Come di consueto, non ho visto la partita di Champions. Non lo faccio praticamente mai quando giocano le italiane per vari motivi : 1) non mi piace il calcio italico, troppo tattico, poco tecnico (non si contano i passaggi sbagliati) e spettacolare, più spesso con ritmi bassi 2) non mi piace soffrire nel vedere la Juventus 3) non mi piace fare il gufo, e per un paio di compagini nostrane non riuscirei ad evitarlo.
Ieri però, pur non vedendo la partita, ero certo che la Roma fosse stata eliminata : un silenzio fragoroso regnava nella notte della capitale e non era colpa di Buzzi e Carminati.
Ho visto poi la trasmissione su Canale 5, con un Sacchi come sempre severissimo col nostro football. Io, come si intuisce da quanto sopra, sono sostanzialmente d'accordo con lui, anche se ricordo che il suo favoloso Milan, una delle squadre più forti e spettacolari da me viste, era composto da fuoriclasse eccezionali. E' vero che è importante lo spartito, ma anche chi lo interpreta. La sua Nazionale per esempio, pur arrivata seconda a USA 1994, era assai meno bella e forte rispetto al Milan degli olandesi volanti. L'allenatore era lo stesso, lo spartito idem, cosa c'era di diverso ? Gli interpreti. Quella Nazionale aveva solo tre assi, di cui due milanisti ( Baresi, che però s'infortunò subito, e Maldini) più Baggio. Gli altri erano buoni giocatori (due ottimi e sempre rossoneri : Donadoni e Albertini), non oltre.
Insomma, le squadre che vanno per la maggiore in Europa è vero che giocano un calcio diverso - più veloce e più fisico - ma è altrettanto vero che sono zeppe di campioni (Real, Barca, Bayern ma anche i due Manchester, il PSG e il Chelsea, sia pure un gradino sotto alle prime tre).
Ciò posto, tornando all'eliminazione della Roma, sono d'accordo sia con l'incipit dell'articolo di Luca Valdisseri (cronista, tifoso della Lupa, ma bravo e costantemente impegnato a rimanere professionale ed obiettivo : la prima cosa gli riesce sempre, la seconda spesso. Avercene ! ) che con il commento di Mario Sconcerti.
Così l'attacco del primo :
Se non sei più forte devi sperare, almeno, di essere più fortunato. La Roma, che non è riuscita a essere né l’uno né l’altro, esce dalla Champions League pagando il gruppo della morte, alcuni limiti strutturali e un tributo alla malasorte: il tiro di Nasri bacia il palo e finisce in rete; il colpo di testa di Manolas batte sul montante ed esce.
Bisogna dire, però, che il Manchester City, al primo successo in Italia, si è meritato la qualificazione perché non è facile vincere in trasferta quando ti mancano Yaya Touré, Aguero e Kompany. Nelle ultime due gare i Citizens hanno ottenuto sei punti contro il Bayern Monaco e contro la Roma all’Olimpico.
Di seguito l'analisi del secondo.
Quello che si dice per la Juve, che purtroppo è vero, vale anche per la Roma : sono nettamente le più forti del campionato italiano, ma il vertice europeo è altra cosa. Non sfigurano (la Roma si è mostrata nettamente inferiore al Bayern, anche al ritorno, dove è scesa in campo con il preciso obiettivo di limitare i danni, ma ha tenuto bene testa ai campioni d'Inghilterra ed è stata superiore a quelli russi), ma sono squadre di seconda fascia.
Allegri ripete sempre che non meritavamo di perdere le due partite contro Atletico e Olimpiakos, e credo abbia ragione.
Ma nemmeno di vincerle !
Ci sarebbe voluto
un Totti
con 3-4
anni in meno
L’eliminazione della Roma riporta tutto l’argomento ai tempi del Mondiale. Netta la differenza con l’avversario, si torna a sentirsi piccoli. La Roma è da due anni una grande squadra in Italia dove ha perso solo 7 partite su 52, ma è scomparsa con regolarità automatica davanti al City e ha realizzato solo 5 punti in 6 partite europee. Non è un problema di tattica o di turn over, la Roma ha forte qualità tecniche e gioca in velocità. Diventa più prevedibile quando anche gli avversari hanno qualità. A quel punto vengono fuori i limiti, la mancanza di forza in attacco, la discontinuità di Pjanic e Keita, l’impreparazione di Maicon e Cholevas, la disponibilità generale a essere superati dalle triangolazioni veloci e fisiche degli avversari. Il City, il Bayern, perfino il Cska in alcuni momenti, sono stati più presenti sul campo, più forti e quadrati. Il calcio di oggi predilige, è vero, il calcio molto tecnico, ma fatto da quelli grandi e grossi. La Roma di Ljajic, Iturbe e Gervinho, non è ancora europea, è spettacolare e magra, promettente e incompleta. Sarebbe servito un Totti con cinque anni in meno, una grande personalità nel cuore del gioco, qualcuno capace di tenere la squadra e che provasse a risolvere da solo la partita come tante volte ha fatto Totti.
Il problema è che Pjanic e Ljajic, come quasi sempre gli slavi, si avvicinano al fuoriclasse, ma non lo diventano mai. Ne abbiamo visti a decine incantare, risolvere, non insistere, non continuare. Così, alla fine della prima parte di strada la Roma scende in Europa League, dove diventa per definizione una delle favorite. In Champions resta solo la Juve, ancora una volta la più completa, la meglio addestrata. Per il nostro calcio è comunque un passo avanti rispetto al niente di un anno fa, ma pensavo che la ripresa sarebbe stata più evidente. Questa è solo la fine della deflazione. Rimane chiaro il messaggio che ancora una volta manda l’Europa: conta avere forza, non perdere il pallone sui rinvii, basare il conto sul talento che però è messo in piega dalla forza. Il calciatore è sempre più universale. Noi siamo ancora o bravi o forti. È la sintesi che fa il traguardo e noi non l’abbiamo, né con gli italiani né insieme agli stranieri. Perché per averla bisogna essere ricchi.
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