lunedì 31 agosto 2015

"SCONFITTI MA NON VINTI" : LA RISPOSTA ORGOGLIOSA DI FASSINA A MIELI (E A RENZI)

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Non era difficile da immaginare ed infatti è accaduto. 
Tre giorni fa, nel postare l'editoriale di Paolo Mieli ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2015/08/la-sinistra-sinistra-prigioniera-del.html ) avevo facilmente ipotizzato che qualche reazione, dal lato della parte chiamata in causa, ci sarebbe stata, ché l'ex direttore del Corriere non è un opinion maker che si può ignorare.
E infatti, a distanza di poco tempo, ecco la risposta di Fassina, con la lettera che trovate di seguito.
In fondo si leggono cose risapute, e che in fondo non stridono con  l'assunto di Mieli . Fassina non contesta che la sinistra che fa LA SINISTRA, alla fine perde, perché gli "ultimi" che vuole difendere sono, per fortuna, nell'ancora opulento occidente (basta vedere come sono disposti a morire pure di fuggire da noi gli altri), minoranza. Però afferma, con anche qualche ragione, che la Mission storica è QUELLA, e se si fa una politica diversa, si fa un'ALTRA cosa, che sinistra NON E'. 
Dopodiché, sono d'accordo con lui che il Partito Democratico, come concepito almeno da una parte dei suo fondatori, tra cui quelli della Margherita guidata da Rutelli, NON era, in nuce, la Sinistra che piace a quelli come Fassina, Civati, e nemmeno Bersani, Cuperlo, per non parlare di D'Alema, che, fin dall'iniziò, contestò la "fusione a freddo" tra due popoli diversi ancorché non del tutto distanti. Bersani segretario ne rappresentò la decisa sterzata che in realtà stravolgeva il PD concepito al Lingotto per farne una semplice continuazione dei DS (come questi ultimi lo erano stati del PDS, a sua volta nato dalle ceneri post muro del PCI). Quel PD, Fassina dovrebbe ricordarselo (se no lo fa Lotti per Renzi, e non è bello...), prese nel 2013 il 25% dei voti, meno dei grillini, record negativo per il momento imbattuto.
Dopodiché, come l'Ulivo si alleò con Rifondazione Comunista ( ma anche con Mastella e Di Pietro...), così domani il PD renziano potrebbe farlo con la "nuova cosa" che nascesse superando SEL e le altre formazioni a gauche. Non è peraltro quello che fanno i tedeschi della SPD (Schroeder rinunciò alla Cancelleria per non governare con la Linke di Lafontaine) che hanno finora preferito contaminarsi con un governo di grande coalizione. 
 






Scissioni e sconfitte della sinistra


Caro direttore, Paolo Mieli in un interessante editoriale di giovedì scorso racconta le disavventure della sinistra europea, segnata da scissioni utili, a suo avviso, soltanto a far vincere la destra.
Nella sua analisi, la realtà è data. Alternative di governo sono impraticabili. La Storia è davvero finita come preannunciava Fukuyama dopo l’89. Visto la fine del governo Tsipras? In sostanza, da Tony Blair in avanti, compito della sinistra è accompagnare la fine delle democrazie delle classi medie: svalutazione del lavoro, smantellamento del welfare, svuotamento della vita democratica. Le scissioni, quindi, non hanno senso. Meglio provare tutti insieme a smussare qualche angolo della sola agenda possibile, invece che portare fuori strada uomini e donne altrimenti rassegnati a continuare a votare per chi colpisce i loro interessi e, così, far vincere l’interpretazione feroce del pensiero unico.
Lo storytelling proposto scambia le cause con gli effetti. Le scissioni e le costruzioni avviate sono effetti, non cause della sconfitta della sinistra. Seguono le scissioni di popolo. In Italia, larga parte del popolo pd ha lasciato il Pd dopo il Jobs act e, in particolare, dopo la «riforma» della scuola, provvedimenti di stampo liberista in linea con le condizioni imposte dalla moneta unica. Il crollo della partecipazione al voto nelle cosiddette «regioni rosse», prima in Emilia e poi, a tappeto, il 31 maggio scorso sono indicatori chiari. Altro popolo andrà via dopo il preannunciato intervento fiscale, fonte di effetti iniqui e ulteriori tagli di servizi sociali fondamentali.
Ma non si sarebbe potuto rimanere dentro a combattere? No. A differenza dei pochi rimasti nel Pd con autonomia culturale e politica, convinti di riconquistare il Pd, non considero Matteo Renzi intruso, ma interprete abile e estremo del Pd nato al Lingotto, segnato dalla democrazia plebiscitaria dello statuto e dal liberismo europeista del programma. Bersani è stata l’eccezione. Inoltre, ritengo che, data l’assenza in Italia di una destra in grado di garantire l’ordine teutonico vigente nell’eurozona, il Pd di Matteo Renzi non farà la fine del Pasok.
E fuori dal Pd, che fare? Ricominciamo un’altra storia. Con tanti compagni di viaggio in Europa, spesso oltre i confini di una famiglia socialista subalterna ai conservatori e inutile. Puntiamo a rigenerare speranza di chi è rimasto a casa, a connettere sofferenze isolate, creatività diffusa, talenti traditi. Proviamo a conquistare spazi culturali, sociali, politici e istituzionali per spingere anche chi è rimasto nella casa madre a rigenerare una forza di cambiamento progressivo. Non vogliamo piegarci alla «cultura dello scarto» denunciata da papa Francesco. Può darsi siamo illusi. Certo, non rassegnati. Sconfitti, ma non vinti. Per una ragione elementare: così non va. Gli «scartati» sono troppo numerosi. Il meccanismo si inceppa. La chiamano «stagnazione secolare». È l’effetto di insostenibili disuguaglianze.
Stefano Fassinadeputato

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