mercoledì 25 marzo 2015

LA FAMIGLIA ESPOSITO, DEI GIUDICI UN PO' (TROPPO) DISINVOLTI

 

Luigi Ferrarella non sta mai dalla parte degli imputati ed in questo è coerente, perché non lo fa nemmeno se questi sono dei magistrati sotto inchiesta, ancorché notoriamente il suo cuore batta per le Toghe "pregiate" (così definite quelle dei giudici, per distinguerle dalle nostre, semplici avvocati privi di qualsiasi potere). Nel caso di specie, è evidente l'antipatia per Ferdinando Esposito, pm e figlio del giudice presidente della sezione della Corte di Cassazione che condannò in via definitiva Berlusconi per il reato di frode fiscale e che fu sottoposto a indagine disciplinare (naturalmente senza seguito...) per una disinvoltisisma intervista ad un giornalista de Il Mattino in cui, a motivazioni non ancora depositate, spiegava soddisfatto come e perché avevano condannato il Cavaliere (ricordo in proposito il commento del Prof. Coppi, dopo averle lette, quelle motivazioni : "è come se per due ore non avessi parlato...nemmeno il minimo riferimento alle eccezioni e contestazioni in diritto che avevo espresso"). La disinvoltura, leggendo l'articolo di Ferrarella, è il tratto distintivo della famiglia, ma magari è l'estroversia partenopea...



Il pm a casa di Berlusconi
 «Volevo entrare in politica»
Il figlio del giudice Esposito: «Con Arcore avevo un rapporto pulito Sono stato superficiale, ma mai ho dato notizie su Ruby e Mediaset»

 

MILANO I viaggi ad Arcore del pm milanese Ferdinando Esposito per incontrare Silvio Berlusconi? Figlio del giudice di Cassazione che poi presiedette il collegio del processo Mediaset per frode fiscale, e nipote dell’ex procuratore generale della Cassazione, il pm «risponde che l’on. Berlusconi gli era stato presentato da Michela Brambilla» (parlamentare di Forza Italia) «e che i viaggi» ad Arcore «avevano a oggetto una possibile entrata in politica», cosa poi non avvenuta. «Era un rapporto assolutamente pulito, trasparente con la persona», dice Esposito jr. negli interrogatori ora depositati dai pm di Brescia che gli notificano, a conclusione delle indagini, due ipotesi di «induzione indebita» di un avvocato ex amico, e una di «tentata estorsione» di una dirigente immobiliare.
Quando il pm Esposito dice «sono andato ad Arcore quattro volte tra il 2009 e il 2013», gli inquirenti bresciani osservano: «L’ultima però forse c’era a Milano anche quel processo pendente che riguardava Berlusconi?». «Esattamente». «E lei non ci aveva visto nulla di sconveniente?». «No, sono stato sicuramente superficiale» ma «io mai e poi mai nella maniera più assoluta ho trattato questioni che avessero a che fare con i processi Ruby e Mediaset». E come doni «ho ricevuto da Berlusconi soltanto piccolissime regalìe d’uso che è solito dare a tutti quando si presentano lì. Cravatte».
L’avvocato Michele Morenghi, prima grande amico e poi grande accusatore del pm che l’ha controdenunciato per calunnia specie dopo che nel 2014 un gip ha ritenuto la credibilità di Morenghi minata dai risentimenti, sostiene che Esposito gli raccontava «di andare da Berlusconi per riferirgli informazioni sulle indagini a suo carico che riusciva a carpire dai colleghi alla macchinetta del caffè dell’ufficio»: ma Esposito ribatte che si tratta di «frasi mai riferite e comunque non corrispondenti al vero».
E pensare che, a detta dello stesso Esposito (che intende chiedere l’avocazione delle proprie denunce di calunnia contro Morenghi per asserita inattività dei pm bresciani), l’avvocato gli era persona carissima: «Mi ha dato sostegno anche in momenti difficili, quali ad esempio l’agosto 2013 in occasione della vicenda che ha coinvolto mio padre con riferimento alla sentenza Mediaset in Cassazione». E adesso invece il pm lo taccia come «uno che per un anno e mezzo ha preso appunti su me e mi ha schedato, neanche la Stasi...».
Quest’amicizia in pezzi ha portato a galla su Esposito (trasferito in via cautelare al Tribunale di Torino) i fatti ritenuti reato dai procuratori bresciani Tommaso Buonanno e Silvia Bonardi: una «tentata induzione indebita» (la vecchia concussione per induzione) per avere cercato di spingere Morenghi a subentrare (con l’immobiliare amministrata da Cristina Rossi) nell’affitto di 32.000 euro annui dell’attico dove il pm viveva da tempo vicino al Duomo, prospettando a Morenghi (che voleva commercializzare un integratore alimentare) che altrimenti in Procura «può capitare di tutto alle aziende con l’inchiesta sbagliata»; e una ipotesi di «tentata estorsione» di Rossi per farle sottoscrivere il contratto di locazione della casa. La casa dove in passato a Esposito avevano pagato l’affitto due amici, Stefano Cauduro e prima Claudio Calza, «con cui c’era un rapporto molto stretto, grazie a Calza ho avuto il piacere di conoscere il presidente Cossiga che mi aveva in particolare simpatia». Giudice bresciano: «Allora Esposito, lei dice che stava dal 2009 al 2013 in un appartamento di 32.000 euro all’anno e non aveva pagato una lira, è così?». «Esattamente, però senza mai minacciare né il signor Calza né il signor Cauduro». Giudice: «Sono 120.000 euro di cui lei ha beneficiato per amicizia». Esposito: «Mi sono dato del taccagno, signor giudice».
Il terzo addebito ipotizzato è «induzione indebita» di un commercialista dal quale il pm si fece fare due prestiti di 5.000 euro in un periodo in cui si era fatto prestare soldi anche da altri per il proprio tenore di vita: il secondo prestito, successivo alla legge Severino, è incriminato perché Esposito accompagnò il commercialista in Procura a proporlo come consulente al suo amico pm Maurizio Ascione (che non gliene diede, e poi anzi fece rapporto su un biglietto di Esposito volto a concordare le versioni). Brescia: «Le pare possibile che lei si faccia prestare soldi da un consulente e poi lo porti in Procura e dica a un collega “dagli incarichi e poi spartiamo”?». Esposito: «Glielo dissi ridendo, una delle battute sceme che facevo con Ascione, per me un fratello». Brescia: «È vero o no che lei ha tentato di fargli avere un biglietto in cui spiegava cosa avrebbe dovuto dire ai pm di Brescia?». «Una ennesima ingenuità di cui mi vergogno, assolutamente non andava fatto, un gesto proprio inqualificabile e imperdonabile».
E la visita serale a Brescia, quando ancora non era nota l’indagine, nella stessa cella telefonica del procuratore aggiunto bresciano Sandro Raimondi? «Un amico fraterno, gli chiesi consigli e assistenza in ipotesi di difesa da un punto di vista di procedimento disciplinare al Csm».

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