martedì 27 maggio 2014

OPINIONI POST ELEZIONI : LA CRISI DEL CENTRODESTRA, VISTA DA PIERLUIGI BATTISTA

 
Ha ragione da vendere Pierluigi Battista - il secondo opinionista che proponiamo in questa giornata ai commenti autorevoli del post elezioni , dopo Angelo Panebianco :   http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/gli-opinionisti-e-la-vittoria-di-renzi.html - quando titola e scrive che è un errore sommare i voti delle varie sigle del centro destra per "consolarsi" della sconfitta elettorale di domenica. Così come non basta continuare a dirsi : i nostri elettori sono delusi e si astengono ma non votano il PD. In primo luogo perché non è più così vero, che  ben il 20% di coloro che a febbraio 2013 aveva votato il PDL, stavolta ha votato Renzi, e non si può escludere che anche coloro che allora si astennero, stavolta abbiano deciso di votare il nuovo uomo della provvidenza italiana. In secondo, questa gente , quella che continua ad astenersi, come la convinci a tornare a votarti ?
Il dramma è sempre lì ; il post Berlusconi, l'uomo che nel 1994 sostituì il collante del voto moderato (aggiungendo il sogno spezzato della "rivoluzione liberale") che era stato rappresentato per decenni prima dalla sola DC e poi dal pentaparito a trazione craxiana, e che oggi (veramente da un po') ha esaurito la sua capacità aggregante. E' anche normale che sia così, dopo 20 anni, e a 78 dell'uomo, anche a voler prescindere da tutte le sue traversie. Quale leader mondiale, che non sia un dittatore - e anche in questo caso non sono molti - ha retto così tanto la scena con un ruolo egemone (nel bene e nel male) ?  Un grande statista come Kohl ( e il Cavaliere non è lontanamente paragonabile al gigante che è stato il tedesco) durò 16 anni, la Tatcher 11, Blair 10, Mitterand 14, Chirac 12. Insomma, sono le figure di seconda fila che possono durare nel palazzo decenni e decenni, ma chi arriva al vertice ha fisiologicamente un periodo di durata più breve e quello toccato al Cavaliere è già eccezionale.
Ciò posto, nel centro destra non è MAI esistito un partito che di per sè attraesse milioni di elettori per comunanza ideologica propositiva. La colla indispensabile di cui giustamente parla Battista sono stati l'anticomunismo (fondamentale), la gestione del potere (idem) e il carisma del leader (e questo in effetti è stata prerogativa precipua del Cavaliere, che tra i democristiani non è che, specie dagli anni 70 in poi, abbondasse). Oggi questi elementi sono tutti in crisi, sia pure in misura diversa. All'anticomunismo, visto che i comunisti sono rimasti 4 gatti, si è sostituita l'anti sinistra ma ha tratto meno robusto (ancorché c'è, avoglia se c'è !) . Oltretutto Renzi, che nasce ed è visto come outsider, un visitor della Sinistra storica , cui non appartiene proprio per anagrafe e incipit politico, è abilissimo a proporsi come leader che si rivolge a tutti gli italiani, non solo ai "suoi". Insomma, niente più "ditta" ed "identitarismo", cari a Bersani, che infatti ci ha perso le elezioni del 2013 (ora c'è la controprova ! ). 
Berlusconi stesso non può e non riesce ad attaccare il Toscano su questo piano, e cerca di buttarla sulle tasse. Il Potere, dal 2011 il centrodestra l'ha perso, ma in realtà è dal 2009, con i primi morsi della crisi proveniente da oltreoceano e la diaspora finiana (a proposito, notizie di Fini ? fa il babbo ? ) che il declino si era innescato, e l'erosione non è mai cessata, elezione dopo elezione. 
Del Leader, abbiamo già detto del Cavaliere, e non se ne vedono di nuovi. 
Manca il Renzi della destra, cioè una figura giovane, capace, carismatica, capace di affascinare e coinvolgere, come fece l'allora sindaco toscano inventandosi la "rottamazione", sfidando i capi storici, e battendoli , uno per uno. 
Se non arriva una figura così, dovremo sentire i deliri della Lorenzin che saluta in video il "successo" (??????) del NCD, che ha preso 1.200.000 voti....
La signora, che non mi era antipatica prima del suo incatenamento alla poltrona di ministro, ha fatto  un video ironico giocando sempre su 'sta storia del Maalox dicendo a Grillo " per stavolta prenditelo tu". In realtà, con autoironia (cosa ben più difficile) il comico genovese aveva già provveduto. Però mi domando, ma quali sostanze psicotropiche si prendono quelli del nuovo centro destra ? Dicevano che i loro sondaggi li davano all'8% (vabbè, propaganda, si può capire), in realtà pensavano di arrivare al 6, traguardo che i sondaggisti VERI non escludevano. Alla fine per puzza - come diciamo a Roma - hanno varcato il quorum del 4%, IMBARCANDO - possibile che nessuno lo ricorda MAI ??? - l'UDC di Casini, che insomma, per quanto malmessa, almeno UN PUNTO percentuale lo avrà portato no ?? . Intanto Lorenzo Cesa,UDC, ha preso 55.000 preferenze, PIU' della Lorenzin, che si vanta delle sue 33.000, che di Lupi, fermo a 44.000. E loro sono due ministri..
Ma ci fanno (cosa che penso), o ci sono (cosa grave, nel caso) ??

Ecco, se questo è l'andazzo, Renzi da questo lato può stare veramente sereno, che non avrà avversari elettorali da qui a non si sa. 




“Per ricostruire la destra moderata non basta sommare i vecchi partiti” 
di Pierluigi Battista 




La cosa peggiore per il centrodestra, o per ciò che resta del centrodestra sempre che esista ancora una coalizione così denominabile, sarebbe consolarsi con esercizi da pallottoliere. Dicono: ma in fondo la somma di Forza Italia, Ncd, Lega e Fratelli d’Italia sta più o meno sul 30 per cento, mica è tutta questa disfatta di cui si parla. Solo che la differenza tra l’aritmetica e la politica passa per una colla solida e resistente. Senza la colla di una leadership, di un dialogo ritrovato con un elettorato frastornato, di un richiamo forte esercitato su quel pezzo vastissimo di società che ne era il pilastro, il centrodestra resta solo una figura numericamente astratta, incapace di competere con un Renzi che (un anno dopo Grillo, peraltro) ha saccheggiato immensi tesori di voti nei recinti dell’ex polo berlusconiano. E che non torneranno più. A meno che, per dare una nuova casa ai moderati italiani messi in fuga nella diaspora, non spunti un Renzi di destra, come già aveva esortato Angelo Panebianco sul Corriere , in tempi non sospetti.
Solo che un Renzi di destra, per essere credibile, deve ribaltare il pesante fardello di luoghi comuni che rischiano di portare lo schieramento berlusconiano alla dissoluzione. Il luogo comune di stampo cortigiano secondo cui il dissenso, la lotta politica aperta, persino la critica feroce nei confronti di Berlusconi (il «renzismo» come categoria mentale non prevede infatti tabù intoccabili, anzi la sua ragion d’essere sta nel volerli sfidare) siano sinonimi di «tradimento», o addirittura di «ingratitudine» e dunque bersagli da colpire e persino dileggiare o stroncare con spietate campagne di stampa nella difesa fideistica del Capo. Il luogo comune che assegna i motivi della sconfitta all’azzoppamento giudiziario del leader, quando invece il declino rovinoso del berlusconismo aveva già distrutto quello strabiliante 38 per cento (vicino al 40 dell’attuale Pd) del 2008 del Pdl, poi ridotto tristemente alla metà nel giro di un solo quinquennio, anche in questo caso regalando parte del proprio patrimonio elettorale alla protesta esagitata di Grillo. Il luogo comune miracolistico che da anni accompagna come un mantra l’establishment unanimistico del centrodestra, la certezza che Berlusconi «qualcosa si inventerà»: solo che stavolta non si è «inventato» niente, e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Il luogo comune secondo cui le primarie sono una perdita di tempo, perché «il leader già ce l’abbiamo». Un luogo comune due volte falso: perché le primarie (sin da quelle per il candidato sindaco di Firenze) sono state il grimaldello con cui Renzi ha conquistato un partito riottoso per poi trionfare alle elezioni. E perché il centrodestra un leader non ce l’ha più. O meglio, ce l’avrebbe per gestire una sconfitta, ma non ce l’ha anche solo per disegnare lo scenario di una possibile competitività con un avversario fortissimo e oggi imbattibile. E non ha nemmeno una nuova classe dirigente che diffonda in tutta Italia il senso di una presenza non effimera: se ne accorgeranno presto, quando il Pd sfilerà loro Regioni e Comuni in modo quasi totalitario. Senza contrappesi, come si dice, distribuiti «nel territorio».
La somma dei partiti è puramente virtuale. Uno schieramento spezzettato non è la stessa cosa di uno schieramento unito. Salvini e Alfano possono coabitare solo se a dare l’impronta sia una leadership forte, autorevole, non diplomatica, capace di operare una seria «rottamazione» di un ceto politico sfiancato, prigioniero della sua ripetitività, schiacciato dalla soggezione nei confronti di Berlusconi. Ancora una volta: si è molto ironizzato sulle «primarie» del Pd. Qualche volta hanno dato l’impressione di un pollaio impazzito, ma con il senno di poi non si può riconoscere che sono state una pagina di lotta politica che ha forgiato una nuova leadership e una nuovissima classe dirigente. Come fanno i maggiorenti del centrodestra a non capire che la fotografia del nuovo Pd in festa per il trionfo è l’immagine di un partito libero dalla polvere che oggi offusca e appesantisce un berlusconismo stanco, in ritirata, senza idee?
Si obietterà che non è importante la rifondazione di un centrodestra che voglia reagire all’ineluttabilità della sua fine. Lo è perché c’è un popolo di centrodestra, di partite Iva, di commercianti, di artigiani, di piccoli e medi imprenditori, di «ceto medio» che è politicamente orfano, abbandonato da una dirigenza sempre più ripiegata in se stessa, sempre più incapace di parlare al grosso della società, al suo «nerbo produttivo». Da una discussione aperta, anche crudele, ma vera, democratica, non oligarchica, non di facciata, non con i servilismi che si usano a corte, il centrodestra potrebbe persino ritrovare le ragioni di una sua identità nuova. Purché si liberi dei suoi luoghi comuni e capisca di dover aprire una storia totalmente nuova, non una somma aritmetica di sigle.

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