito”. Devono ancora cominciare, e possono partire dalla Corte che presiederà. Che, del resto, fu istituita nel 1862, affinché vigilasse sulle amministrazioni pubbliche, in modo da prevenire e impedire sperperi. Direi che non ha avuto un ragguardevole successo, sicché le funzioni utili possono essere esercitate in sede civile. Le altre soppresse.
Nella Costituzione si trova all’articolo 100: “La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. (…)”. Non vedo traccia di funzioni politiche, come quella sul giudizio di equità. E’ vero che ha anche funzioni consultive, ma è la stessa Corte (sezioni riunite, deliberazione 54/2010) ad avere stabilito che tale attività non può divenire “consulenza di portate generale” limitandosi alla “materia di contabilità pubblica”. Ieri il presidente designato ha fatto l’esatto contrario.
Preso dall’entusiasmo ha anche detto “si pongono le condizioni per una tregua fiscale”. Passaggio che apre il cuore alla speranza. Ma poi ha documentato il contrario: la pressione fiscale è destinata a crescere, i tagli sono immaginari e le clausole di salvaguardia inesorabili. E la tregua? Vive solo nel surrealismo imperante. Ci si conceda almeno la tregua delle chiacchiere e delle lezioni di equità da pulpiti sempre vissuti di spesa pubblica e compartecipazione alle scelte e carriere politiche.

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