lunedì 17 novembre 2014

STATO ISLAMICO : PROSSIMA FERMATA ROMA. ATTENTI A RIDERCI SU.



Ineccepibile (lo è sempre, dal punto di vista dell'argomentazione, poi non è detto che  uno condivida ogni volta le conclusioni, ancorché a me accada in genere con il brillante politologo) l'analisi del Prof. Panebianco in ordine alla sottovalutazione cronica della realtà internazionale da parte del nostro Paese. In questo, governanti e cittadini sono assolutamente allineati, e del resto una storia fatta soprattutto di sudditanza (quando abbiamo provato ad essere protagonisti, ci è riuscito in genere male e da ultimo  è finita in tragedia) rende agevole il fatto di essere sempre concilianti e fiduciosi che tutto si possa risolvere "dialogando" (vero ambasciatore Romano ? ). Solo che per dialogare bisogna essere in due, e quando l'altra parte è sorda, la cosa diventa impossibile, ancora più che complicata.
Sembra accadere questo con la Russia, laddove tutti i paesi occidentali, compresi quelli come la Germania, che pure hanno importanti interessi economici in ballo, sembra abbiano deciso di mostrare a Putin che sull'Ucraina non ci saranno altri cedimenti simil Crimea (e infatti lo zar russo se ne è andato astiosamente dal pranzo ufficiale del G20), mentre l'Italia è lì che "media", come se, facendola da sola, potesse servire a qualcosa.
Ma Panebianco mette vieppiù in guardia il "pacifismo" (alcuni, soprattutto fuori dai confini, lo chiamano in altro modo) italico e la sua conseguente miopia sul pericolo islamico, con il Califfo dello stato islamico che indica Roma come l'obiettivo ultimo da raggiungere.
Mi ero domandato perché proprio Roma, e la risposta in effetti non era impossibile da intuire, anche senza conoscere il Corano : Roma è ancora il centro della cristianità, sede del Papa. Certo, la chiesa cattolica non rappresenta tutto il mondo cristiano, composto da protestanti, ortodossi e altre varie diramazioni, però resta il tronco principale, sicuramente da un punto di vista storico e simbolico.
E infatti Maometto, immaginando che arriverà un tempo in cui la "vera" fede sarà estesa in tutto il mondo, descrive proprio il momento in cui l'Islam regnerà su Roma. 
Tra l'altro, essendo le nostre coste ad un tiro di schioppo da quelle africane, Libia in primis, la profezia è anche purtroppo di più pratica realizzazione. Nessuno di noi lo crede possibile, dopo 70 anni (proprio quest'anno cade l'anniversario dalla fine della seconda guerra mondiale) di pace sostanziale nel nostro continente.
Ma 70 anni non sono NULLA nella storia, e l'imbellità occidentale, italiana in particolare, sono un ottimo incoraggiamento a chi non ha mai pensato che la pace fosse una condizione non solo auspicabile ma pressoché inevitabile.
Non è così.

 
Il califfo a Roma? non è uno scherzo
di Angelo Panebianco
 
 Sembra che una gran parte, forse la parte maggioritaria, dell’Italia pubblica soffra di un blocco cognitivo. Pare incapace di prendere atto dei radicali, irreversibili, cambiamenti intervenuti in Europa e in Medio Oriente, ha l’aria di non rendersi conto che violenza e crescenti rischi di violenza si diffondono intorno a noi, sembra non capire che di fronte alla violenza non si può altro che assumere una posizione intransigente o anche, se la situazione lo esige, fare uso della forza. Un tempo si credeva che la propensione italiana a pensare alla politica internazionale in termini irenici, come a un luogo in cui tutto possa essere risolto con il «dialogo», fosse solo una conseguenza della Seconda guerra mondiale. Le potenze sconfitte, Germania, Giappone, Italia — si disse — sostituirono nel dopoguerra il «commercio» alla «spada», cominciarono a pensare alla politica internazionale molto più in termini di affari che di deterrenza e di minacce armate. E il «dialogo», sicuramente, aiuta gli affari più della deterrenza. Pur facendo parte di alleanze militari quei tre Paesi furono ben lieti di delegare ai soli Stati Uniti il compito di agitare periodicamente il bastone.
Ma forse, nel caso italiano c’è di più. A causa della sua cultura politica sembra che l’Italia, pur con qualche meritoria eccezione, non riesca proprio a fare a meno di agire nell’arena internazionale ispirandosi a una sorta di wishful thinking , un’irresistibile tendenza a scambiare i propri sogni per realtà.
Prendiamo due delle più gravi crisi in atto. In Ucraina, con l’annessione russa della Crimea e l’azione tuttora in corso dei militari russi a sostegno dei secessionisti delle regioni orientali, i rapporti fra Russia e Occidente sono irreversibilmente (e sottolineo: irreversibilmente) cambiati. Sono cambiati perché non un piccolo Stato (una Serbia o una Croazia) ma una grande potenza, la Russia, ha violato la regola su cui si fonda la pace in Europa: nessun mutamento territoriale può avvenire se non in modo consensuale. Chi dice che la Crimea era russa, e che dunque non c’è nulla di male nel fatto che la Russia se la sia ripresa, non coglie il punto. Tra Prima e Seconda guerra mondiale tantissimi Stati europei (Italia compresa) hanno perduto territori che erano appartenuti, magari anche per secoli, a quegli Stati. La pace in Europa c’è perché chi ha perso territori non se li va a riprendere con la forza. La Russia, una grande potenza che avrebbe dovuto contribuire, insieme alle altre grandi potenze, a mantenere la pace e l’ordine, ha violato quella regola.

Pensare che questo non muti irreversibilmente i rapporti in Europa è segno di cecità politica. E difatti le relazioni fra mondo occidentale e Russia sono sempre più conflittuali, come si è dimostrato anche in occasione del G20 appena concluso. Ma l’Italia fa eccezione, ha scelto di mantenere aperto in ogni modo il «dialogo» con Putin, dando l’impressione di ignorare il cambiamento avvenuto (come hanno ben documentato Massimo Gaggi e Marco Galluzzo sul Corriere di ieri), di ignorare soprattutto il riposizionamento strategico della Russia per la quale, ora, gli occidentali sono di nuovo potenziali nemici. Il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, nella sua intervista al Corriere , dice che occorre garantire sia l’autonomia ucraina che il ruolo della Russia. Gentiloni è un politico solido e competente (e pensiamo sia un bene che guidi la Farnesina in un momento così delicato) ma nel caso ucraino la sua ricetta, sfortunatamente, appare un po’ astratta e fuori tempo massimo.
Più in generale, sembra che in questa crisi la classe politica italiana (Renzi e il suo governo, Berlusconi) sia in Europa la più restia di tutte a prendere atto del fatto che, in politica internazionale, non contano solo gli affari.
E veniamo al caso per noi più inquietante di tutti, quello dello Stato islamico. Ormai continuamente il Califfo ripete che prima o poi arriverà a conquistare Roma, e il fotomontaggio di una Roma in cui sventolano le bandiere nere dello Stato islamico circola da mesi in Rete. Chi fa spallucce, chi pensa che si tratti solo di una sbruffonata, ha capito ben poco. Mai come in questo caso è lecito dire che l’ignoranza uccide. Già, perché il Califfo non sta facendo una sbruffonata a caso: sta citando, nientemeno, il Profeta, sta citando il detto attribuito a Maometto secondo cui arriverà un giorno in cui Roma, il centro della cristianità occidentale, cadrà in mani islamiche. Tanti musulmani, di tendenze pacifiche, hanno sempre pensato a quella profezia proiettandola in un futuro lontano e indefinito. Invece, lo Stato islamico sta dicendo ai musulmani di tutto il mondo che il momento di prendere Roma si avvicina e che questo verrà fatto con le armi. Diciamo che fischiettare o fare spallucce di fronte a una dichiarazione di guerra non sono gesti appropriati.
L’Italia pubblica è per lo più in preda al wishful thinking ma ci sono, fortunatamente, delle eccezioni. A cominciare dal presidente della Repubblica. Il suo discorso del 4 novembre sui pericoli che stiamo correndo richiedeva una discussione meditata, non solo applausi di circostanza.
E ha ragione il ministro della Difesa Roberta Pinotti quando, proprio appellandosi alle cose dette da Napolitano, invita la classe politica a non trattare le forze armate come se fossero un qualunque settore di spesa pubblica improduttiva: da sottoporre a tagli anche a costo di indebolirne le capacità operative. Le nuove minacce, dallo Stato islamico al caos libico (minacce, peraltro, strettamente connesse) richiedono che non si facciano scelte miopi e autolesioniste in un così delicato settore.
C’è uno scollamento preoccupante fra la realtà e le «narrazioni» pubbliche su di essa. Ridurre il divario fra il mondo come è e la nostra rappresentazione del mondo è essenziale per la nostra sicurezza. 

Nessun commento:

Posta un commento