Continua la polemica tra coloro che criticano l'egoismo tedesco, ed un'Europa egemonizzata da Berlino, e quelli che sostengono che questo sia il facile alibi delle cicale che non vogliono proprio far ei sacrifici cui troppe allegre gestioni passate le costringono.
Dopo l'editoriale di Galli della Loggia ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/galli-della-loggia-se-la-prende-con-la.html), la replica di Bini Smaghi ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/09/da-sette-giorni-sono-dieta.html), tocca oggi a Bragantini dire la sua, decisamente in linea col primo e quindi in contrasto col secondo.
A Napoli, domani o post, si riunisce la BCE, e vedremo se tra Draghi e i tedeschi saranno scintille.
Berlino e il sogno miope
di un’europa tedesca
A rischiare è l’intera Ue
Il dialogo europeo si fa sempre più aspro, scuoterà la Ue dalle fondamenta. Le regole adatte a un’unione fra eguali non reggono più in una Ue ormai dominata dalla Germania, scrive Ernesto Galli della Loggia ( Corriere , 29 settembre). Per Lorenzo Bini Smaghi, invece, dobbiamo fare le riforme, dopo avremo più ascolto ( Corriere 30 settembre).
Nel 1989, al crollo del Muro, la Repubblica Federale aveva dimensioni simili a Francia e Italia, gli altri grandi Paesi fondatori della Ue, sui quali ora, unita, torreggia. La unificazione tedesca nacque dallo «scambio» fra il cancelliere tedesco Helmut Kohl e il presidente francese François Mitterrand: la Germania abdicava all’egemonia monetaria che il marco le dava, facendolo confluire nell’euro, il cui governo avrebbe da quel momento condiviso con altri. In cambio i vincitori della guerra permettevano il ritorno all’unità del Paese che — con la nostra scellerata partecipazione — ridusse l’Europa in macerie; svanita la memoria di quelle, la Germania unita, più forte anche per gli sforzi fatti e per le proiezioni produttive nei Paesi ex comunisti, scorda l’altra metà dello scambio, ricorda Marcello De Cecco ( Repubblica , Affari&Finanza , 8 settembre); non le basta più essere solo prima inter pares nella Ue. Da qui vengono le accuse alla Banca centrale europea di finanziamento monetario del deficit e la sfida anche legale alle sue iniziative.
Stridono con la saggezza di Kohl — «Voglio una Germania europea, non un’Europa tedesca» — le uscite del ministro delle Finanze tedesco. Che bisogno aveva Wolfgang Schäuble di spiazzare platealmente il presidente della Bce Mario Draghi, dicendo che i suoi discorsi sono fraintesi? Per il ministro, la Bce ha già fatto troppo, la sua eterodossia innescherà nuove bolle speculative. Ma non era la Germania a volere una Bce indipendente dalla politica? Quella altrui, è chiaro. Per Schäuble il torto di Draghi è vedere l’eurozona in prospettiva unitaria, anziché attraverso un caleidoscopio di 18 spicchi, e dire che il rischio di far troppo poco è ben maggiore di quello di far troppo; per chi venisse da Marte parrebbe ovvio, ma nella Ue di oggi sono parole coraggiose.
Le preoccupazioni di Draghi sono condivise negli Usa, il cui ministro del Tesoro, Jack Lew, invita la Germania a politiche fiscali espansive. Gli Usa vogliono sì difendere il «privilegio esorbitante» di emettere la valuta di riserva del mondo; se si agitano non è per eurofilia, né per i rapporti fra Draghi e l’ establishment Usa che allarmano qualche europarlamentare dietrologo. C’è invece genuina paura sulle conseguenze di una nuova crisi dell’euro; questa sì innescherebbe nuove esplosioni finanziarie, incenerendo i fondi pensione Usa, i cui rendimenti sono molto legati ai corsi delle azioni (a differenza dei nostri pallidi «fondini»); dalla loro tenuta dipende la vita dei pensionati Usa. Il 2 settembre 2007, agli albori della crisi, Fred Mishkin, esponente della banca centrale Usa, disse che essa avrebbe comunque difeso il tenore di vita degli americani: qui per l’appunto siamo. I pensionati tedeschi temono invece la «repressione finanziaria»; con la politica di tassi bassi, oggi praticamente obbligata, i loro risparmi sono meno remunerati. I diversi timori riflettono la diversa natura delle economie. A finanziare quella Usa non sono, come in Europa continentale, le banche ma i mercati; per questo Lew paventa e vuole allontanare i rischi di un loro crollo. Questo peraltro si trasmetterebbe subito alle banche e poi agli Stati che (nonostante i contrari proclami) dovrebbero salvarle.
È grave che attacchi come quelli suddetti mettano a rischio la credibilità della Bce che sarà essenziale nei prossimi, difficili mesi di avvio dell’Unione bancaria, un altro bersaglio degli euroscettici. L’assetto attuale è in evoluzione: la Bce non riesce a trasmettere su tutta l’eurozona gli impulsi di politica monetaria desiderati. Essa non dovrà finanziare i deficit, ma anche l’inflazione dovrà tornare subito sotto il 2%; è l’obiettivo che la Bce si è data, e perseguirlo aiuterebbe l’aggiustamento nei Paesi meno competitivi. Per questo essa progetta e attua le mosse che fanno inorridire Schäuble; questi però non osa guardare in faccia la Medusa, contemplare cioè le conseguenze.
I timori tedeschi non sono balzani, ma seguirne la logica fino in fondo affosserebbe quell’euro il cui valore vorrebbero preservare: ognuno paghi i propri debiti, certo, ma i tassi nei Paesi del Sud non siano distorti dai timori di sfaldamento dell’euro. La repressione finanziaria, certo, tiene alti i valori e li distorce a profitto di chi ne possiede; è iniqua ma, come la vecchiaia, è meglio dell’alternativa!
È per il divieto di finanziamento monetario dei deficit che ci siamo autoimposti (noi senza pensarci!) il pareggio di bilancio in Costituzione. Gli Stati dell’eurozona sono i soli nel mondo sviluppato a non avere la rete di sicurezza di una banca centrale che può comprarne i debiti. Eppure può capitare, anche alla potente Germania, di averne bisogno, come avvenne proprio all’unificazione! Se ricapitasse, cosa dirà: che va bene, Quia sum leo ?
Il presidente della Bce, scrive Ricardo Franco Levi ( Corriere , 28 settembre) è uno dei pochi statisti europei rimasti. Dice il grande Altan: «Mi vengono in mente opinioni che non condivido»: è triste supporre che chi non ha l’ansia di essere rieletto veda più chiaro l’interesse generale europeo di chi, nell’Europa di oggi, aspetta le prossime elezioni nazionali. Non è obbligatorio, non è stato sempre così.
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