Incuriosito dal titolo, ho letto l'articolo di Stefano Semeraro che commentava il placet della Federazione italiana tennis alla richiesta delle veterane azzurre, detentrici del titolo della FED CUP (la Coppa Davis femminile), di essere esonerate dalla convocazione per il primo turno dell'edizione 2014 contro gli USA, a Cleveland. Il motivo : una brutto intreccio di date, con la concomitanza di altri impegni professionistici.
La FIT ha detto sì, pare anche per gratitudine per i servigi resi ( le ragazzotte hanno vinto altre edizioni della non troppo prestigiosa coppa, che però è sempre qualcosa, specie a livello federale).
Conseguenza, usciremo subito da campioni detentori del titolo, che se le titolari qualche decente speranza l'avevano contro le forti americane - anche lì, bisogna vedere chi gioca...- le riserve assolutamente nessuna.
Nessuno morirà, che, ripeto, si tratta di manifestazione che si glorifica se si vince, mentre se si perde non frega nulla a nessuno. Il problema, come evidenzia il giornalista, ed è questo l'aspetto che ha attirato la mia attenzione, è che c'è una norma del regolamento federale che sanziona la mancata risposta alla convocazione.
Ed in passato è stata applicata con severità. Ora, è vero che in questo caso le atlete si sono mosse per tempo e hanno chiesto preventivamente di essere esonerate, però la motivazione è identica a quella per cui in passato degli azzurri, convocati. chiesero di non andare. E la Federazione prese assai male la richiesta.
Ecco, quando si parla di regolamenti "etici", perché così vengono definiti norme e sanzioni che regolano questo aspetto dei rapporti con la federazione, lo strabismo andrebbe accuratamente evitato.
Personalmente, per non fare brutte figure, limiterei al massimo ogni invocazione dell'eticità..., buona regola che vale in tanti campi (politica in primis...) e in fondo anche nello sport.
Fed Cup, scelta o dovere?
A Cleveland, per il primo turno di Fed Cup 2014 contro gli Usa, l'8
e il 9 febbraio andremo senza le nostre migliori giocatrici: Errani,
Vinci, Pennetta e Schiavone. Non per scelta tecnica, ma perché l’hanno
chiesto loro.
Quella di Cleveland è una «trasferta disagevole», come recita il comunicato del sito web della federtennis, e le ragazze non hanno - comprensibilmente - voglia di fare avanti e indietro fra Parigi, gli Usa e di nuovo l’Europa dopo aver passato due settimane in Australia. Troppa fatica, troppi fusi orari. Capitan Barazzutti ha ascoltato e accettato, e probabilmente convocherà al loro posto Karin Knapp, Camila Giorgi e le due giovanissime Nastassja Burnett e Alice Matteucci. «In accordo con la Federazione - ha spiegato Barazzutti sempre sul sito della Fit - abbiamo deciso di accogliere la richiesta delle nostre veterane. Anche e soprattutto in virtù del fatto che queste ragazze hanno già dimostrato il loro enorme attaccamento alla maglia azzurra, sacrificandosi più di chiunque altro e mettendo spesso da parte dei legittimi interessi personali. Le quattro Fed Cup vinte e il lustro che hanno dato all'Italia in questi anni, anche a livello individuale, non possono essere ignorati. Non si tratta però di un disimpegno totale – ha aggiunto il nostro ct – Errani, Vinci, Pennetta e Schiavone hanno già dato la loro disponibilità per eventuali incontri successivi nel corso del 2014». Tutto bene, tutto giusto. A patto però di ricordarsi che per un comportamento simile - il rifiuto di una convocazione in Coppa Davis - Simone Bolelli nel 2008 fu squalificato a vita («finché ci sarò io non giocherà più in nazionale», tuonò il Presidente Binaghi), invocando un articolo del regolamento federale. E fu poi reintegrato solo quando si fu liberato del coach “scomodo” Claudio Pistolesi. Che il mite Andreas Seppi fu accusato di “ammutinamento” prima di un match con il Lussemburgo, per il quale fu costretto a presentarsi a Torre del Greco come Federico a Canossa. Anche Filippo Volandri rifiutò - ufficiosamente - una convocazione, ma la faccenda passò sotto silenzio, come del resto è accaduto più recentemente in Fed Cup con Francesca Schiavone. Insomma, due pesi e due misure (o tre, o quattro...).
Intendiamoci: la Fit sbagliò allora a accanirsi contro i suoi stessi giocatori, non certo ora che ascolta e accoglie serenamente le loro richieste di professionisti. Ed è anche vero, stravero che le nostre ragazze alla nazionale in questi anni hanno dato tanto.
Quando però si parla di etica, di rispetto “per la maglia”, di regolamenti, un minimo di coerenza sarebbe consigliata. O si decide che la maglia va comunque rispettata, a prescindere dallo status dell’atleta e dall’occasione; oppure si accetta la realtà dei tempi, il mutare delle condizioni, riconoscendo che una convocazione si può anche rifiutare senza drammi. Come succede in tante altre federazioni, a partire da quella Svizzera che pure le “diserzioni” di Federer le ha pagate spesso care.
Diversamente si fa nascere il sospetto che i famosi codici etici, spesso invocati maldestramente anche da altre federazioni pronte poi a smentirli alla prima occasione, altro non siano che un paravento per la politica, un mezzuccio increscioso utile a colpire i “nemici” (cioè chi semplicemente critica o dissente) e ad assolvere gli amici, secondo convenienza. Un sospetto che va evitato. O la convocazione è una “tassa” morale – e allora non si può certo evitare di pagarla anche se la si è versata a lungo in precedenza; o è un contributo libero, una opzione che un professionista può accettare o rifiutare.
L’assenza delle nostre migliori giocatrici ora ci condanna a una sconfitta quasi certa con gli Usa in Fed Cup, una competizione nella quale i nostri successi sono stati molto esaltati - con un po’ di retorica ma anche con buone ragioni - dalla Fit negli scorsi anni. Trovarsi a difendere con le seconde linee il titolo conquistato a novembre a Cagliari contro la Russia, è quantomeno scoraggiante, e può trasformarsi in un danno di immagine: «gli assenti hanno sempre torto», spiegarono i nostri dirigenti quando proprio a Cagliari la Russia spedì le riserve delle riserve.
In federazione stavolta però si è deciso di incassare lo smacco con eleganza e understatement: ne prendiamo atto, rallegrandoci di finalmente si sia usciti dal medioevo delle scomuniche (grazie anche alle critiche della stampa “nemica”?) entrando a pieno titolo nella modernità di uno sport professionistico. La speranza è che, alla prima defezione di qualche azzurro più vulnerabile delle nostre veterane, non si torni alle antiche, pessime abitudini.
Quella di Cleveland è una «trasferta disagevole», come recita il comunicato del sito web della federtennis, e le ragazze non hanno - comprensibilmente - voglia di fare avanti e indietro fra Parigi, gli Usa e di nuovo l’Europa dopo aver passato due settimane in Australia. Troppa fatica, troppi fusi orari. Capitan Barazzutti ha ascoltato e accettato, e probabilmente convocherà al loro posto Karin Knapp, Camila Giorgi e le due giovanissime Nastassja Burnett e Alice Matteucci. «In accordo con la Federazione - ha spiegato Barazzutti sempre sul sito della Fit - abbiamo deciso di accogliere la richiesta delle nostre veterane. Anche e soprattutto in virtù del fatto che queste ragazze hanno già dimostrato il loro enorme attaccamento alla maglia azzurra, sacrificandosi più di chiunque altro e mettendo spesso da parte dei legittimi interessi personali. Le quattro Fed Cup vinte e il lustro che hanno dato all'Italia in questi anni, anche a livello individuale, non possono essere ignorati. Non si tratta però di un disimpegno totale – ha aggiunto il nostro ct – Errani, Vinci, Pennetta e Schiavone hanno già dato la loro disponibilità per eventuali incontri successivi nel corso del 2014». Tutto bene, tutto giusto. A patto però di ricordarsi che per un comportamento simile - il rifiuto di una convocazione in Coppa Davis - Simone Bolelli nel 2008 fu squalificato a vita («finché ci sarò io non giocherà più in nazionale», tuonò il Presidente Binaghi), invocando un articolo del regolamento federale. E fu poi reintegrato solo quando si fu liberato del coach “scomodo” Claudio Pistolesi. Che il mite Andreas Seppi fu accusato di “ammutinamento” prima di un match con il Lussemburgo, per il quale fu costretto a presentarsi a Torre del Greco come Federico a Canossa. Anche Filippo Volandri rifiutò - ufficiosamente - una convocazione, ma la faccenda passò sotto silenzio, come del resto è accaduto più recentemente in Fed Cup con Francesca Schiavone. Insomma, due pesi e due misure (o tre, o quattro...).
Intendiamoci: la Fit sbagliò allora a accanirsi contro i suoi stessi giocatori, non certo ora che ascolta e accoglie serenamente le loro richieste di professionisti. Ed è anche vero, stravero che le nostre ragazze alla nazionale in questi anni hanno dato tanto.
Quando però si parla di etica, di rispetto “per la maglia”, di regolamenti, un minimo di coerenza sarebbe consigliata. O si decide che la maglia va comunque rispettata, a prescindere dallo status dell’atleta e dall’occasione; oppure si accetta la realtà dei tempi, il mutare delle condizioni, riconoscendo che una convocazione si può anche rifiutare senza drammi. Come succede in tante altre federazioni, a partire da quella Svizzera che pure le “diserzioni” di Federer le ha pagate spesso care.
Diversamente si fa nascere il sospetto che i famosi codici etici, spesso invocati maldestramente anche da altre federazioni pronte poi a smentirli alla prima occasione, altro non siano che un paravento per la politica, un mezzuccio increscioso utile a colpire i “nemici” (cioè chi semplicemente critica o dissente) e ad assolvere gli amici, secondo convenienza. Un sospetto che va evitato. O la convocazione è una “tassa” morale – e allora non si può certo evitare di pagarla anche se la si è versata a lungo in precedenza; o è un contributo libero, una opzione che un professionista può accettare o rifiutare.
L’assenza delle nostre migliori giocatrici ora ci condanna a una sconfitta quasi certa con gli Usa in Fed Cup, una competizione nella quale i nostri successi sono stati molto esaltati - con un po’ di retorica ma anche con buone ragioni - dalla Fit negli scorsi anni. Trovarsi a difendere con le seconde linee il titolo conquistato a novembre a Cagliari contro la Russia, è quantomeno scoraggiante, e può trasformarsi in un danno di immagine: «gli assenti hanno sempre torto», spiegarono i nostri dirigenti quando proprio a Cagliari la Russia spedì le riserve delle riserve.
In federazione stavolta però si è deciso di incassare lo smacco con eleganza e understatement: ne prendiamo atto, rallegrandoci di finalmente si sia usciti dal medioevo delle scomuniche (grazie anche alle critiche della stampa “nemica”?) entrando a pieno titolo nella modernità di uno sport professionistico. La speranza è che, alla prima defezione di qualche azzurro più vulnerabile delle nostre veterane, non si torni alle antiche, pessime abitudini.
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