Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
martedì 30 dicembre 2014
IL DIRETTORE BATTISTA "GUFACCIO" DEL GOVERNO RONZINO
Avevo appena finito di scrivere in un altro post ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2014/12/giudici-per-tutti-speriamo-che-non-sia.html ) queste righe : Un carissimo amico dirigente del PD ha mandato dei curiosi auguri sulla sua bacheca di FB, che suonavano un po' come i cartelli dell'ANAS...Avete presente "stiamo lavorando per voi ?". Ecco, una cosa così, con il PD al posto della società autostrade. A parte il sapore quasi insopportabilmente propagandistico ma almeno quelli dell'Anas hanno l'accortezza di chiosare con un opportunissimo : scusate i disagi. ...!
Ebbene, subito dopo mi ritrovo a leggere l'articolo di Pierlugi Battista contenente un'analisi lucida, ironica, e infine spietata dell'operato del governo, di questi "lavori" dove la velocità dovrebbe essere elemento qualificante, e che troppo spesso diventa un mero annuncio quando non una giustificazione che quanto fatto, spesso si rivela lacunoso e tocca rimetterci le mani. Lo abbiamo visto con l'Italicum, che è in corso di modifica alla Camera (il bicameralismo è sicuramente motivo di ritardi, ma quanto è comodo a Renzino !!) , ma anche coi decreti relativi alle partite IVA ( "ci sono degli errori, rimedieremo") , per non parlare dei problemi del Jobs Act, con gli statali razza eletta e la questione a rischio incostituzionalità delle tutele pre e post legge, con violazione del principio di uguaglianza tra lavoratori.
Ma sono solo gli esempi più eclatanti.
Intendiamoci. riformare il nostro paese è impresa impervia, e anche la dittatura disperò in questo senso, con lo sprezzante commento del Duce per il quale provare a governare gli italiani era inutile ( Andreotti addolcì, dicendo che non potevamo essere governati, al masismo amministrati). Non siamo dementi come gli antiberlusconiani dei tempi andati che fecero coincidere i mali del nostro paese con l'avvento del cavaliere oscuro ( erano e sono più antichi e cronici), e quindi non pensiamo che Renzi ci stia portando nel baratro. Semplicemente, le cose che finora ha fatto sono poco efficaci, con la sensazione che la propagandistica velocità non sia accompagnata da vero coraggio e reale competenza.
Divertente l'auto denuncia che precede l'articolo, con il direttore che si firma "Gufaccio"
"L’anno del ritmo promesso da Renzi"
Ha ragione Matteo Renzi, la parola chiave della sua irruzione nella palude della politica italiana è: «ritmo». Il ritmo accelerato del 2014 e la velocità nel voler «cambiare verso». L’impennata delle percentuali elettorali del Pd sul 40 per cento e il crollo subitaneo della marcia grillina. Il voler mettere mano alle riforme istituzionali cronometrando i tempi. L’andatura incalzante delle riforme promesse. La rottura generazionale. Lo svuotamento spavaldo delle liturgie stanche che hanno reso la politica italiana prigioniera dei veti e degli eterni rinvii.
Questo è stato il ritmo del 2014 di Renzi. Che questo ritmo possa essere mantenuto anche nel 2015, è tutto da dimostrare. Anzi, le ultime esitazioni sul Jobs act e soprattutto il trattamento punitivo riservato nella legge di Stabilità al popolo delle partite Iva e al lavoro autonomo giovanile ci dicono che non sempre il ritmo delle cose fatte è stato all’altezza del ritmo delle cose annunciate.
Rimandare alla discussione parlamentare sulla riforma della pubblica amministrazione la controversia sull’applicabilità del Jobs act ai dipendenti statali è un rallentamento secco del ritmo vertiginoso impresso da Renzi. Anzi, come ha fatto notare il sottosegretario Zanetti in un’intervista al Corriere , affrettarsi come si sono premurati di fare i ministri Poletti e Madia a escludere i dipendenti pubblici dalla riforma del mercato del lavoro rischia di accreditare suo malgrado l’immagine di un Jobs act punitivo nei confronti dei lavoratori del privato, un arretramento dei diritti cui per fortuna il pubblico impiego riuscirebbe a sottrarsi, e non un’estensione dei diritti a chi attualmente ne è privo. Si deciderà (forse) a febbraio: ma non si tratta di due mesi persi, di un allentarsi del ritmo, di un principio di impaludamento che lo stesso Renzi sostiene di aver voluto evitare alla vigilia di Natale proprio sulla questione dei dipendenti pubblici?
«Cronoprogramma» è l’altra parola chiave che sin dall’inizio ha connotato l’esperienza del governo Renzi. È stata una scelta saggia, ha finalmente dato un senso di urgenza alle cose da fare, ha introdotto il principio sacrosanto che un governo deve essere valutato sulla forza di una svolta da realizzare nei primissimi mesi. A «ritmo» forsennato si sono annunciate la realizzazione in un lasso di tempo fulmineo («a febbraio», «a marzo», «ad aprile», eccetera) della riforma della giustizia, civile prima di tutto ma con anche notevoli incursioni in quella penale, della riforma del fisco, della riforma del mercato del lavoro, della riforma elettorale, della riforma del Senato, della riforma che avrebbe messo la parola fine alle Province, della riforma della scuola, della riforma del non profit. Di queste riforme è andata in porto (quasi: decreti attuativi e soluzione del problema «statali» permettendo) quella del mercato del lavoro. Il resto è «incardinato» nei lavori parlamentari, o votato in una delle due Camere, o inabissato in disegni di legge che ancora devono passare lo scoglio della verifica parlamentare.
Il «cronoprogramma» iniziale si è diluito nei tempi lenti dei «mille giorni». Mentre è ancora tutta da misurare l’efficacia dei provvedimenti spettacolarmente annunciati come la liberazione dello «sblocca Italia», e resta ancora controversa l’entità esatta dei debiti della pubblica amministrazione che Renzi, nella tambureggiante conferenza stampa di inizio marzo, aveva assicurato di saldare entro pochissimi mesi.
Il primo ad accorgersi del divario tra gli annunci e la realtà è stato del resto lo stesso presidente del Consiglio che però ha reiteratamente indicato (anche ieri) nei frenatori e nei «gufi» i portatori della cattiva novella: come se sottolineare la problematicità dei risultati sinora effettivamente ottenuti fosse una manifestazione di «disfattismo» con tinte addirittura di anti-italianità. Un errore.
Anche se si comprende bene lo sforzo meritorio del premier di infondere fiducia negli italiani perché (con o senza gli 80 euro) ricomincino a consumare e negli imprenditori, italiani e non, per rilanciare gli investimenti che permettano finalmente di ripartire con una crescita a «ritmo» sostenuto. La speranza è l’arma più forte di Renzi e sulla speranza di un nuovo inizio molti italiani hanno dato credito al presidente del Consiglio. Nell’anno che arriva, la verifica dei fatti.
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