lunedì 30 giugno 2014

150.000 LEGGI CONTRO LE 10.000 DI FRANCIA E GERMANIA. MA COME MAI LE RIFORME NON PARTONO DA QUI ?

 
L'articolo è sintetico ( infatti è inserito nella rubrica delle "particelle elementari" di Pierluigi Battista sul Corsera ) ed utile. Un brevissimo memorandum sullo Stato famelico e asfissiante che in Italia nessuno vuole veramente riformare. Non Berlusconi, che parlava di rivoluzione liberale, e non la fece, tantomeno lo farà Renzi, che forse , e sottolineo forse, ha l'obiettivo di eliminare le inefficienze più macroscopiche, ma la struttura statalista resterà, e con essa la miriade di parassiti che essa genera. Lo spunto viene dal libro di Paolo Bracalini, giornalista e attento ricarcatore dei dati quando s'impegna in un saggio.
Da leggere entrambi : l'articolo e il libro


Tutti i numeri dello Stato famelico 
Sì, certo, avere speranza, l’Italia può uscire dalla palude, uno sforzo tutti insieme, e va bene. Ma poi i numeri di un’invadenza statale asfissiante e senza limiti uccidono ogni speranza. E allineare le cifre dell’oppressione statalista raccontate da Paolo Bracalini nella Repubblica dei mandarini pubblicata da Marsilio toglie il fiato. Non per le tante bizzarrie surreal-burocratiche che fanno dell’Italia un Paese bellissimo, un Paese ridicolo. Ma per la scientifica e pervicace volontà di mortificare, di soffocare gli spiriti animali del mercato, ogni desiderio di fare, ogni audacia, ogni energia imprenditoriale, ogni voglia di uscire dal pantano.
«Lo Stato parassita è vorace quando deve incassare, ma lentissimo quando deve pagare». Se sei in credito con lo Stato, mettiti in fila e aspetta 450 giorni, la media del tempo che ci vuole per farsi restituire i propri soldi. Se invece paghi in ritardo anche di un solo giorno, il Moloch pubblico, l’aguzzino fiscale ti sequestra i beni, guadagna indebitamente sull’«aggio», e sbaglia addirittura nel 48,3 per cento delle volte in cui i tartassati fanno ricorso. Il giurista Sabino Cassese calcolò in circa 150 mila leggi l’abnorme carico di regole che paralizzano l’Italia, contro le circa 10 mila di Francia e Germania: e ogni volta si chiedono in aggiunta «nuove regole». Per aprire un negozio devi adempiere per legge a 118 procedure. Una nuova manifattura, tra autorizzazioni, concessioni, «subingressi», comunicazioni richiede soltanto 84 obblighi di legge da rispettare. Nella giustizia civile bisogna attendere in media 1.210 giorni per recuperare un credito. Le imprese sono costrette a 15 pagamenti annui che richiedono mediamente 269 ore l’anno per «inghiottire», annota Bracalini, il 65,8 per cento dei profitti. Per complicarci ancora più la vita dal 2008 al 2013 «sono state approvate ben 491 norme fiscali, di cui 288 con impatto burocratico sulle imprese». Per gli adempimenti tributari è necessario ogni anno un tempo pari a 36 giorni lavorativi.
A Firenze un mercato dell’Esselunga ci ha messo 44 anni per aprire. Il titolare dell’omonimo pastificio, Giovanni Rana, ha raccontato che per aprire uno stabilimento a Chicago ci ha messo un settimo del tempo impiegato in Italia, sette anni, per dare lavoro a centinaia di persone. La British Gas, dopo undici anni di paralisi e di attese inconcludenti, ha rinunciato al progetto del rigassificatore di Brindisi: 125 milioni di euro buttati, un migliaio di posti di lavoro anch’essi buttati. Con le tasse occulte la pressione fiscale raggiunge quasi l’80 per cento: leggete bene le bollette e ve ne accorgerete. E vi accorgerete che catastrofe è stato il discredito verso un’espressione ormai sputtanata, «rivoluzione liberale», ma che era l’unica speranza di mettere a dieta uno Stato prepotente e oppressivo, l’unica speranza di ripartire davvero, l’unico modo per uscire dal pantano. Chissà come, oramai. Chissà quando.

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