domenica 10 maggio 2015

POLITO : LA SINISTRA RIFORMISTA DEVE CAMBIARE ELETTORATO

 

Indubbiamente ha avuto l'intuizione giusta Matteo Renzi nel realizzare in questa epoca la mutazione genetica del partito democratico, svuotandone la matrice sinistrese con un solido spostamento al centro (ancorché un centro molto statalista e poco liberale...democristiano direi..., come peraltro sono in molti a dire ).
In effetti, non è una buona stagione per la gauche in Europa, e se i partiti comunisti sono ( con nostro gaudio magno) spariti sostanzialmente dalla società e spesso ormai anche dai parlamenti (da noi sono già due legislature che questa bella cosa accade), anche quelli socialisti, socialdemocratici non godono di grande salute.
Qualche illusione l'ha suscitata Syriza (che comunque è decisamente su posizioni radicali, non riformiste) in Grecia, ma questi primi mesi di fuoco per  Tsipras ed il suo fascinoso ministro dell'economia (Varoufakis) hanno gà creato molte disillusioni, che sembrano ripercuotersi sul cugino gemello spagnolo, Podemos, dato in calo nei sondaggi (per quel che valgono, questi ultimi...). 
Nel resto d'Europa, per la bandiera rossa  è , come detto, un momento difficile.
Lo scorso aprile sono affondati i socialdemocratici finlandesi (precipitati al quarto posto), a marzo era toccato ai socialisti portoghesi di Madera ( retrocessi al terzo posto), sappiamo come se la passino male quelli francesi e in Germania si legge da un po' che l'SPD stia meditando di NON partecipare alla corsa per il cancellierato (che pure si terrà tra tre anni!!), in caso di ricandidatura della Merkel, considerata imbattibile. 
In questo contesto, si comprende bene come il tabù storico del PCI, "nessun nemico a sinistra", sia privo di senso, sostituito dall'assoluta necessità di conquistare il centro, "altrimenti si resta fermi al 25%", come simpaticamente Renzi ricorda sempre ai nostaglgici della Ditta.
E' l'elettorato centrista quindi il vero obiettivo di renzino, e pazienza se si perde qualcosa sul lato sinistro.
Efficace, in questo senso, l'analisi di Antonio Polito, che ben conosce le cose di quell'area per averne fatto parte anche come parlamentare. 
Ovviamente in Italia, osserva giustamente il giornalista, l'altro elemento che spicca è il disastro in atto nel campo di centro destra, che favorisce i piani dell'ex scout. 
Buona Lettura



La partita (ancora) persa
della sinistra identitaria 
 socialdemocrazia al tramonto 
di Antonio Polito
 

Dopo sette anni di sventure del capitalismo, la sua più grave crisi dal crollo del ‘29, è alla destra liberale e conservatrice, non alla sinistra, che si rivolgono gli elettori dei grandi Paesi europei. In Gran Bretagna assegnano la maggioranza assoluta ai Tories; in Francia, alle Regionali, rilanciano Nicolas Sarkozy contro i socialisti; in Germania la Spd considera seriamente l’ipotesi di non presentare un candidato Cancelliere alle prossime elezioni, tanto incontrastabile è il dominio della signora Merkel. In tutti e tre i Paesi, è la destra moderata che sembra più capace di arginare l’ondata populista dei Farage, dei Le Pen e dei movimenti anti europei.
Nemmeno al culmine di un lungo periodo di disoccupazione e di impoverimento, nemmeno di fronte a quella che ci era stata dipinta come la crisi finale del liberismo, la sinistra socialdemocratica riesce dunque a trarre forza dalla sua promessa neo-keynesiana di giustizia sociale e di difesa del welfare .


  Forse aveva ragione chi, nell’89, pronosticò che la fine del comunismo suonava la campana a morto anche per il suo cugino d’occidente, il socialismo.
È successo del resto anche in Italia.  

La sconfitta nel 2013 del Pd di Bersani, Fassina e Orfini, scaturì proprio dal tentativo di costruire un blocco sociale intorno a una proposta socialdemocratica. Fallì per ragioni non dissimili da quelle che hanno travolto il Labour di Ed Miliband, Douglas Alexander ed Ed Balls: le stesse classi sociali cui si rivolgevano non hanno creduto alla loro capacità di gestire l’economia.
I conservatori inglesi hanno invece vinto dopo un quinquennio di austerità di bilancio, quasi un milione di posti in meno nel pubblico (ma due milioni in più nel settore privato) e sulla base di un programma che prevede altri dodici miliardi di tagli al welfare . Come a dire: è il lavoro, non il deficit pubblico, che viene percepito come la misura della giustizia sociale. Thomas Piketty avrà pure riempito le librerie e Podemos le piazze, ma è un discendente di Margaret Thatcher ad aver riempito le urne.
 

Ai partiti eredi della sinistra riformista non basta dunque cambiare pelle: devono cambiare elettorato. È ciò che ha fatto il Pd renziano. Che abbia cambiato pelle, si vede a occhio nudo. Ma sta cambiando anche elettorato: un po’ di sinistra se ne va, ma molta gente di centro e di destra può arrivare, come è già avvenuto alle europee
Non a caso i renziani festeggiano come propria la vittoria di David Cameron (anche se avrebbero fatto lo stesso con Miliband se avesse vinto lui). Sinistra è una parola che non pronunciano neanche più. Tony Blair definiva «left of center» (sinistra di centro) il suo Labour, non«left»; e Gerhard Schroeder chiamava Neue Mitte, Nuovo Centro, la sua Spd. Per dare una definizione del partito della nazione cui aspira Matteo Renzi, non bisogna pensare ad Alfredo Reichlin, ma ad Alcide De Gasperi e al suo motto per la Democrazia cristiana: un partito di centro che guarda a sinistra. Poi è tutto da vedere se ne avrà la forza, lo stile, e i risultati.
A questo punto anche la sinistra identitaria, più radicale, deve cercare nuove strade, e camuffarsi per rinascere. Nel voto britannico, per esempio, si è reincarnata sotto le sembianze del nazionalismo scozzese. Sul piano sociale la signora Sturgeon non ha niente da invidiare a Maurizio Landini. Il quale a sua volta suona il piffero alla sinistra italiana invitandola a rivivere sotto forma di pan-sindacalismo.
Ma per quante analogie dimostri con la vicenda europea, quella italiana è viziata da un’anomalia di fondo: non dispone di una destra di governo, rimasta sepolta sotto le macerie del disastro finanziario del 2011, proprio come la destra inglese fu spazzata via dalla svalutazione e dalla recessione negli anni Novanta, che aprirono la strada al blairismo. Ai conservatori inglesi ci sono voluti 23 anni prima di tornare a una vittoria elettorale piena. Quanto tempo servirà al centrodestra italiano?

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