venerdì 23 maggio 2014

PER RENZI UBER E' UNA "FIGATISSIMA" , E ALLORA SI PREPARANO I TASSISTI ROMANI....


Qualche giorno fa avevo postato un articolo de La Stampa che aveva trattato il caso UBER e la rivolta dei tassisti (milanesi allora) per questa nuova sleale concorrenza. In realtà l'aggettivo sleale è formalmente scomodato, perché quand'anche diventasse "leale", ai tassisti non andrebbe bene lo stesso, perché è la concorrenza che a loro, come a tutti, NON piace. 
E infatti a suo tempo si ribellarono a Veltroni perché aveva aumentato il numero delle licenze a Roma. 
Avevo anche citato il caso dei piccoli negozi uccisi dalla grande distribuzione. Si poteva fermare la seconda ? No, anzi è diventata ancora più "spietata", con i supermercati aperti ormai a tempo continuato e anche la domenica. Una cara amica mi ha risposto con un accorato ma anche ragionato commento, spiegando la posiziona dei tassisti, che ben conosce visto che il marito (peraltro ingegnere) fa quel lavoro. Potete leggerlo in calce al link http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/05/uber-il-colosso-americano-che-si.html .
Se ho capito bene, i piccoli commercianti erano isolati, non fecero "corporazione" adeguata, e hanno finito per soccombere. I tassisti invece sono compatti, e quindi resistono. Quindi non c'entrano la modernità, il progresso ed, eventualmente, magari anche l'interesse degli utenti. Sono rapporti di forza, semplicemente. Sicuramente ha ragione, almeno per la parte che prende in considerazione. Però i rapporti di forza possono mutare, e in genere lo fanno a favore di ciò che conviene di più ai più. 
Guardate la concorrenza in campo telefonico, FEROCE, o quella in generale nel settore informatico, dove PC portatili eccellenti li puoi trovare anche a 400 - 500 euro quando costavano almeno 2 milioni di lire. L'articolo de La Stampa, che propongo stavolta, fa l'esempio della concorrenza della rete ad un mare di cose, tra cui l'editoria, l'informazione. Ci si è dovuti adattare, spiega Ruffili, il giornalista autore della riflessione di seguito proposta.
 Lei stessa, la mia amica, ha pagato lo scotto della concorrenza allucinante in campo forense, con la pletora di disoccupati con la laurea in giurisprudenza che non trovando più le porte aperte del pubblico impiego, ai vari livelli, si sono riversati nell'avvocatura. Eravamo circa 50000 quando iniziai, 28 anni fa, adesso gli iscritti sono 250.000 (?!?!).  Disoccupati lo stesso, o meglio con ben scarso lavoro, però almeno si possono chiamare "avvocati". Oltretutto, nella nostra professione, uno può almeno provare a sostenere che una maggiore selezione di accesso dovrebbe servire a garantire l'utenza dai danni, grandi obiettivamente, che un avvocato impreparato può procurare. 
Ma per guidare un'auto basta la patente, e infatti questo UBER richiede ai suoi affiliati : possedere un'auto e avere l'abilitazione alla guida (oltre a non avere precedenti penali...che c'entra ? ). Il maggior controllo semmai è quello fornito dai clienti, cui viene richiesto nell'app. il giudizio sul servizio ricevuto, e chi raccoglie giudizi negativi, viene ammonito e poi escluso (il che sembra una figata, però bisogna stare anche attenti ai clienti, che di gente strana e peggio ce n'è in giro, basta vedere le querelle - e querele - che si susseguono con tripadvisor). 
Certo, i tassisti assicurano un servizio pubblico, sono soggetti a tutta una serie di regole stringenti (orari, turni, ferie, tariffe ...) e quindi che Mercato è se uno dei concorrenti ha un braccio legato ? Giusta osservazione. Ma anche qui poi la soluzione NON passa per slegare il braccio ai tassisti, piuttosto si cerca di conservare lo status quo.
L'obiettivo è la tutela del monopolio.
E questa è una battaglia che alla fine perderanno, perché è la vita che è così. Ma alla fine, e noi ormai siamo schiacciati sul presente, per cui fino a che si può, si resiste sulle posizioni.
Quelli di Uber, forti dell'endorsement del Premier (il tuo segretario cara Maria Luisa...i colpi bassi arrivano sempre da dove meno uno se l'aspetta...), sono convinti che si arriverà ad una soluzione di compromesso e che l'attuale irrigidimento del Ministro Lupi era funzionale ad abbassare la tensione.
Staremo a vedere.





Uber, o dell’innovazione che non c’è

Per il premier Renzi “è un servizio straordinario”. Ma le proteste dei tassisti sono un segnale delle difficoltà che incontra in Italia chi vuole cambiare lo stato di cose. Accettando la sfida del progresso e non aggirandola

«Io ho utilizzato Uber a New York con un amico. L’ho trovato un servizio straordinario, dalla prossima settimana affronteremo anche questo». Lo ha detto ieri Matteo Renzi intervenendo a Radio anch’io sulla questione che ha provocato la protesta dei tassisti milanesi. E intanto l’app arriva in cima alla classifica delle più scaricate nell’App Store di Apple.

Dietro i litigi dei tassisti, dietro le prese di posizione a favore o contro l’app c’è però un mondo che si scontra con un altro. Al netto dei proclami preelettorali, della voglia di portare dalla propria parte una categoria di lavoratori, l’intera vicenda di Uber (e ora anche di Uberpop) è un segnale di quanto l’Italia sia aperta all’innovazione.  

Un paragone interessante potrebbe essere quello con i blog: quando, ormai una decina di anni fa, hanno cominciato a diffondersi anche in Italia, certo nei giornali e nei siti web c’è stata preoccupazione. Discussioni, spesso anche accese. Ma certo nessun giornale ha mai scioperato conto i blog. Sappiamo com’è andata: i giornali - di carta soprattutto - sono sempre più in difficoltà, i siti web di informazione cercano affannosamente nuove idee. I blog resistono, ma il fenomeno è molto ridimensionato, perché oggi le notizie passano attraverso da Facebook, Twitter, Google, che dieci anni fa non esistevano o non avevano il rilievo che hanno oggi.  

Perché la tecnologia, quando è al suo meglio,è capace di mettere in discussione, rimescolare, suggerire strade nuove. E se un blog non è (sempre) un’alternativa a un giornale, se Uber non sarà la fine dei tassisti, c’è però da sperare che entrambi portino una ventata d’aria nuova. Il digitale distrugge, ma poi ricrea, e non è detto che un ordine, uno stato di cose sia il migliore possibile (attenzione: non è scontato che quello che viene oggi sia meglio di ieri). Pensiamo alla musica, alla devastazione che il mercato ha subito per gli Mp3. Le major hanno chiuso Napster nel 2001, ma il progresso non si poteva fermare con una sentenza. E infatti è arrivato iTunes, con l’idea del download di brani singoli, e oggi è il più grande negozio di musica del mondo. E insieme sono tornati i dischi in vinile, per una nicchia di appassionati che cresce lentamente ma costantemente. Oggi iTunes è già superata, l’idea di acquistare brani ricalca troppo da vicino il meccanismo dei negozi di dischi, e per questo è lo streaming a crescere (vedi ad esempio di 10 milioni di utenti paganti di Spotify annunciati proprio ieri). È la lezione della tecnologia: mentre un’industria si affanna a combattere una minaccia, ecco che ne spunta una più nuova e potenzialmente più distruttiva.

Così di tassisti ci sarà sempre bisogno, e di auto pubbliche, e a noleggio. Ma la sfida bisogna affrontarla, non ostacolarla. Con i blog, i giornalisti hanno imparato a convivere: li hanno studiati, ci hanno scritto, spesso li hanno ospitati nei siti web e sulla carta (anche La Stampa lo fa). Con l’idea che in un mondo in continua trasformazione ci sia spazio per tante nicchie, che possono completarsi a vicenda. La sfida si combatte altrove: sul piano della competenza della professionalità, dell’autorevolezza, della capacità di scrittura. O con l’indipendenza, il coraggio di scelte impopolari, la velocità, la creatività. E non sempre queste caratteristiche stanno tutte da una parte o dall’altra. Bisogna conoscere i propri punti di forza e puntare su quelli, lavorando al contempo per correggere difetti, mancanze e debolezze.  

Non è questo che mostra la vicenda di Uber, ci sembra. E anzi, i tassisti di motivi per protestare contro Uber ne avrebbero relativamente pochi, essendo un servizio che interessa chi avrebbe usato un’auto a noleggio e non un taxi. Più sensato pare invece l’accento sulla questione fiscale (la sede legale di Uber per l’Europa è infatti in Olanda, e in Italia il servizio non paga tasse). E intanto per i conducenti di auto bianche c’è già una nuova minaccia, Uberpop: trasforma chiunque in un potenziale tassista che può offrire passaggi a pagamento, a prezzi decisamente convenienti. Per Maroni è illegale: «La normativa vigente non consente l’uso dell’app Uberpop».

Chissà come il presidente della regione Lombardia giudicherebbe MyTaxi, che in Germania permette di pagare il conducente direttamente con lo smartphone e valutare puntualità, competenza, stato della vettura. Chi è al di sotto di certi standard viene invitato a rimediare o escluso dal giro dei tassisti convenzionati. È un ottimo esempio di come l’innovazione può aiutare tutti: i conducenti, che vedono ripagati i loro sforzi con un feedback positivo, i clienti, che hanno un servizio migliore, gli inventori dell’app, che guadagnano dalla loro idea, lo stato tedesco, che incassa iva e tasse sul servizio (la startup ha sede ad Amburgo).

Non avere paura di arroccarsi sulle posizioni raggiunte col tempo: questo significa aprirsi all’innovazione. Un atteggiamento che ai tassisti sarebbe doppiamente utile: intanto per immaginare come portare la loro professione e la loro professionalità nel futuro, poi per fare i conti con un presente in cui la loro immagine è offuscata dalla vicenda di Uber (e qualche anno fa c’era stata la protesta per il rinnovo delle licenze a Roma). Perché la storia, come scriveva Walter Benjamin, è un angelo. Che ha il viso rivolto al passato, da cui arriva una bufera così forte che “lo spinge verso il futuro, cui volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Ciò che noi chiamiamo il progresso, è questa bufera”. Siamo spinti verso il futuro, ma non riusciamo a vederlo, perché il nostro sguardo è rivolto al passato. 

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