lunedì 18 novembre 2013

PERCHE' NON MI CONVINCE ALFANO


I lettori del Camerlengo sanno che stimo molto Giovanni Orsina, storico e da un po' bravo editorialista de La Stampa (meno male, che da quando non scrive più Ricolfi faccio una certa fatica ad aprire il quotidiano torinese, più spesso infarcito da penne retoriche, sul Repubblica style per intenderci ) .
Studioso del Berlusconismo (ne ha scritto un bel libro proprio recentemente), ne è un critico ma non un demonizzatore. Insomma, uno che ragiona sulle cose, senza pregiudizi e/o fanatismi. 
Sulla questione della spaccatura nel PDL, che abdica, con il ritorno di Forza Italia da un lato e la nascita de "Nuovo Centrodestra" guidato da Alfano, dall'altro, interviene con la stessa misura riflessiva e propongo senz'altro la lettura del suo post.
Con l'occasione, e vedendo il giudizio benevolo di Orsina nei confronti dell'ex delfino (stanco di essere eternamente tale, e se po' capì !) a cui augura un significativo "in bocca al lupo" (ne ha bisogno, altrochè !), voglio precisare una cosa. Personalmente non ho in antipatia Alfano ( nemmeno il contrario), né sono tra quelli che parlano di "tradimento", anche se posso comprendere che, dal punto di vista di Berlusconi, qualcuno che è stato così tanto beneficiato da lui e poi ti lascia, suoni un po' così. In politica ci sta che ad un certo punto ti stacchi dal tuo pigmalione e inizi a camminare con le tue gambe. Se nel farlo si scoprono ad un certo punto strategie non conciliabili, ci sta anche dividersi. Tra l'altro, alcune cose che Alfano a parole sostiene sono condivisibili : un centro destra separato da Berlusconi può sostenere battaglie importanti, come quella sulla riforma della Giustizia, senza sentirsi sempre opposta l'accusa di essere dei servi del Cavaliere, di operare in realtà solo per la difesa del proprio capo. Vale, ancorché in misura minore, per altri campi, quelli che ricorda Orsina nel suo articolo. Quello che obietto è che mi piacerebbe che una forza nuova si presenti all'elettorato per vedere che peso ha, e non che si appropri di voti NON suoi. Il Nuovo Centro Destra porta in dote al governo una sessantina di onorevoli (metà senatori, quelli che servono, e metà deputati) che manco Scelta Civica, che però si è sudata il suo 8% di voti, equivalenti a 2.800.000 elettori. Veramente Alfano e i suoi hanno quel consenso ? Dubito e comunque non si sa. Quello che invece avviene è che gente catapultata in Parlamento grazie al Capo, oggi sceglie una politica diversa, legittima ma senza alcun avallo democratico.
E' questo che non mi convince.

Il compito che spetta ai “governativi”

 
Non ingombrato dalle tradizioni della Repubblica dei partiti, fin dalla «discesa in campo» Berlusconi ha avuto due punti di forza da un lato nella comprensione dei meccanismi maggioritari e bipolari, dall’altro nella straordinaria capacità di raccogliere intorno a sé tutti i gruppi politici alternativi alla sinistra.

Nel 1994 la sua forza federativa fu tale da dar vita a un ircocervo che nessuno sulla carta avrebbe mai creduto possibile, comprendente la Lega e Alleanza Nazionale. Molti anni dopo, alla fine del 2007, con la decisione di fondare il Popolo della Libertà cambiarono i mezzi ma non gli scopi: i centristi democristiani furono sostanzialmente espulsi, ma al contempo si creò un contenitore che ambiva a rappresentare l’intera area della destra italiana.
Il declino personale del Cavaliere e politico del berlusconismo sta ora facendo sì che la pellicola scorra al contrario. La disgregazione, come sempre accade, ha preso avvio dalla periferia dell’Impero, con un esponente «storico» della destra ma non del berlusconismo come Gianfranco Fini. E adesso dalla periferia è arrivata al centro: guidati dal «delfino» designato dal Cavaliere, essi stessi entrati quasi tutti in politica con Berlusconi, gli scissionisti non rinnegano nulla delle scelte fatte nel passato e non rifiutano affatto, anzi rivendicano con orgoglio, l’eredità del berlusconismo.

Non per caso sia Berlusconi sia Alfano hanno lasciato ben aperta la porta della collaborazione fra i due partiti. È una questione di calcolo politico ed elettorale, ovviamente. Ma trova pure cause più profonde in quello che abbiamo detto finora. Sul versante del vicepresidente del Consiglio, nella scelta di mettersi in continuità con la vicenda politica del Cavaliere. E per Berlusconi nella chiara consapevolezza di quanto importante sia stata la sua capacità di aggregazione, e di come perciò questa scissione rappresenti di per sé una sconfitta gravissima – il segno pubblico e palese del suo logoramento; un ulteriore, ampio passo verso la conclusione definitiva del «suo» ventennio.

I buoni propositi di «divorzio consensuale», tuttavia, non soltanto sono ostacolati dalla considerevole quantità di fango che i due (ormai ex) coniugi si son gettati addosso l’un l’altro, ma soprattutto saranno messi a dura prova nel momento in cui Forza Italia passerà all’opposizione. Ogni movimento del governo Letta si trasformerà allora in una ragione di polemica fra i due spezzoni del centro destra, e diverrà più difficile, a fronte di tante spinte centrifughe, e malgrado la storia comune e le considerazioni di opportunità, salvaguardare i legami residui.

La parte più agevole, in quel momento, toccherà senz’altro a Berlusconi. Non soltanto in Italia e non da oggi, ma in Italia e oggi più che altrove e ieri, fare opposizione è assai più facile che assumere responsabilità di governo. I problemi del nostro paese sono antichi e radicati, difficilissimi da risolvere, impossibili da risolvere in tempi brevi o a costo zero, e la loro soluzione sfugge in larga misura al controllo delle nostre autorità nazionali – che per di più sono frammentate, indecisioniste e inefficienti. Un governo di grande coalizione, in queste circostanze, è il candidato naturale a far da capro espiatorio – capro del quale un’opposizione non obbligata a proporre soluzioni alternative e realistiche proporrà il sacrificio immediato a un’opinione pubblica avvilita, atterrita, inviperita.

Sul Nuovo Centrodestra, per converso, grava il carico storico e politico più pesante. Ieri in conferenza stampa Alfano ha suonato lo spartito della ragionevolezza. Ha dichiarato ingiusto e inclemente valutare il governo dopo soli sei mesi. Ha sottolineato come in questo periodo la via verso la soluzione di alcuni problemi sia stata per lo meno imboccata. Ha identificato tre chiare priorità: una legge elettorale bipolarista che consenta agli elettori di scegliere gli eletti; una riforma costituzionale che superi il bicameralismo e introduca l’elezione diretta del vertice dell’esecutivo; una spending review ambiziosa che tagli la spesa pubblica e consenta di ridurre la pressione fiscale, a cominciare da quella sul lavoro.

Se questi tre scopi fossero raggiunti, l’Italia sarebbe un paese migliore? A parere di chi scrive sì, senza la minima ombra di dubbio. Di più: il Paese non uscirà mai dalla palude, fin quando non avrà raggiunto questi obiettivi – e prima li raggiunge, prima torna su terra solida. Le circostanze politiche complessive, tuttavia, non sono affatto favorevoli. I «governativi» di centro destra avranno bisogno innanzitutto di tanta fortuna. Poi dovranno compiere uno sforzo sovrumano di coerenza – resistendo, ad esempio, alle spinte neoproporzionaliste che si stanno facendo sempre più robuste, che a loro in quanto partito converrebbe assecondare, ma che contraddicono ai loro propositi bipolaristi. Infine, dovranno cercar di afferrare e conservare l’iniziativa politica, così da diventare un elemento di stimolo per il governo, tenere sotto controllo Forza Italia, riuscire a parlare al Paese. In bocca al lupo.

Nessun commento:

Posta un commento