giovedì 10 aprile 2014

IL VOLONTARIATO FA BENE AL CURRICULUM. SAPEVATELO

 
Una buona notizia, anzi due. La prima è che la crisi economica pare non abbia portato danni alle organizzazioni di volontariato, lodevolmente numerose sul territorio nazionale. L'altra, che riportiamo per esteso, è che molte imprese, anche importanti, danno crescente importanza a questo aspetto nella valutazione del curriculum vitae dei candidati. 
In ordine al primo aspetto, lo stato di salute delle OdV apprendiamo che  " è buono e più della metà dei circa 2 mila presidenti intervistati (56,6%) ritiene stabile o equilibrata la situazione economica-patrimoniale della propria organizzazione. Solo una quota minima di organizzazioni (tra lo 0,6% e il 2,2%) dichiara di avere difficoltà a saldare i debiti contratti verso terzi.
E tutto questo accade in un momento di gravissima sofferenza nella riscossione di crediti verso privati e soprattutto nei confronti dell’amministrazione pubblica.
Note positive anche dalla crescita dei volontari che aumentano in un terzo delle organizzazioni e restano stabili nelle altre. Con una buona percentuale di giovani (in media, il 25,3% dei volontari ha meno di 35 anni) che però è rimasto fermo alle cifre del 2011. La stabilità delle ore dedicate dai volontari all’Odv caratterizza il 60,0% delle organizzazioni; l’aumento il 29,5%. Insomma, come si legge nello studio, «meno di un’organizzazione su 10 ha visto nel 2013 diminuire la quantità di impegno profuso dai propri membri»
.

Sul secondo, mi fa molto piacere che ci sia un ritorno nel mondo del lavoro per chi da prova di generosità e sensibilità. Bellissimo che siano atti volontari, che a suo tempo ad in ingrandire i numeri di queste organizzazioni contribuiva e non poco la possibilità di evitare il servizio militare obbligatorio attraverso il servizio civile. Con la fine della leva, ci si preoccupò molto della possibilità di un crollo del numero dei "volontari". Pare che non sia accaduto, ancorché immagino una flessione ci sia stata. 
Peraltro, lo dico en passant, io un sei mesi di servizio civile obbligatorio ai nostri ragazzotti lo imporrei, così, tanto per fargli dare anche un'occhiata ad un mondo di difficoltà e disagi che nemmeno lontanamente s'immaginano, persi dietro i loro telefonini, tablet, converse e quant'altro. 
Comunque, bravi a quei giovani che lo fanno spontaneamente e che sono un quarto del totale. Minoranza (peccato) ma folta.

Se il volontariato ti cambia il curriculum 
«Decisivo per i giovani»
Rivela più passione e 
doti organizzative 
Di solito finisce in fondo al curriculum. Alla voce «altre attività». Ma è un elemento sempre più importante. A volte decisivo in un colloquio di lavoro. Perché il volontariato è sì un’esperienza non retribuita, ma a sentire «cacciatori di teste» ed esperti delle risorse umane per molte grandi aziende italiane e multinazionali è una realtà valutata positivamente. Non è un caso se negli ultimi mesi decine di enti locali hanno messo a disposizione uffici e siti web per «certificare» le attività «informali». Un documento da allegare al proprio curriculum vitae con le indicazioni sulla durata e sulle attività non profit svolte.
Il «modello» restano gli Stati Uniti. Lì il lavoro gratuito per la collettività è pratica comune. E tra i giovani diventa una voce da aggiungere alle attività svolte per presentarsi, bene, all’ammissione all’università o a un colloquio di lavoro. «Anche da noi il volontariato sta diventando un elemento importante nella selezione del personale», spiega Paolo Citterio, presidente nazionale dell’Associazione direttori risorse umane (Gidp). «Chi ha fatto attività senza scopo di lucro dà la sensazione di avere un passo diverso, sia a livello organizzativo che emotivo». Tanto che, rivela, «di fronte a due giovani candidati a un posto di lavoro le imprese mi chiedono di vedere chi ha fatto anche volontariato». «Oggi le società, anche quelle con ricavi a nove o dieci zeri, vanno a vedere cosa hai fatto di socialmente utile», continua Citterio. E, per una volta, il confronto con gli altri Paesi non ci vede in coda alla classifica. «Siamo nella media, abbiamo recuperato negli ultimi anni».
La tendenza è confermata anche da Andrea Castiello d’Antonio, consulente del lavoro e management. Che però precisa: «Il peso del volontariato nel curriculum dipende molto dal tipo d’impresa. Ci sono società incentrate sulla competitività che non guardano se hai fatto qualcosa di socialmente utile o no. E ce ne sono altre che a volte fanno del non profit un elemento discriminante durante i colloqui». In quest’ultimo caso — continua l’esperto — «pur trattandosi di attività non retribuite all’impresa interessa molto l’aspetto motivazionale che ha spinto il candidato a fare qualcosa senza ricevere in cambio denaro».
«Più la realtà non profit è strutturata, più l’attività svolta all’interno viene valutata e apprezzata dalle imprese e dai “cacciatori di teste”», ragiona Maria Cristina Bombelli, fondatore e presidente di Wise Growth, società che si occupa di analizzare la diversità in azienda. Motivo? «È più facile che in queste realtà il candidato abbia sviluppato competenze organizzative, manageriali e di rapporto con le persone che possono essere utili per la società che vuole assumere».
«C’è ancora molta strada da fare per raggiungere il livello americano, ma ci stiamo avvicinando», avverte Luca Solari, professore ordinario di Organizzazione aziendale all’Università Statale di Milano e visiting professor in management alla California Polytechnic State University. Il punto di svolta, secondo Solari, sarebbe quello di iniziare da piccoli. «Negli Stati Uniti ci si abitua già dalle scuole elementari a impegnarsi nel volontariato. La stessa cosa bisognerebbe fare, ma davvero, anche in Italia: non concentrandosi su attività di sensibilizzazione, ma strutturando un percorso fino all’ultimo anno di università». Perché, continua il docente, «per chi ricerca il personale quelle attività inserite nel curriculum diventano una spia importante per l’azienda: se si mettono insieme volontariato e il tempo impiegato, per esempio, per laurearsi si può avere un’idea delle capacità organizzative del candidato». Ma, avverte Solari, senza esagerare. «Le aziende vedono molto cosa uno ha fatto e per quanto tempo. Soprattutto: come l’ha fatto».

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