sabato 27 giugno 2015

SE IL TURISMO E' IL PETROLIO DEI TUNISINI, MI SA CHE I POZZI STAVOLTA SI SONO PROSCIUGATI

 

In attesa di leggere un commento decente da proporvi sulla terribile giornata di ieri promossa dal terrorismo islamico (finora le solite cose, anche da Adriano Sofri...peccato, ché l'uomo in genere non è banale), posto questo articolo del cronista del Corsera, Francesco Battistini, sulla malmessa situazione tunisina.
Dpo la sbornia della primavera araba, con i soliti europei portati a scambiare i propri desideri per realtà, con le catastrofi in Siria e Libia, l'Egitto con un nuovo generale. Al Sissi,  al comando al posto del faraone Mubarak, non restava che la Tunisia per continuare con la barzelletta del "se puede". In effetti l'islamismo in salsa tunisina, che prevale nelle libere elezioni ( e già qui gli europei di cui sopra sono delusi, pensando, i babbei, che a vincere sarebbero state le formazioni laiche e progressiste...), è più moderato rispetto a quello visto in Egitto - e subito spazzato via dai militari - con Modri ( leader dei Fratelli Musulmani, vincitore delle libere elezioni, e oggi condannato a morte), e il paese non è (era ?)  nel caos. In 100 giorni due attentati, con l'obiettivo di colpire gli infedeli, i depravati e molli turisti stranieri, hanno messo in ginocchio la principale industria del paese, legata appunto al turismo.
Dopo i 20 morti del museo del Bardo, si sono sprecati i manifesti e le esortazioni a non abbandonare la Tunisia, privandola della linfa vitale del flusso turistico, condannandola alla miseria ( non è un paese che comunque se la passi bene normalmente) e favorendo in tal modo la vulnerabilità alle sirene jidhaiste. Evidentemente la pubblicità, e i prezzi stracciati, avevano convinto gli occidentali a rischiare.
Dopo questa volta ?





L’estate di paura di un Paese sdoppiato: 
sconti, sole, concerti e quell’allarme via sms 
 
 

«È Ramadan, non volate Tunisair!». Era cominciata con un sms sui cellulari della Tunisiana e lì per lì sembrava solo una catena iettatoria. Poi però ci si sono messi i social: «Dal 5 giugno attenti alla Tunisia!». E le voci. E le leggende metropolitane. E qualcuno s’era chiesto: se ne sa di più? Per venti giorni, hanno postato di tutto: allarmi rossi, profezie nere, fifa blu. Finché non è intervenuto il governo tunisino, a garantire che nulla bisognava temere… E finché quindici piloti della Tunisair non si sono inspiegabilmente assentati dal lavoro, giorni fa, e la compagnia aerea ha detto che non si trattava d’uno sciopero e i retroscena si sono sprecati. Ritardi improvvisi, cancellazioni impreviste sulle tratte per Milano e Parigi. Con una domanda appesa: se quei piloti non scioperavano, perché si sono dati?
Dal massacro del Bardo, tre mesi fa, le Tunisie sono diventate due. Una realista che sconsigliava di viaggiare ed era pronta al panico, anche troppo, perché il nuovo attacco al turismo (un po’) se l’aspettava e (molto) lo temeva. Un’altra ufficiale che cercava di tranquillizzare, pure lei troppo: «Dov’era la polizia che doveva proteggere i nostri ospiti?», si chiedono adesso i dirigenti spagnoli degli alberghi Riu. I dati di questi mesi erano già disastrosi — meno 63% di turisti francesi, meno 62% d’italiani, meno 26% di tedeschi, in aumento solo i poco graditi libici e algerini — e Houssem Ben Azuz, presidente dei tour operator, sconsolato ci diceva che «la nostra immagine sta diventando quella dell’instabilità, questa situazione è durissima e non finisce qui…».
Profezia azzeccata: l’attacco a Sousse è «il colpo di grazia» (scrive Kapitalis, pubblicando la foto dei turisti in fuga col trolley) a un Paese che cercava di non precipitare nel jihadismo. Lo sforzo per aiutare i tunisini c’è stato, in questi tre mesi sono piovuti i soldi: 555 milioni di dollari dal Kuwait, 50 dal Fondo monetario, 100 dall’Algeria, megacontratti dalla Francia, una fornitura Usa di 52 Humvee blindati per pattugliare il confine libico… Il laico presidente Essebsi è stato ricevuto con tutti gli onori da Kerry: «La invito a distinguere fra un musulmano come me e un islamista come loro — ha detto al segretario di Stato americano —: io governo, loro sparano». Obama ha mandato a Tunisi un ambasciatore, Rubinstein, che parla l’arabo ed è stato in Siria, in Giordania, in Israele, in Egitto, in Iraq…
«Da soli non ce la possiamo fare — dice ora Essebsi — Questa è una sfida al mondo». E non bastano i bombardamenti sui monti verso l’Algeria, due attentati sventati, i manganelli, la nuova ambasciata aperta nella Siria di Assad. Il Paese-vivaio dell’Isis globale, da tre mesi, si barcamena: gli attentatori del Bardo non s’è ancora capito bene chi fossero, e qualche pasticcio s’è visto anche nel filone italiano dell’inchiesta. O minimizza: il 3 maggio, il premier israeliani Netanyahu dava l’allerta — «abbiamo informazioni che ci sono minacce concrete per attaccarvi» —, ma il ministro dell’Interno tunisino si limitava a smentire in nome dei superiori interessi turistici, «non ci sono minacce d’alcun tipo».
Molto daffare, per colorare di normalità un’estate di paura: gli hotel scontatissimi, la pubblicità all’Expo, il Festival di Cartagine a luglio, i concerti sull’avenue Burghiba, le nuove app «trova un ristorante aperto nonostante il Ramadan»… Avevano lanciato anche una campagna coi testimonial vip, «Quest’estate vado in Tunisia!»: Charles Aznavour e Plantu, Emma Bonino e Claudia Cardinale, l’attrice Julie Gayet che è la nuova signora Hollande ed era venuta al Bardo sola, senza scorta. «Il turismo è il petrolio dei tunisini», diceva Essebsi prima d’essere eletto. Sei mesi dopo è arrivata una squadra di geologi americani. A cercare quello vero. Perché l’altro, chissà .

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