domenica 22 febbraio 2015

ALESINA E GIAVAZZI : LA CONGIUNTURA ECONOMICA E' FAVOREVOLE, STOLTO NON APPROFITTARNE

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Ogni tanto qualcuno del governo - in genere sono il Premier e il ministro dell'Economia, e quindi Monti, poi Letta e Saccomanni, oggi Renzi e Padoan- annunciano la luce alla fine del tunnel. Purtroppo in questi oltre tre anni è stato facile ironizzare che quella luce era di un treno che stava venendo in direzione opposta...
Adesso però vi sono elementi congiunturali favorevoli : il prezzo del petrolio, l'indebolimento dell'euro rispetto al dollaro, la politica espansiva della BCE che influisce anche sul costo degli interessi sul debito. Insomma tutte condizioni positive, evidentemente esterne.
Il timore è che non si approfitti di queste per andare avanti con più coraggio sulla famose riforme e soprattutto finalmente ad apportare qualche vero e serio taglio alla spesa.
Ma se sulle riforme si potrebbe dire che "eppur si muove", ancorché con timidezze e contraddizioni, sulla spesa non c'è verso.
Eppure la ripresa degli acquisti passa soprattutto dalla riduzione delle imposte e questo non è ipotizzabile senza una seria riduzione della spesa.


Lo spiraglio c’è
 Che errore continuare a essere timidi
di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi 

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La lunga caduta della produzione industriale si è arrestata in autunno, grazie alle esportazioni, che a fine 2014 erano aumentate del 5,4 per cento rispetto a un anno prima. La crescita dell’export continuerà visto che negli ultimi tre mesi l’euro si è deprezzato rispetto al dollaro di un altro 10 per cento. Ma la domanda interna? È qui che si gioca la partita.
La domanda interna privata è fatta di consumi e investimenti. Negli ultimi tre anni gli investimenti privati in macchine e attrezzature sono scesi del 18 per cento.

Senza un rinnovo degli impianti le aziende non saranno in grado di far fronte ai nuovi ordini, interni o esteri che siano. Questi investimenti oggi vanno fatti e contribuiranno a sostenere la domanda interna. Tanto più con il petrolio a prezzi di saldo e il credito bancario che diventa più generoso con il « quantitative easing » della Banca centrale europea.
Oggi, per la prima volta da molti anni, sembrano esserci le condizioni per ripartire. Il rischio è che non appena i dati migliorano, la spinta per le riforme venga meno.
Negli ultimi tempi, per la verità, il governo ha accelerato il passo sulle riforme economiche. Da ieri il Jobs act è legge. Renzi ha giustamente tenuto duro sulla richiesta delle commissioni parlamentari che il reintegro non venisse abolito nel caso di licenziamenti collettivi, ma sarebbe stato meglio se le nuove norme si fossero applicate a tutti, non solo ai nuovi assunti. Sul decreto legge di trasformazione delle banche popolari il governo deve mettere la fiducia, altrimenti quel decreto non passerà mai perché la lobby delle popolari è fortissima in Parlamento. Questa legge renderà possibile il rafforzamento patrimoniale di banche spesso sottocapitalizzate con notevoli benefici per il credito alle imprese, soprattutto le più piccole.
Il disegno di legge sulla concorrenza, presentato venerdì, ha aspetti positivi, ma il presidente del Consiglio è stato troppo timido nei confronti della politica. Per esempio, la liberalizzazione non riguarda le aziende pubbliche locali, un grande feudo dei partiti. Anche l’aver stralciato le norme sui porti, difesi da forti lobby, è un brutto segnale.
Lo stesso dicasi dell’aver mantenuto il monopolio delle farmacie nella vendita dei medicinali di fascia C (quelli utilizzati per patologie di «lieve entità»), una ingiustificata concessione ad un’altra lobby, questa protetta con entusiasmo dal ministro Beatrice Lorenzin.
Ma il vero tema assente nell’agenda del governo sono i tagli alla spesa. Quando allontanò l’ennesimo commissario alla spending review , Carlo Cottarelli, Renzi disse che se ne sarebbe occupato in prima persona. Giusto, perché i tagli alla spesa sono una scelta politica che non può essere delegata ai tecnici. Ma finora tagli non se ne sono visti. Ridurre le spese consente di abbassare le imposte.
I dati parlano chiaro: abbassare le imposte, soprattutto quelle che gravano sulle famiglie con reddito medio e medio basso e sul lavoro fa crescere i consumi molto più rapidamente che non aumenti di spesa che sono lenti a materializzarsi e nel nostro Paese spesso sono fonte di corruzione.

E la velocità conta. C’è uno spiraglio di luce per il 2015. Non lo si deve perdere. Occorre dare fiducia ad un Paese che la sta perdendo. 

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