sabato 21 febbraio 2015

SE SENTI TSIPRAS CAPISCE LA MERKEL, E SE SENTI SCHAUBLE CAPISCI VAROUFAKIS. COSì SI VA A SBATTERE




Tsipras va in tv e si mostra trionfante: ha vinto lui. Forse perché la Troika non si chiama più così ? Evviva, però mi pare di aver capito che la Grecia debba presentare quanto prima un programma di riforme e di adempimenti e il tutto indovinate da chi verrà controllato ? Bravi, avete indovinato : BCE, Fondo monetario e Bruxelles. Chi componeva la troika ? Però non la chiamiamo più così e ad Atene sono contenti. Meglio.
La sensazione è che Tsipras e Varoufakis abbiano constatato come sia più facile parlare ai greci che agli europei, tedeschi specialmente, e che sarà impossibile coniugare le promesse elettorali con la permanenza nell'euro. 
Stanno quindi aggiustando il tiro, cercando di non cedere su tutto perdendo oltretutto la faccia. Umiliarli peraltro non conviene a nessuno, anche tenendo conto che il problema da loro sollevato sta diventando vecchio e non è risolto : la sostenibilità dei debiti nazionali e la necessità di riformare il sistema di sostegno, federelizzandolo ( con ciò facendo, realizzando anche importanti cessioni di sovranità nazionale in materia economica fiscale, cosa che un po' la BCE sta già in parte realizzando, condizionando il sostegno finanziario all'esecuzione dei famosi e detestati "compiti a casa"). 
La palla al momento resta in aria, ché nessuno si azzarda a lasciarla cadere a terra. Ma per quanto tempo si potrà continuare a fare ?
Intanto, ho trovato interessante l'analisi di Giacalone sull'attuale, precaria, tregua tra Grecia ed Eurogruppo.


Apparenza greca



Più ascolti i greci e più comprendi i tedeschi. Più osservi i tedeschi e più capisci i greci. Ma non si può farlo da spettatori distaccati, perché siamo coinvolti. Perché da come si chiuderà la faccenda deriveranno conseguenze anche per l’Italia.
L’esito della partita è scontato fin dal primo momento, dovendo necessariamente portare a un accordo. I cui contorni sono chiari fin dall’acchito: i greci non possono pagare nei termini stabiliti, sicché pagheranno con tempi e modalità diverse; i paesi che hanno prestato soldi alla Grecia sapevano che non li avrebbero riavuti subito, ma non possono rinunciare all’idea di riaverli. A ogni incontro, fra greci e autorità europee, il copione è sempre stato lo stesso: vigilia di fiduciosa attesa; comunicato di rottura alla fine dell’incontro; cui faceva subito seguito la rassicurazione che, però, sarebbe finita bene. Tanto l’Unione monetaria non aveva interesse a buttarli fuori, tanto i greci non potevano permettersi di uscire, se non per andare incontro alla rovina o alla vendita della loro sovranità. Una commedia. Il guaio è che gli attori si sono dimostrati così poco all’altezza e così incoscienti che, benché la cosa fosse irrazionale, non si poteva escludere la fine tragica. O farsesca, se preferite, perché la soluzione della faccenda greca non passa per un accordo sulla sostanza, ma per un compromesso sull’apparenza. Il più difficile.
Il nuovo governo greco vuol far vedere di avere piegato il rigorismo europeo. Peccato che non esista e che le politiche della Banca centrale europea siano espansionistiche e inflattive (tanto da star sul gozzo ai tedeschi più ottusi). Le autorità europee vogliono far vedere che non sono stati fatti sconti ai greci, altrimenti possono salutare i governi di Spagna, Irlanda e Portogallo, alzando una marea qualunquista e dissennata, destinata a sommergere anche i paesi più grandi. Peccato che lo sconto più impressionante fu fatto ai greci quando si consentì loro di entrare nell’euro e di truccare i conti. Ciascuna delle parti sa che la rottura porta male, ma ciascuna spera di far vedere che è stata l’altra a cedere. Ogni volta che le autorità europee si avvicinano a un punto di equilibrio sono, a turno, i tedeschi o i greci a farlo saltare. Ieri il governo greco ha inviato una lettera in cui si rimangia tutto e ripromette quel che il governo precedente aveva già assicurato. Una capitolazione. Ma chiede di potere trattare altri sei mesi, ottenendo intanto gli aiuti e facendo finta di non volere dire che ne accetta anche le relative condizioni (ovvero quelle di prima). Essendo partiti dall’idea di non pagare i debiti, diciamo che l’inversione di marcia è totale. Ma i tedeschi rispondono: no, ora ci dite che avevamo ragione noi. Che è anche vero, se non fosse che chiederlo è da asilo infantile. O da ospizio senile.
Se i pazzi non si coalizzano, reggendosi e giustificandosi a vicenda, si arriverà colà ove era chiaro si dovesse arrivare. Una pagliacciata che toglie la faccia al governo greco, ma non crea meriti per la controparte.
In tutta questa faccenda una sola cosa seria è uscita dalla bocca dei greci: convochiamo una conferenza europea sul debito pubblico. Tanto è inutile procedere con rinvii e allunghi, prima o dopo o si passa per forme di federalizzazione del debito, già avviate dalla Bce, oppure l’euro non regge alle tensioni fra politica e mercato. Prima o dopo lì si arriva. Meglio prima. Sarebbe stato saggio rispondere loro, almeno noi italiani: avete torto su tutto, ma non su questo. Invece s’è cincischiato con il mito sciocco dell’elasticità, che illude ciascuno d’essere furbo e fa sembrare l’Europa la patria dei fessi. Il nostro governo ha portato a casa l’accordo per evitare subito la manovra correttiva, che nei numeri c’era tutta, ma anche questo è solo un rinvio, che neanche si traduce in maggiore, ma in minore crescita del prodotto interno lordo. Se la partita greca si chiude in questo modo inelegante e contorto la conseguenza è che nulla potrà essere chiesto in più. Nessuna elasticità aggiuntiva. Ciò incentiverà l’istinto venatorio del fisco, non potendo contare sul taglio profilattico della spesa pubblica. Il contrario di quel che ci serve

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