Ultimamente però non è più possibile, in quanto l'interrogatorio quale teste del Presidente Napolitano l'ha messa al centro assoluto dell'attenzione.
Ho deciso quindi di acquistare il piccolo saggio composto a quattro mani dallo storico Salvatore Lupo e dal penalista Giovanni Fiandaca , titolato "La Mafia non ha vinto"
I due sono professori universitari e in particolare il secondo è stato riferimento di generazioni di studenti di diritto penale all'Università di Palermo, tra cui lo stesso Giuseppe Ingroia.
Il libro è diviso in due parti, nella prima- quella che per ora ho ultimato - lo storico affronta la vicenda ricostruendo il periodo in cui si svolse, ricordando scenari politici e sociali, fa esempi con altre situazioni drammatiche della nostra Repubblica, come il rapimento Moro, e la difficilissima scelta che le istituzioni si posero se fosse giusto raggiungere un compromesso con i brigatisti per salvare la vita del leader democristiano. Sappiamo come andò, ma nessuno né all'epoca né poi si è mai sognato di avviare un'azione penale nei confronti di quei soggetti che ebbero contatti con quelle parti di società che si sapeva potessero a loro volta interloquire coi brigatisti per verificare a quali condizioni, accettabili anche per lo Stato, si potesse ottenere la liberazione di Moro.
Trattare NON è reato, e infatti la figura corrispondente NON c'è nel codice o in altra legge ( eppure a Palermo sono riusciti a ipotizzare - la fantasia può portare ovunque ormai, anche nei campi dove sarebbe meglio restare sobri e fattuali - una fattispecie perseguibile ) e comunque, trattativa non vi fu. Quantomeno non se ne trovano le prove, e Ciancimino junior è ormai un bugiardo sputtanato anche agli occhi di chi per tanto tempo, sbagliando, lo ritenne il depositario della verità (adesso devono fare i salti mortali, sostenendo che sì, l'uomo mente e non è affidabile, però a volte ha detto anche la verità...).
In realtà il problema fu politico, non giudiziario, ma da questo orecchio a Palermo non ci vogliono sentire.
E sono contenti se possono affermare, prendendo a pretesto le parole del capo dello Stato, che la loro tesi è confermata : al tempo ci fu il tentativo di ricattare con le stragi e le bombe le istituzioni, per ottenere dei vantaggi ai mafiosi. Ma va ?? E noi che pensavamo che Falcone, Borsellino e il resto fossero stati atti decisi per delirio di onnipotenza...
In realtà la Mafia aveva subito il durissimo colpo della conferma delle condanne del maxi processo, avvenuta nel 1992, e dovette poi affrontare l'adozione del regime carcerario durissimo del 41 bis, e decise di reagire in quel modo, per ottenere che lo Stato tornasse a quel regime di "appeasement" che aveva caratterizzato i ben più tranquilli anni '70. Scelta strategica, quella militare, che sicuramente scosse il paese, già travagliato da una stagione di forte instabilità politica, causa la fine della prima repubblica ad opera dell'operazione "mani pulite", ma che non portò ai risultati voluti. ANZI !
Nell'appunto che segue, Facci ricorda le date, come fanno non solo gli storici ma anche le persone normali, se in buona fede : la conseguenza della morte di Falcone fu l'adozione del decreto sul 41bis, che però stentava ad essere convertito ( tuttora vi sono dubbi di costituzionalità di un regime così severo, e non sono fiancheggiatori dei mafiosi tutti quelli, e sono tanti, che combattono per la revisione di quella norma) ; la morte di Borsellino spazzò via ogni tentennamento, e il testo fu approvato proprio poco prima che decadesse. Questo non esclude che l'intento di Riina fosse quello di condizionare, con il terrore, gli uomini dello Stato e spingerli ad accettare le sue richieste, ma il fatto storico è che accadde esattamente il contrario !
Insomma, da qualunque punto di vista la si giri, la tesi del grande complotto non viene suffragata da fatti positivi. Poi certo, nel campo delle ipotesi tutto si può sostenere, tanto che costa (a chi insinua, perché ai destinatari delle insinuazioni invece costa parecchio) ?
Per moltitudini di persone l'importante è che un concetto, se gradito poi non ne parliamo, venga affermato e poi costantemente ripetuto, al di là di qualsiasi mancanza di prova e anche se esiste quella contraria.
Un po' come il milione di persone sempre presenti nelle manifestazioni sindacali. Da ultimo, quella di San Giovanni, dove di persone ce ne entrano a stento 200.000 (e sono tantissime), eppure vedrete che Camusso e sodali continueranno sempre a ripetere che erano un milione, e sui giornali verrà sempre ricordato quel numero, benché palesemente falso.
Funziona così.
Una trattativa con lo psichiatra
Continuare a ripetere che Borsellino sia stato ucciso "perché si opponeva alla trattativa" (fatta per abrogare o mitigare il carcere duro) ormai è da malati, non è più una faccenda di opinioni divergenti. Ha ripetuto il Capo dello Stato nella sua testimonianza: "Sono convinto che la tragedia di via D'Amelio rappresentò un colpo di acceleratore decisivo per la conversione del decreto sul carcere duro". Ma c'è poco da esserne convinti: andò così e basta.
Dopo la morte di Falcone del 23 maggio 1992, il governo predispose l'introduzione del 41bis in data 8 giugno: ma il decreto rimase inapplicato perché molti in Parlamento si opponevano. Quando fu varato? Lo fu, attenzione, immediatamente dopo la strage di via D'Amelio, e a causa della strage di via D'Amelio. Quando vi fu la strage, a esser precisi, mancavano pochi giorni alla scadenza del termine di approvazione del 41bis: bastava aspettare e sarebbe decaduto. Invece la morte di Borsellino, presunto ostacolo a una trattativa fatta per abrogare un provvedimento che non c'era ancora, in pratica ne causò l'introduzione. È logico: non basta? Serve il timbro della magistratura? Eccolo, è nella sentenza del 17 luglio scorso che ha mandato assolto Mario Mori: "Senza riscontro è rimasta l'eventualità che lo stesso dr. Borsellino abbia manifestato la sua opposizione ad una trattativa fra esponenti delle Istituzioni e Cosa Nostra". Eppure, anche a Servizio Pubblico di giovedì sera, su La7, dei poveracci ripetevano questa sanguinosa sciocchezza.
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