giovedì 21 novembre 2013

L'INDIGNAZIONE DEI GIORNI DISPARI. QUELLA DI NOI ITALIANI


Non poteva piacere, e non è piaciuto, l'editoriale odierno di Polito sul Corriere della Sera.
Ovviamente i motivi per cui dispiace ai miei concittadini è quello per cui piace a me.
E quindi il denunciare questo orecchiare spasmodico le conversazioni private, per poi spiattellarle in piazza, come se ci fosse essere umano al mondo che potrebbe passarla liscia da una intrusione del genere.
Il dimenticare i fatti privilegiando le parole (senza dimenticare che queste ultime sono spesso distorte, per negligenza o malafede, da chi le riporta, sui giornali o nei discorsi al bar).
Che ci sta che un partito all'opposizione sfrutti ogni occasione per mettere in crisi il governo, molto meno ( e quindi è SOSPETTO se accade) se lo fa un partito che lo appoggia.
L'insopportabilità dell'indignazione a corrente alternata, oltretutto con accelerazioni grandi su questioni obiettivamente meno gravi (ma più mediatiche...e lì sta "il lepre" ).
A tutte queste cose giustissime che Polito scrive, ne aggiungo una : l'IPOCRISIA. Insopportabile.
Come ha scritto nei giorni scorsi il mio amico Cataldo Intrieri, è veramente sconcertante come gli italiani si credano migliori dei loro governanti, autocerficandosi persone di alto livello etico... 
Come se il nepotismo, la raccomandazione, il favoritismo non fossero elementi costituenti del non senso civico che, ahinoi, ci struttura dalla prima infanzia, quando i nostri genitori, sinistrorsi compresi (se non in prima fila) raccomandono i loro pargoli perché finiscano in quella scuola o in quella sezione, dove saranno seguiti meglio rispetto agli ALTRI. Iniziamo presto, e non smettiamo più.
Poi certo, c'è anche chi non lo fa. Con lo stesso merito dei dipendenti statali che pagano le tasse sullo stipendio : come potrebbero fare mai altrimenti ?


Gli standard della moralità


Bisognerà mettersi d’accordo sugli standard di moralità pubblica, se vogliamo uscire dall’incubo di questo ventennio. Gli italiani non ne possono più dei livelli record di corruzione, favoritismo e nepotismo; ma il mondo politico è diviso sulle sanzioni. A un estremo ci sono quelli che perdonerebbero tutti per condonare se stessi; all’altro i Torquemada che condannerebbero chiunque pur di guadagnarsi il favore popolare. In mezzo c’è il Pd. Come dimostra il caso Cancellieri, la linea di frontiera passa di lì. E non è solo frutto di tatticismo, Renzi che vuole fare le scarpe a Letta, Cuperlo che vuole farle a Renzi, più una pletora di personaggi minori in cerca di fama. C’è qualcosa di più profondo.
Una deputata democratica confessava qualche giorno fa il suo imbarazzo: «Mia madre mi ha detto che se salviamo la Cancellieri non ci voterà mai più. Mio marito mi ha detto che non ci voterà più se l’abbandoniamo». È questa incertezza sui principi a spiegare perché il Pd assomigli sempre più a un’agorà e sempre meno a un partito, una piazza dove tutti votano a piacere e molti obbediscono a impulsi esterni. In quale altro partito il segretario avrebbe rinunciato a presentarsi con una sua proposta all’assemblea che doveva decidere sulla sfiducia? C’è dovuto andare il presidente del Consiglio, per ricordare a tutti che se un partito al governo vota con l’opposizione contro il governo, non c’è più il governo. Civati l’ha definito un «ricatto», ma è l’Abc della politica.
Bisogna dunque cercare criteri per giudizi rigorosi ma equanimi, sottratti alla faziosità di quella lotta politica che, anche in assenza di atti giudiziari, non esita a sfruttare brogliacci di polizia, fughe di notizie, voci.
La prima regola è che i fatti contano più delle parole. Dopo quella telefonata - durante la quale il ministro non ha parlato come un ministro - la Cancellieri compì atti contrari ai propri doveri d’ufficio? Secondo la Procura, secondo i vertici del sistema penitenziario, e da ieri secondo il Parlamento, non li ha compiuti. Si fanno spesso paragoni con Paesi più virtuosi ed esigenti, dove i ministri si dimettono per non aver regolarizzato una colf o per aver copiato a un esame. Ma in Paesi con telefoni meno intercettati, la sanzione politica riguarda pur sempre atti effettivi, accertati, gli unici su cui può giudicare l’opinione pubblica. Sui peccati compiuti con pensieri e parole si risponde solo in confessionale, o alla propria coscienza. Anche nel diritto penale le intercettazioni sono considerate uno strumento di ricerca della prova, non la prova.
Seconda regola aurea: l’indignazione non può essere a corrente alternata. Faceva ieri un certo effetto vedere Montecitorio che si dilaniava sulle telefonate della Cancellieri e non sulle responsabilità della tragedia in Sardegna. Nei famosi «Paesi civili» sempre invocati, ci si dimette per una mancata prevenzione o un tardivo soccorso. Da noi ormai si accetta un disastro ambientale all’anno come una fatalità. Non è anche questo uno standard inaccettabile di moralità pubblica? Coloro che imputano alla Cancellieri di aver trascurato gli altri detenuti per favorirne una, sono gli stessi che (Grillo e Renzi in testa) si opposero all’amnistia proposta dal ministro per alleviare la scandalosa condizione di tutti i detenuti italiani. Quando avrà finito con i tabulati telefonici, la politica discuterà con la stessa passione del piano-carceri?

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