domenica 22 febbraio 2015

GALLI DELLA LOGGIA E LA STOLIDA LITANIA DEL RICORSO ALL'ONU

 

Ha ragione Ernesto Galli della Loggia a scrivere che l'ONU non è un'organizzazione imparziale e dotata di chissà quale alta autorità morale, e ne ha anche quando ricorda come la nostra classe politica e buona parte dell'opinione pubblica mostrano di credere (probabilmente la prima in malafede) a questi valori nobili racchiusi nel palazzo di vetro.
Non è così e lo vediamo tutti i giorni da oltre mezzo secolo. Però ai governanti, per non decidere, fa comodo il "ricorso all'Onu", e quindi resta di gran moda evocarlo.


Una falsa autorità morale
di Ernesto Galli della Loggia 

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Meglio chiarirlo subito: per sbarrare la strada all’Isis va benissimo cercare ogni possibile via diplomatica (puntare al «dialogo» mi sembra davvero un po’ troppo); egualmente giustissimo non affrettare in alcun modo un’eventuale soluzione militare della questione Libia. Tutto ciò per dire che in vista di qualunque decisione nel merito di tale questione mi sembra più che sensato guardare alle Nazioni Unite. Considerare cioè il Palazzo di Vetro come una sede preliminare ineludibile di qualunque via futura si scelga. Tuttavia, da ciò a celebrare il culto dell’Onu, a proclamarne obbligatoria l’osservanza in ogni circostanza, come sono inclini a fare da sempre una parte dell’opinione pubblica italiana e la totalità della classe politica, ce ne corre (o dovrebbe corrercene). Invece solo da noi, mi pare, l’Onu è considerata quasi una sorta di sede della coscienza universale, di unica titolare autorizzata a giudicare che cosa è bene e che cosa è male negli affari del mondo. Solo nel nostro discorso pubblico o quasi le sue pronunce sono generalmente accolte come l’inappellabile voce della giustizia. Da qui la necessità — sentita in Italia come assoluta — di un consenso dell’Onu stessa per attestare la liceità di qualsivoglia uso della forza: non già, come invece è, per dichiararne semplicemente la conformità formale al deliberato dell’organizzazione. Deliberato — bisognerà pur ricordarlo — che non proviene però da nessuna autorità imparziale (tipo tribunale o gruppo di «saggi» o esperti super partes ), bensì da un’assemblea di Stati.
 Di quei «freddi mostri», come li definì a suo tempo un grande europeo, i quali sono soliti giudicare legale o meno l’uso della forza (come del resto qualunque altra cosa) sempre e comunque in base a un solo criterio: il proprio interesse politico (o, ciò che è la stessa cosa, il proprio schieramento ideologico di appartenenza). Quale autentico valore morale abbia una simile pronuncia può essere oggetto perlomeno di qualche dubbio. Del resto il carattere moralmente spurio perché fondamentalmente solo politico delle pronunce delle Nazioni Unite è attestato dal suo stesso statuto, quando istituisce il diritto di veto. Cioè la regola per cui qualunque verdetto dell’Assemblea generale degli Stati è di fatto reso inoperante e perciò nullo dal diritto riconosciuto ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) di opporre la loro volontà contraria. Che razza di accertamento legale, e tanto più etico, è mai quello che può concludersi in questo modo?
Un’ulteriore riprova della base in realtà assai debole su cui poggia l’autorità delle Nazioni Unite è data dagli stessi che per un altro verso si presentano come i loro più convinti paladini. Cioè da coloro che si riconoscono nelle culture politiche che maggiormente auspicano in ogni occasione il ricorso all’Onu e l’ossequio alle sue risoluzioni. Per esempio i cattolici in generale e le gerarchie vaticane: gli uni e le altre sempre pronti a sostenere l’opportunità dell’intervento del Palazzo di Vetro, l’uso delle sue istanze e l’adeguamento alle sue direttive quando si tratta di tensioni e scontri politici tra gli Stati, di minacce di guerra. Quando però si tratta di questioni di diversa natura come l’aborto, la definizione di genere o il matrimonio tra persone dello stesso sesso — questioni dove l’etica conta davvero — allora, invece, all’Onu e ai suoi meccanismi decisionali non vengono più attribuiti, chissà perché, alcuna autorità e alcun valore. Così come del resto una vasta parte dell’opinione pubblica occidentale non attribuisce neppure lei alcun valore alle varie, pazzotiche (per non dir peggio) delibere delle Nazioni Unite in materia di razzismo, sionismo e via dicendo.
La verità, come non è difficile capire, è che dietro il ritornello del ricorso all’Onu che domina la politica estera dell’Europa c’è innanzitutto l’inconsistenza di quella politica. E subito dopo il deperimento del concetto tout court di politica in senso forte: come decisione per l’appunto sulla pace e sulla guerra, sulla vita e sulla morte. E questo è, a sua volta, l’effetto dell’incertezza che regna nella nostra coscienza su che cosa siamo e sul suo senso, su che cosa dunque ci è consentito di volere e sui mezzi da impiegare per volerlo. Ormai anche il concetto primordiale di autodifesa ci appare un concetto problematico. Per qualunque cosa o quasi abbiamo bisogno del consenso degli altri, e per metterci a posto la coscienza ci diciamo che è così perché sono gli altri meglio di noi a sapere che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Anche se dentro di noi sappiamo benissimo che gli altri, in realtà, ci indicheranno solo ciò che sembrerà più utile per loro.

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