Finalmente l'hanno condannato. Per due volte Alberto Stasi in precedenza era stato assolto, ma poi la Cassazione aveva detto che i giudici delle due corti non avevano tenuto conto di tutta una serie di elementi e che il processo d'appello andava rifatto, attenendosi alle sue istruzioni.
E nel quarto processo è arrivata la condanna. Naturalmente la verità è quella di questa sentenza, e non delle prime due. Funziona così.
Se, come me, siete rimasti un attimo sorpresi dall'entità della pena, "solo" 16 anni, che sono tanti ma per un omicidio forse no (infatti l'accusa ne aveva chiesti 30) , la spiegazione ufficiale è che non è stata riconosciuta la "crudeltà". Non vado oltre, perché non sono un penalista e non vorrei dire sfondoni.
Però il sospetto che il vecchio adagio, sentito, io civilista, per la prima volta dl mio maestro , e cioè "poca prova, poca pena", possa aver avuto, per quanto apparentemente assurdo solo a leggerlo, ancora una volta un suo desolante perché.
I Poggi contenti (?), Stasi più ghiacciato del solito.
Adesso avanti per un nuovo giro in Cassazione.
Alberto Stasi condannato a 16 anni per l’omicidio di Chiara Poggi
La mamma della ragazza: «Finalmente riconosciuta la verità»
Alberto Stasi in uno scatto recente (Ansa)
Alberto Stasi è stato condannato a 16 anni di reclusione dalla corte
d’Assise d’Appello di Milano nel processo d’appello bis per l’omicidio
della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto nel 2007 a Garlasco (Pavia).
Stasi era stato assolto in primo e secondo grado dalla stessa accusa
prima che la Cassazione annullasse la sentenza di appello. Stasi è stato
anche condannato all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e al
risarcimento della famiglia della vittima: 1 milione di euro. I
genitori di Chiara Poggi visibilmente commossi hanno abbracciato il
legale di parte civile, l’avvocato Gian Luigi Tizzoni. Il padre Giuseppe
Poggi aveva le lacrime agli occhi. La madre Rita Poggi ha abbracciato
anche il cugino di Chiara, Paolo Reale. Ad Alberto Stasi non è stata
riconosciuta l’aggravante della crudeltà che era stata contestata dal
sostituto Pg che aveva chiesto 30 anni. Da qui la pena inferiore alla
richiesta dell’accusa.
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Garlasco, Stasi condannato: «Sono sconvolto». La madre: «Dirò a Chiara che ha vinto»
I genitori di Chiara
«Siamo
soddisfatti, non abbiamo mai mollato». Sono le parole di Rita Poggi,
subito dopo la lettura del dispositivo con cui la Corte d’Assise
d’Appello di Milano. La donna, ai microfoni di Sky, ha aggiunto: «Dirà a
mia figlia: “ce l’hai fatta!”». Emozionato Giuseppe Poggi, il papà:
«Chiara ormai è diventata una figlia anche per i nostri legali, che
ringrazio. Non dico di più altrimenti mi commuovo». «Ci aspettavamo la
verità per Chiara e oggi abbiamo avuto una risposta», ha dichiarato
l’avvocato Gian Luigi Tizzoni, che assiste la famiglia Poggi con i l
collega Francesco Compagna. «A noi non interessa la pena - ha spiegato
il legale -, nè il risarcimento economico. Ci interessa la verità e
questa Corte ci ha dato la verità».
Stasi «sconvolto»
Alberto
Stasi è «sconvolto» dopo la condanna a 16 anni di carcere che gli è
stata inflitta . Lo riferiscono i suoi legali. Secondo l’avvocato Fabio
Giarda, «è una sentenza che non ha senso ispirata al principio `poca
prova, poca pena´». Stasi è rimasto fermo, impassibile quando i giudici
hanno letto la sentenza. Nessuna reazione da parte del giovane
commercialista che si è limitato a uscire dall’aula in silenzio scortato
dai suoi avvocati.
Prima della sentenza
«Non
cercate a tutti i costi un colpevole condannando un innocente», aveva
detto Stasi in tribunale in attesa della sentenza . «In questi sette
anni - ha aggiunto Stasi - ci si è dimenticati che la morte di Chiara è
stata un dramma anche per me. Era la mia fidanzata. Sono anni che sono
sottoposto a questa pressione. È accaduto a me e non ad altri. Perché?
Mi appello alle vostre coscienze: spero che mi assolviate».
L’iter processuale
A cinque anni esatti (era il 17 dicembre 2009) dal verdetto di primo
grado che aveva mandato assolto Alberto Stasi, ora la Corte d’Assise
d’Appello di Milano riscrive la vicenda dell’omicidio di Garlasco.
Nei confronti di Stasi la pubblica accusa chiedeva 30 anni di carcere
contestandogli l’omicidio volontario aggravato dalla crudeltà,
aggravante rigettata dalla Corte d’Assise d’Appello . Per la difesa
invece non c’erano prove per giudicarlo responsabile.
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Delitto di Garlasco, sette anni di processi e perizie in cerca della verità: la fotostoria
Nuove perizie ed errori vecchi
La
Corte, davanti alla quale lo scorso aprile si è aperto il cosiddetto
processo d’appello bis, oltre al sequestro della bici nera da donna
nella disponibilità degli Stasi, aveva disposto altri accertamenti:
quelli genetici sul bulbo di un capello trovato nel palmo della mano
sinistra di Chiara e sulle sue unghie (che non hanno dato esiti tali da
costituire una prova processuale) e la ripetizione dell’esame
sperimentale della cosiddetta camminata di Alberto estendendolo ai due
gradini e alla zona antistante la scala dove quell’estate di sette anni
fa l’ex studente bocconiano disse di aver trovato il corpo senza vita
della giovane donna. Esame, questo, con cui si è stabilito come sia
impossibile che Stasi non si sia sporcato le scarpe e non abbia nemmeno
lasciato una traccia ematica sul tappetino della sua Golf, l’auto con
cui immediatamente dopo la scoperta del cadavere, si precipitò dai
carabinieri del piccolo centro della Lomellina per dare l’allarme. Oltre
alle perizie degli esperti nominati dalla Corte, agli atti del
dibattimento ci sono alcuni dei risultati dei supplementi istruttori con
cui nei mesi scorsi il pg Barbaini ha colmato una serie di lacune,
omissioni ed errori dell’inchiesta e gli esiti di approfondimenti
effettuati dai legali dei Poggi sulla bicicletta nera.
Impronte e graffi
E
proprio omissioni ed errori anche inediti sono uno dei punti chiave
della requisitoria del sostituto procuratore generale di una ventina di
giorni fa. Innanzitutto ha valorizzato le impronte di quattro dita
intrise di sangue lasciate dall’assassino sulla maglia del pigiama di
Chiara (sulla spalla sinistra) ma poi cancellate da chi ha rimosso il
cadavere. Impronte visibili in modo netto in una foto mostrata in aula e
che per il pg provano che Alberto, dopo aver ucciso, si lavò le mani
per via della presenza delle sue impronte digitali sul dispenser del
sapone in bagno. Altro elemento valorizzato sono due graffi
sull’avambraccio di Stasi compatibili con una colluttazione e notati da
due carabinieri della stazione di Garlasco nell’immediatezza del
delitto. Graffi che, come loro stessi hanno raccontato alla Corte, non
sono stati fotografati. Non è nemmeno stato messo a verbale come se li
fosse procurati. Infine rilevanti per il pg sono le foto scattate al
cadavere: smentirebbero quanto aveva affermato il giovane e cioè che
Chiara aveva il volto pallido.
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La bicicletta di Stasi
La messa in scena del ritrovamento
Questi
e altri indizi valutati nel loro insieme hanno portato il pg a
sostenere che quella del ritrovamento del cadavere è stata «una messa in
scena» e che l’ex studente bocconiano avrebbe alterato «i quadri
probatori, limitandoli, deviandoli» fino a «depistare le indagini», come
dimostrerebbe la scoperta da parte della pubblica accusa di altre
biciclette, almeno due, possedute dagli Stasi e di cui ha sempre taciuto
o di un paio di Geox dello stesso numero delle impronte delle suole a
pallini rinvenute sulla scena del crimine e mai consegnate.
La difesa
E
se i legali di parte civile, oltre alla sostituzione dei pedali della
bici bordeaux, dove venne rintracciato il dna della vittima, hanno
evidenziato che a carico di Alberto ci sono «11 indizi gravi, precisi e
concordanti», la difesa ha ripetuto quello che da anni va dicendo: non
ci sono prove. Per Angelo Giarda, Alberto andava assolto in quanto non è
mai emerso nulla che faccia ritenere il giovane responsabile, anzi al
contrario sono venuti a galla elementi che lo scagionano. Riguardo alle
suole delle scarpe, per esempio, l’ex studente della Bocconi avrebbe
potuto non calpestare le chiazze di sangue sul pavimento, per giunta
praticamente secche, a causa dell’ «evitamento implicito». Inoltre i
graffi, secondo le indagini difensive, non sarebbero mai esistiti e la
tesi della sostituzione dei pedali non regge.
L’omicidio e l’alibi di Stasi
Colpita
a pochi passi dalla porta d’ingresso, trascinata e gettata lungo le
scale che conducono in cantina. Il 13 agosto 2007 sul pavimento della
villetta di via Pascoli a Garlasco (Pavia) restano le tracce delle mani
insanguinate della vittima, Chiara Poggi, colpita più volte con un’arma
sconosciuta, forse un martello. Un’aggressione feroce: l’assassino
infierisce fino a sfondarle il cranio. Nulla manca nell’abitazione da
giustificare un tentativo di furto e non ci sono tracce di estranei. La
26enne indossa un pigiama estivo, è lei probabilmente ad aprire la porta
a chi le toglie la vita.Nessuna ombra nella sua vita, pochi amici e la
storia d’amore di quattro anni con Alberto Stasi. E’ lui, 24enne allora
laureando alla Bocconi, che scopre il corpo della fidanzata e su di lui
puntano le indagini. A non convincere è l’assenza delle impronte delle
scarpe sul pavimento di casa Poggi, alcuni dettagli sul ritrovamento
della vittima, la `freddezza´ della telefonata al 118.
Alberto ha sempre sostenuto di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara moriva. Un alibi cancellato dagli accessi illeciti fatti dai carabinieri al suo computer. Solo una perizia ricostruisce il suo lavoro quella mattina: Alberto inizia a lavorare al suo file dalle 9.36, Chiara disattiva l’allarme di casa alle 9.12; in 23 minuti secondo accusa ed esperti Alberto ha potuto uccidere la fidanzata.
Alberto ha sempre sostenuto di lavorare alla tesi di laurea mentre Chiara moriva. Un alibi cancellato dagli accessi illeciti fatti dai carabinieri al suo computer. Solo una perizia ricostruisce il suo lavoro quella mattina: Alberto inizia a lavorare al suo file dalle 9.36, Chiara disattiva l’allarme di casa alle 9.12; in 23 minuti secondo accusa ed esperti Alberto ha potuto uccidere la fidanzata.
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