mercoledì 7 maggio 2014

I NUMERI CHE INCORAGGIANO RENZI CONTRO IL SINDACATO


La tentazione di votare Renzino se non altro per la promessa di farla finita con le concertazioni fin troppo care al presidente Ciampi, e di tagliare le unghie al sindacato, è forte.
MAI un leader del partito più forte della sinistra si era staccato così tanto dall'egida sindacale, in particolare, ovviamente, quella della CGIL. E infatti gli strilli sono forti e offesi. Nemmeno al Congresso è andato, e anche questo, da sinistra, è un inedito assoluto. 
Che la rottura in atto sia forte lo dimostrano le parole velenose dei leader degli altri due sindacati, Angeletti e soprattutto Bonanni. "noi ci saremo ancora quando tu non ci sarai più", immagino riferendosi al sindacato, che sarebbe sperabile che i due, grandicelli assai, si decidano a cedere il passo.
La frase è roboante e retorica, che è evidente che l'istituzione sindacale sopravvivvrà - anche nel fascismo c'erano le corporazioni - ma quello che in milioni auspichiamo è che non sia più com'è ora e da 30 anni a questa parte ! 
La CGIL manda avvertimenti : si ricordi il Premier che abbiamo oltre 5,5 milioni di iscritti. I dati sono del 2012, si sa che sono tarocchi (non so se è stato finalmente abolito il rinnovo tacito, dando per dirne una) e comunque più della metà, praticamente 3 milioni, sono pensionati...Altri 600.000 appartengono al settore pubblico, il più tutelato.  Ebbene i lavoratori autonomi, esclusi i professionisti, e quindi Artigiani (oltre 1.800.000), Commercianti (2.100.000) e Coltivatori ( quasi 500.000) rappresentano una forza lavoro VERA, non per la metà di pensionati, di 4.500.000 persone, cui aggiungere i circa 1.500.000 professionisti. 
Senza contare che poi vi è un'altra divisione importante all'interno del mondo di lavoro dipendente, dovendosi distinguere dal Pubblico e dal Privato ( solo i primi hanno posto e stipendio garantito) e poi tra aziende grandi e piccole - medie imprese, che costituiscono il 80% della forza lavoro privata, con, sempre dati del 2012 (quindi numeri che purtroppo avranno avuto un ritocco al ribasso), circa 12 milioni di addetti (le grandi aziende ne occupano circa 3 milioni).
Di fronte a questi numeri, perché quelli della CGIL si sentono ancora i depositari della rappresentanza esclusiva del lavoro ? Sicuramente sono più organizzati, e quindi sanno far pesare di più la loro forza corporativa, ma questo li fa divenire padroni del 1 maggio, come da sempre avviene da noi ? 
Secondo me tutti questi numeri Renzi li conosce bene ed è per questo che osa sfidarli, nel suo intento di rompere i vecchi fronti e acquisire nuovi elettori intrigati dal superamento del patto di ferro PCI-CGIL, proseguito anche dopo le trasformazioni del primo.
Nel dare resoconto di questo duello in atto, Dario DI Vico scrive un editoriale che ho trovato "timido".
Il giornalista ha peraltro il pregio di essere uno pacato nelle sue analisi, però, leggendolo abitualmente, e conoscendo quindi le sue critiche alle cattive abitudini sindacali (anche per lui ormai troppo conservativi e rigidi, incapaci di coniugare il futuro se non al passato) , avremmo pensato che nel riportare i fatti, in fase di commento si sarebbe sbilanciato un po' di più a favore del Premier.
COsì non mi sembra, e siccome l'editoriale dovrebbe esrpimere la "linea" del quotidiano, immagino che la timidezza vada estesa a de Bortoli, il che invece non sarebbe affatto una novità.




la ribellione della camusso
 
Con l’accusa rivolta al governo di distorcere la democrazia ieri a Rimini si è consumata la rottura tra la Cgil e il presidente del Consiglio Matteo Renzi. Non si può certo dire che si tratti di un fulmine a ciel sereno perché sin dal suo insediamento il premier non aveva fatto mistero di voler mettere in discussione il potere dei sindacati ma da una sede formale, come il congresso nazionale della Cgil, la risposta non poteva essere più secca. È vero che Susanna Camusso nel suo lungo discorso (un’ora e mezzo) è stata attenta a non eccitare la platea contro Palazzo Chigi, però ha riproposto per numerose volte il totem della partecipazione contro la verticalizzazione impressa alla politica italiana dal Rottamatore. I delegati al congresso, dal canto loro, erano disposti a scoprirsi ancora di più e infatti i leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, intervenuti nel pomeriggio hanno ricevuto i maggiori consensi quando hanno preso di petto Renzi con battute del tipo «chi va piano va sano e non va a sbattere» e «noi c’eravamo quando sei arrivato e ci saremo quando te ne sarai andato». Una frase che il direttore del New York Times del tempo rivolse nientemeno che a Ronald Reagan!
La contesa di Camusso con Palazzo Chigi non è si è limitata ai temi della cultura politica della sinistra e del rapporto tra istituzioni e rappresentanza, ha investito anche le scelte di merito del governo. La Cgil ha confezionato per il suo congresso una sorta di agenda alternativa fatta di quattro priorità (pensioni, ammortizzatori sociali, lavoro povero e Fisco) che conta di trasformare in altrettante vertenze. E visto il seguito parlamentare di cui il maggiore sindacato italiano gode a Montecitorio equivale a un’altra mezza dichiarazione di guerra. Ma al di là della possibile guerriglia parlamentare l’impressione è che Renzi abbia scelto di contrapporsi frontalmente al sindacato («la musica è cambiata, meno permessi e pubblichino le spese online» ha replicato in serata) perché la giudica una scelta vincente anche dal punto di vista elettorale. La scommessa contenuta nel suo «i sindacati non mi fermano, andrò avanti», ribadito nell’intervista rilasciata al Corriere domenica scorsa, è che in qualche maniera la società dei non garantiti e dei Brambilla guardi con favore a lui come al castigamatti dello strapotere sindacale. Si tratta di un cambiamento epocale rispetto alla recente stagione di Pier Luigi Bersani e della piena consonanza tra Pd e Cgil, una discontinuità che Renzi spera possa essere apprezzata in alcune aree del Nord e del lavoro autonomo. Se ciò dovesse avvenire si accentuerebbe la differenza, che già oggi si può registrare, tra il perimetro del consenso di cui gode il premier e la tradizionale constituency del suo partito.
Gli elementi di scomposizione di quello che una volta era il compatto universo della sinistra italiana non riguardano solo la dialettica estrema tra sindacato e partito ma anche la forte polemica avviata dalla Cgil nei confronti delle Coop e ribadita a Rimini. Di mezzo c’è la figura di Giuliano Poletti che Camusso chiama in causa sempre più spesso sia come ministro per le scelte di «ulteriore precarizzazione del mercato del lavoro» sia come ex presidente della Lega per non aver saputo arginare il fenomeno delle cooperative illegali.

1 commento:

  1. CATERINA SIMON

    ltre che trovarlo timido, come dici tu, leggendolo sono rimasta delusa dal fatto che Di Vico abbia completamente tralasciato di commentare la frase della Camusso, secondo la quale Renzi, rinunciando alla concertazione, distorcerebbe la democrazia. A me pare l'esatto contrario, e che sia invece proprio il concetto stesso di concertazione a distorcere la democrazia. In un regime democratico il cittadino si dovrebbe aspettare che il partito vincitore delle elezioni attui il programma in base al quale ha ottenuto i voti e non che questo venga stravolto dall'intervento di libere associazioni NON elette dai cittadini. In questo modo si svilisce e si indebolisce la forza del voto elettorale e quindi la democrazia. Il sindacato non rappresenta la maggior parte dei lavoratori come la Confindustria non rappresenta la maggior parte delle imprese, a che titolo entrano a sindacare e correggere l'operato del Governo? L'unico ad avere questo titolo è il cittadino, attraverso l'unica arma consentita in democrazia, cioè il voto. Mi meraviglia e mi allarma che invece si possa ribaltare in questo modo, e credo anche in perfetta buona fede, un concetto che dovrebbe invece essere alla base del funzionamento della democrazia.

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