giovedì 30 ottobre 2014

IN ITALIA SI PROSPETTA UN BIPOLARISMO TRA DUE SINISTRE. LA DESTRA NON ESISTE


Nello "sfogliare" la mia edizione digitale del Corriere, sono incappato in questa amarissima ma ineccepibile, a mio avviso, riflessione di Pierluigi Battista, che osserva come la destra, quella di "governo", oggi non esista più come possibile realistica alternativa al dominante renzismo. E questo è un male, per tutti. Perché se l'alternanza al potere non è una possibilità concreta, il rischio è di subire sine die l'arroganza e la prepotenza di chi lo detiene, quel potere.
Almeno, ai tempi del fattore K, e quindi della costante prevalenza democristiana, questa doveva comunque confrontarsi con gli alleati di governo, e il PCI, all'opposizioni, aveva carte importanti da giocarsi tramite il controllo dei sindacati, della cultura, delle regioni rosse...Non che queste carte siano state giocate bene, va detto, ma comunque diciamo che politicamente c'erano dei contrappesi utili se non altro alla democrazia nel suo insieme.
Adesso veramente c'è un uomo solo al comando, con un'opposizione tutta interna, mentre dall'altra parte del fronte c'è il silenzio più assordante.


 
Destra smarrita bipolarismo addio 

  Siamo tentati dal bipartitismo, ma intanto in Italia rischiamo l’estinzione del bipolarismo. La logica bipolare poggia infatti su due pilastri: ma se il pilastro della destra si sgretola, il sistema diventa monco, asimmetrico, squilibrato. Con la robusta spallata renziana, il dibattito politico sembra essere occupato esclusivamente dallo scontro tra le «due sinistre», perché la destra di governo non c’è più, è silente, marginale, cupa, risucchiata nella rassegnazione minoritaria. Anche le ultime elezioni europee hanno assistito al duello tra Renzi e Grillo. Nel frattempo la destra di governo, che solo sei anni fa totalizzava circa il 45% dei voti, è diventata una somma di sigle, percentualmente tutt’altro che trascurabile: ma tanti frammenti non fanno un intero
  E oggi tutti sanno che, in caso di elezioni, non ci sarebbe partita. Il risultato finale sarebbe scontato. La democrazia dell’alternanza diventerebbe un pallido ricordo.
È crollata la destra di governo. L’umore di destra è ancora vivo. La nuova Lega di Salvini è capace di portare una consistente fetta di popolo in piazza. Ma è la destra protestataria che si alimenta di rabbia e sofferenza sociale, forte e radicata come quella francese di Le Pen (padre), non la destra di governo che compete per la conquista della maggioranza, come avviene nel resto dell’Europa, talvolta perdendo, talvolta vincendo, tuttavia sempre competitiva.
La destra italiana si aggrappa al carisma residuo di Berlusconi, ma non sa più parlare al suo «blocco sociale». Agganciandosi alla locomotiva renziana, spera di intestarsi una titolarità e una nuova rispettabilità «costituente» nella sfera delle riforme istituzionali, ma senza portare qualcosa di «suo», senza convinzione, senza entusiasmo, o per non dare un dispiacere a un leader che sembra amare più il giovane rottamatore della parte avversa che Forza Italia. La destra italiana non ha più un’idea forte, qualcosa che convinca chi l’ha votata in passato a rinnovare la sua fiducia e chi si affaccia per la prima volta alla politica a scommettere insieme per il futuro. L’esercito delle partite Iva, la piccola e media impresa, i commercianti, i liberi professionisti, il vasto ceto medio che per vent’anni ha trovato nella destra la sua casa è frastornato, deluso. Magari, galvanizzato dalla protesta antitasse, è tentato da Salvini, anche se il furore contro gli immigrati e gli inni del capo della Lega al Gulag della Corea del Nord lo tengono a debita distanza. Magari non escluderebbe la carta Grillo, anche se il leader dei Cinque Stelle appare appannato, sbiadito, confuso. Oppure c’è la tentazione Renzi: ma innamorarsi del leader dello schieramento avversario certifica la fine di una storia politica, una diaspora infinita, la cancellazione di un intero ciclo politico. Senza considerare i Comuni e le Regioni: persi uno ad uno con percentuali avvilenti, come si è visto a Reggio Calabria nei giorni scorsi.
Quando trionfava Berlusconi, almeno la sinistra compensava i suoi dolori con il governo delle grandi città e delle Regioni centrali. Alla destra un tempo di governo non resta nemmeno questo contrappeso. Quando Berlusconi stravinceva, la sinistra aveva i sindacati, le cooperative, gli intellettuali, l’ establishment dei grand commis di Stato. Ma la destra non ha niente di tutto questo.
La crisi drammatica in cui versa Forza Italia non riguarda solo Forza Italia, ma il nostro sistema politico. La cosa migliore del bipolarismo è la democrazia dell’alternanza: la paura per chi governa di perdere il potere, di veder prevalere lo schieramento avverso, di essere battuto alle elezioni e tornarsene a casa. Una destra ripiegata in se stessa, rinchiusa nella sua fortezza, attenta a captare ogni variazione nello stato umorale del Re, paralizzata nell’attesa che al suo leader venga restituita piena agibilità politica, frastornata dalla rivoluzione generazionale che ha elettrizzato gli avversari guidati da Renzi, una destra così è destinata alla sconfitta, alla testimonianza, all’autoperpetuazione del proprio apparato.
Senza slanci, senza nemmeno, forse, la voglia di vincere. Accontentandosi di sperare che la legislatura non finisca presto e che almeno, visti i numeri dell’attuale Parlamento, la destra abbia almeno voce in capitolo nell’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Un colpo duro alla democrazia dell’alternanza, se la destra non pensasse seriamente alla propria autoriforma. Un esito amaro per chi, vent’anni fa , predicava il futuro radioso di una «rivoluzione liberale».

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