sabato 10 gennaio 2015

AHMED MERABET ERA MUSULMANO

Ahmed Merabet


Tra le tante voci raccolte in questi due giorni a commento dei gravissimi fatti di Francia, non poteva mancare quella di un opinionista da me stimatissimo : Davide Giacalone. Il quale sostiene con orgoglio alcune convinzioni : non è vero che stiamo perdendo la guerra di civiltà, è vero che la nostra, fondata sulla libertà, sul rispetto reciproco, sulla tolleranza di valori diversi, è superiore alla loro, nella misura in cui questi principi sono da essi negati. Non è vero che non ci siano musulmani perfettamente integrati nella realtà occidentale, e al riguardo il politologo cita una delle vittime, Ahmed Merabet, il poliziotto prima ferito e poi spietatamente freddato da uno dei fratelli Kouachi. La guerra la dobbiamo fare a questi ultimi, evidentemente non al primo. Giustissimo. Solo che non sempre è facile distinguer ei buoni dai cattivi come nel caso di specie. E' su questo che le comunità musulmane in Europa devono migliorare, e molto.
Buona Lettura




Guerre islamiche








Siamo noi ad avere vinto, senza che vi sia alcuna possibilità di dominazione islamica in Europa, con conseguente sottomissione della nostra civiltà. Che non è solo vincente, ma superiore perché fondata sulla laicità dello Stato. E se è bene rifuggire dalle guerre di religione, che nel nostro continente richiamano carneficine prodotte all’interno del mondo cristiano, è meglio rendersi conto che agli scontri di civiltà religiosa non ci si può sottrarre, riguardando tutti: credenti in fedi diverse e non credenti. Senza commettere l’errore di identificare l’islam con il fondamentalismo. Due concetti contro corrente, lo capisco. Ma anche due pilastri irrinunciabili, per non perdere e perdersi.
Qualcuno parla di guerra, che sarebbe già in corso. Ma a chi la facciamo? Ad Ahmed Merabet? Francese di origine algerina, musulmano. Ucciso a terra, vigliaccamente. Se guerra è, Merabet ha combattuto con noi. Quindi si deve distinguere. Quella roba che hanno chiamato “islamofobia” altro non è che una caduta di fiducia in noi stessi. Se la recuperassimo in pieno ci accorgeremmo che allo scontro di civiltà religiosa abbiamo interesse a partecipare. Senza per questo doverci convertire ad alcunché. E’ giusto chiedere ai mussulmani che non vivono la fede come dominanza su altri, singoli e istituzioni, all’interno o fuori dal loro Paese, di condannare il terrorismo fondamentalista. Ma è poi un errore non offrire il megafono a quanti lo fanno. Ed è errore ancora più grave considerare i peggiori fra loro come i più coerenti fra i fedeli. Lo si commise anche nella cristianità, pagandolo a caro prezzo. Invece abbiamo interesse a sostenere quanti indicano negli aviatori delle torri gemelle, nei suicidi che si fanno esplodere in Israele, negli assassini di Parigi, dei bestemmiatori di Allah e di Maometto.
Sono mussulmani i sunniti, come lo sono gli sciiti. Come lo sono i wahabiti (sunniti). Io, laico europeo, non sono chiamato a discernere, fra loro, il vero dal falso, perché questa è faccenda religiosa, che già li divide da secoli. Io sono chiamato a conversare con chi abita, ammette e condivide lo Stato laico e ad avversare chi pretende di piegarlo ai propri pregiudizi, considerando inaccettabile e blasfema la sua superiorità. Per far questo, cui non posso e non devo rinunciare, devo saper distinguere. I jihadisti di Boko Haram sono miei nemici, come le sono dei musulmani che rimasero e rimangono tali senza nulla concedere al fondamentalismo. Accadde e accade in Egitto, in Turchia, altrove. Le armi sono strumenti di potere, non di conversione, e si combattono con le armi.
Con questi fuochi abbiamo scherzato troppo a lungo, negandoli o sentendoci furbi nell’alimentarli. I francesi, come tutti noi europei, riflettano sulle castronerie dette durante le “primavere arabe”, sull’errore commesso in Libia, prima ancora sull’avere accudito Khomeini manco fosse un martire della libertà. Distinguere serve anche a colpire. Prima.
Sarebbe lungo, interessante ma diverso, il discorso sulla natura dell’islam. Ma quel che interessa è che la fede deve restare libera nel mondo libero, mentre la fede che comporta coercizione o soppressione dell’infedele è contro l’ordinamento civile, quindi qui degna di repressione, non di comprensione.
Il nostro non è solo il mondo in cui si possono pubblicare libri, articoli e vignette che altri ritengono blasfeme (il che capita per ogni sensibilità religiosa). Questo è solo un aspetto, sebbene importante, della realtà. Il nostro è il mondo in cui si ha il diritto di criticare quelle pubblicazioni, come tutte. E se le si ritiene oltraggiose oltre il tollerabile ci si può rivolgere a un giudice, chiedendo che ne siano puniti gli autori. Le due cose assieme ci rendono superiori. Lo Stato laico e la separazione della morale civile da quella religiosa rendono possibile la convivenza. Tali conquiste non solo non escludono i conflitti (e gli errori), ma esplicitamente li prevedono. Mancanti di verità assolute, quindi di ottusità dottrinarie, procediamo per approssimazioni. E’ bellissimo e fortissimo. Può costarci dolore, può dar luogo a scontri accesi, ma preserva il bene più grande: la libertà individuale.
Può la nostra civiltà resistere e persistere ove abitata anche da mussulmani? Non solo può, ma deve. Ove non lo volesse, ove lo rifiutasse, ne uscirebbe annientata. Può la civiltà della tolleranza tollerare gli intolleranti? No, non può, perché accetterebbe di negare sé stessa. Ma non toglie loro la parola, toglie loro le armi. E non in ragione di quel che credono, ma in ragione delle leggi. Che sono morale approssimativa e in continua trasformazione, ma per quel che sono se ne esige il rispetto. Chi non le osserva va fuori dal nostro mondo o dentro le nostre galere. Idem per chi non rispetta la libertà altrui, siano pure figli o figlie. Se ci combatte armato, armati lo eliminiamo.

Nessun commento:

Posta un commento