mercoledì 20 agosto 2014

LA CARENZA DI FIDUCIA CI FA SENTIRE PIù POVERI DI QUELLO CHE SIAMO


Considerazioni generali quelle di Michele Ainis cui è affidato l'editoriale odierno del Corriere della Sera dove vengono ricordate alcune verità conosciute :  gli italiani da tempo sono un popolo che ha perso fiducia nel futuro e questo pessimismo diffuso ci rende più poveri di quello che realmente siamo.
Nel mio piccolo, lo avevo notato qualche anno fa, andando a Madrid per Natale, dove trovai una città colorata e vivace come da tempo non vedevo Roma ma anche altre grandi e belle città italiane. Lo sciame di gente che girava per le vie era sorridente, allegramente rumoroso. Eppure la bolla immobiliare era già esplosa, e il mito di  Zapatero (fugace icona della sinistra italica...aspettiamo Tsipras)  era già bello che tramontato, tanto è vero che il premier spagnolo si era dimesso anzitempo e le elezioni vennero vinte dal centrodestra di Rajoi.  A conferma di questa sensazione, il ricordo di come i miei nonni e le persone della loro generazione fossero più semplici e anche più serene rispetto ai loro figli e soprattutto ai loro nipoti. 
Questa carenza di fiducia non viene dal nulla, spiega Ainis, che ricorda il cattivo rapporto tra cittadini ed istituzioni, dove le colpe sono diffuse ma dove non si può non convenire sul fatto che un illecito, una buona fede tradita da parte dello Stato non ha lo stesso peso specifico di atti simili commessi dai governati.
E così, sono in molti ad ipotizzarlo, gli 80 euro munificamente elargiti da Renzi ai suoi elettori non sono stati spesi dai beneficiati, come era nelle speranze del Premier, ma tenuti da parte per le tasse successive. E questo perché quando i governanti dicono che "non ci saranno manovre aggiuntive" e quindi negano nuove tasse, la mano degli italiani corre preoccupata a vedere se il portafogli è al suo posto...




UN SENTIMENTO IMPALPABILE
di MICHELE AINIS



Ti guardi attorno e incontri facce rattristate, umori torvi, occhi disillusi. Il futuro non è più quello d’una volta, diceva Valery; specialmente qui in Italia. Una ricerca dell’istituto tedesco Iw, appena diffusa, mostra come in Europa la povertà reale sia di gran lunga minore rispetto a quella percepita; e gli italiani (al 73%) si percepiscono poverissimi, molto più degli altri popoli europei. Perché sono poveri di speranze, d’ottimismo, di fiducia. Ecco, la fiducia. Quel sentimento volubile e impalpabile come volo di farfalla che nutre l’economia non meno della politica, non meno delle istituzioni. Se pensi che il peggio arriverà domani, non spenderai un centesimo dei tuoi pochi risparmi, neanche gli 80 euro che t’ha messo in tasca il governo; e il crollo dei consumi farà inabissare il sistema produttivo. Se vedi tutto nero, qualsiasi inquilino di Palazzo Chigi indosserà ai tuoi occhi una camicia nera, meglio combatterlo, con le buone o con le cattive.
C’è un farmaco per curare questa malattia ? A suo tempo Berlusconi dispensò sorrisi e buoni auspici, raccontò di ristoranti pieni e aerei con i posti in piedi, promise di soffiare in cielo per scacciarne via le nuvole. Renzi rischia di ripeterne l’errore, se alle sue tante promesse non seguiranno presto i fatti. Perché una promessa mancata è un tradimento, e nessun tradimento si dimentica. Vale nelle relazioni amorose: se lo fai una volta, non riavrai mai più quella fiducia vergine e incondizionata che t’accompagnava durante i primi passi della tua vicenda di coppia. E vale, ahimè, nei rapporti con lo Stato. Che ci ha buggerato troppe volte, e ancora ce ne ricordiamo. Nella memoria nazionale campeggia, per esempio, il prelievo del 6 per mille sui depositi bancari deciso nottetempo dal governo Amato, fra il 9 e il 10 luglio 1992. Fruttò 11.500 miliardi di lire, una manna per i nostri conti perennemente in rosso; ma «’l modo ancor m’offende», direbbe il poeta. E l’offesa si traduce in un riflesso di paura ormai diventato atavico, che si gonfia a ogni crisi. Le cassette di sicurezza delle banche sono piene di contanti, lo sanno tutti, e la ragione sta proprio in quel remoto precedente.
Adesso, a quanto pare, tocca alle pensioni. Come se non fossero bastati gli esodati, gente mandata in pensione senza pensione dallo Stato: un’altra truffa, e 3 anni dopo non sappiamo nemmeno quanti siano. Speriamo almeno che l’esecutivo sappia d’una sentenza costituzionale (n. 116 del 2013) che ha già bocciato il prelievo introdotto dal governo Berlusconi, perché colpiva i pensionati, lasciando indenni le altre categorie di cittadini. L’ennesimo colpo alla fiducia collettiva, come le bugie di Stato, come le rapine fiscali, come le leggi ingannevoli che parlano ostrogoto per non farsi capire, neanche dai parlamentari che le votano. Eppure è la fiducia, è l’affidamento nella lealtà delle istituzioni, che dà benzina alle democrazie: non a caso il primo termine conta 485 ricorrenze nelle decisioni della Consulta, il secondo 500. Mentre il diritto civile tutela l’«aspettativa» circa la soddisfazione dei propri legittimi interessi. E in effetti un’aspettativa ce l’avremmo, per ritrovare qualche grammo di fiducia. Ci aspettiamo dal governo — quale che sia il governo — il linguaggio della verità, non le favole che si raccontano ai bambini. E ci aspettiamo che ogni sua decisione sia leale, affinché sia legale.

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