mercoledì 25 marzo 2015

" CHI CE LI HA DIECI MILIONI NETTI PER POGBA ?" COSì PARLO' MAROTTA



Nell'euforia generale per la cavalcata verso il quarto titolo consecutivo (in effetti, nel calcio moderno, un'impresa niente male) e per il brillante passaggio ai quarti di finale di Champions, battendo nettamente i tedeschi del Borussia, gli juventini dovranno rassegnarsi alla prossima perdita di un giovane campione, in odore di fuoriclasse : Paul Pogba.
Intervistato dal Corriere della Sera, Marotta non poteva essere più chiaro nel lanciare il messaggio ai tifosi : di fronte ad ingaggi stratosferici, i giocatori chiedono di essere ceduti, e trattenerli non si può. Contrattualmente si potrebbe anche, ma col risultato di costringere un giocatore a restare dove non vuole ed il serio rischio di un suo comportamento poco professionistico ( sospetto forte è che con Vidal, postumi infortunio a parte, sia andata un po' così).
Del resto, i calciatori ormai sono praticamente tutti dei mercenari, le cd. bandiere, alla Totti e Del Piero per capirci, ammainate, per cui conta solo il presente.
Rassegniamoci e speriamo piuttosto che accada come quando venne ceduto quel fenomeno di Zidane. Il Real Madrid pagò la cifra astronomica di 160 miliardi (!!!) con i quali la Juventus sistemò alla grande e per anni l'intera difesa, acquistando Buffon, Thuram e Cannavaro ( che arrivò in seguito), oltre ad un campione come Nedved.
Il quiz e gioco dell'estate quindi non sarà "Pogba resta o va?", ma "Chi compreremo con tutti quei milioni ? ".



Il Corriere della Sera - Digital Edition


Tutti in coda per la Juve «Il nostro appeal è cambiato tantissimo i top player si offrono e vogliono venire da noi 
Pogba?
Il guaio è se gli danno 10 milioni netti 
Beppe Marotta compie oggi 58 anni. Il suo è un lungo viaggio nel calcio: prima di arrivare a Torino come vedeva la Juve?
«Dal basso verso l’alto, una corazzata-modello che vinceva e per questo era antipatica».
E vista da dentro com’è?
«Ho scoperto cosa vuol dire essere considerati antipatici. La Juve o la ami o la odi».
Avere 14 punti sulla seconda ha controindicazioni?
«No, perché vincere è sinonimo di entusiasmo, di arricchimento, non solo economico ma anche professionale. E comunque non abbiamo ancora vinto nulla. Certo, chiudere il capitolo scudetto prima del previsto ci permetterebbe di affrontare il turno di Champions con maggior concentrazione».
I tre punti fondamentali del modello Juve quali sono?
«Il primo: la continuità rappresentata dalla presenza della famiglia Agnelli e dal forte senso di appartenenza. Il secondo: la scelta degli interpreti, sia nell’ambito manageriale che in quello tecnico. Il terzo: il valore rappresentato dal patrimonio dei grandi giocatori che hanno fatto la differenza».
Dove nasce l’idea di andare a prendere Pogba o Tevez?
«Da una conoscenza specifica dei giovani migliori in circolazione attraverso un grande lavoro di scouting. E dalle capacità di relazioni con i giocatori affermati, che magari hanno volontà di cambiare aria».
Il secondo profilo sembra quello di Falcao o Cavani. Sarà un’estate calda?
«Sì, vogliamo andare ancora più in alto e centrare ancora di più gli obiettivi. Possiamo farlo, perché abbiamo modellato la squadra anno dopo anno. E nella prossima estate dobbiamo alzare nuovamente il livello di qualità. Nomi non ne faccio, ma quelli che avete fatto voi sono comunque delle certezze».
La Juve che va avanti anche in Europa piace di più?
«Sì, il nostro appeal è cambiato tantissimo. Prima si faceva fatica a incentivare i giocatori a venire: l’esempio è Di Natale che ha rifiutato il trasferimento. Oggi c’è la corsa per venire da noi. E parlo di giocatori che vanno per la maggiore, i cosiddetti top player».
Farete di tutto per tenere Pogba?
«Una volta per convincere un giocatore bastava una pacca sulle spalle, oggi è lui il protagonista del suo destino e se decide di andare via è difficile per la società trattenerlo».
E la situazione com’è?
«Pogba non ha manifestato la volontà di andare. Il problema è quando a un giocatore viene offerto un contratto che può essere due o tre volte quello che oggi guadagna. Stiamo parlando di dieci milioni netti a stagione».
L’implosione della Roma ve l’aspettavate?
«Posso solo dire che per vincere bisogna tenere una squadra con un blocco granitico. Se cambi continuamente è difficile trovare la famosa “amalgama” che Massimino voleva acquistare...».
E la crisi di Milan e Inter?
«È un danno per tutto il movimento. Sarebbe stato bello lottare per lo scudetto anche con loro».
Allegri a luglio è stato una vera scommessa?
«Sapevamo di correre il rischio di una rivolta popolare e anche mediatica. Però abbiamo scelto il migliore a disposizione in quel momento. E lo abbiamo supportato: se metti l’allenatore nella condizione di lavorare bene, può dare il meglio di sé. E Allegri sta dando il meglio di sé».
La frase di Conte «non si entra in un ristorante da 100 euro con 10» è stata una ferita?
«Forse era meglio non sentirla, ma rientra nel suo carattere».
Di Allegri si dirà che ovunque vada (Cagliari, Milan) fa bene solo al primo anno?
«È uno stimolo forte per vincere anche al secondo: sarebbe un traguardo eccezionale».
Quanto conta un tecnico?
«Non l’ho mai capito: credo che società, allenatore e giocatore valgano un 33% a testa».
I giocatori volevano dimostrare di poter vincere anche senza Conte?
«Credo sia normale. Quel ciclo probabilmente si era consumato e bisognava ritrovare nuove motivazioni».
Dietro alla scelta di Tevez di non rinnovare ci sono motivazioni personali. Sono un ostacolo insormontabile?
«Carlos ha un contratto fino al 2016 e non ne abbiamo ancora parlato. A lui dobbiamo tanto, ma lui deve tanto alla società. Se dovesse decidere di lasciare la Juve ci dovremo adeguare».
Perché avete puntato su Morata invece che su Immobile che per metà era vostro?
«Sono state fatte delle scelte tecniche, ma anche di bilancio. Abbiamo ceduto Immobile perché lui voleva andare al Borussia e abbiamo puntato su Morata perché era il giovane giusto per noi. Ma parlare di un campione è prematuro: serve la conferma del secondo anno».
Cosa vi lascia Calciopoli?
«Quello che abbiamo sempre detto: una disparità di trattamento subito. Basta leggere la relazione di Palazzi».
Cosa non sopporta proprio del calcio italiano?
«La mancanza di competenza da parte di presidenti e dirigenti. Come diceva Italo Allodi, questo è l’unico mondo in cui un operaio il giorno dopo diventa un architetto».
Il suo giudizio sulle presidenze di Figc e Lega qual è ?
«La Juve con il presidente Agnelli si è sempre schierata contro questo tipo di governance, che riteniamo inadeguata. Il fatto è che ci sono dei personaggi (il riferimento è a Lotito, ndr ) che pensano di essere onnipotenti ma sono solo onnipresenti. È come aver a che fare con un amministratore unico di un condominio».
Le offese le rimangono addosso?
«Quando ero giovane ero molto sensibile, rimanevo un po’ scosso. Oggi sono molto indifferente, ma se l’offesa viene da una persona che stimo mi dà molto fastidio».
Seconde squadre: si fanno?
«Non si riesce. Ma in compenso nel prossimo consiglio federale si parla di seconde proprietà, che non esistono altrove e sono interesse di una sola persona, Lotito: ma cosa succede se la Salernitana viene in A dove c’è la Lazio?».
Il colpo di mercato di cui va più fiero?
«È legato all’arrivo di Cassano alla Samp, per il fatto di aver riportato al suo livello un patrimonio calcistico. È stata un’esperienza umana molto forte».
Il futuro di Marotta qual è?
«Ho due gemelli terribili di 4 anni e mezzo, Giovanni ed Elena. Nella Juventus sto benissimo e vorrei terminare la carriera qui. Poi valuterei un ruolo istituzionale».

Daniele Dallera
Paolo Tomaselli

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