venerdì 9 ottobre 2015

E ALLA FINE ANCHE MARINO VIENE COSTRETTO AD ARRENDERSI. LA FINE DI UN SINDACO GROTTESCO

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Molte le pagine e gli articoli dedicati alle dimissioni, con riserva, di Marino dal Campidoglio. Quello di Fabrizio Roncone non è il più interessante, il "nostro" ne ha scritti di migliori e più divertenti, però è un bignami istruttivo e utile per ricordare i disastri del soggetto in questione. Le gaffes, i piccoli imbrogli (se è vera, la storia della bicicletta usata per coprire gli ultimi metri, quelli della propaganda, col resto del tragitto in auto, è clamorosa nella sua incredibilità !) , di un personaggio grottesco e direi anche comico. 
Al di là di questo, accenno ad altri aspetti, più cogenti, sottolineati altrove.
E quindi che in due anni Marino come unica novità significativa ha portato la pedonalizzazione dei fori imperiali, con grandi disagi nella viabilità dei quartieri limitrofi, e ben poche cose positive (Macaluso), che ancora una volta c'è voluta la magistratura con le sue indagine a togliere la spina (Belardelli), vista la ignavia, vile ed opportunista della politica, e, strettamente collegato a questo rilievo, l'ammissione che se Marino è durato fin qui è stato solo e soltanto per il terrore di Renzi e del PD di perdere le elezioni anticipate (Meli). 
Da tempo il premier aveva voltato il pollice, ma l'angoscia per una vittoria, data addirittura per probabile, dei grillini nella capitale ha tenuto in vita Marino.
L'accelerazione del cupio dissolvi del soggetto (i viaggi in America, con tanto di sputtanamento papale, e ora questa storia degli scontrini, con la ridicola proposta di restituire 20.000 euro ai romani...) ha impedito di proseguire nella strategia dell'attesa, che ben se ne fregava dei destini della città, lasciata in mano ad un sindaco non più solo improbabile ma ormai in stato confusionario. 
 


Il Corriere della Sera - Digital Edition

Multe cancellate, viaggi e scontrini 
 La parabola del «moralizzatore»
 
Eletto tra lo scetticismo del suo stesso partito 
il sindaco in bicicletta è coinvolto in tante cadute 
Fino alla smentita direttamente da Francesco


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 ROMA Ignazio Marino si è dimesso cinque minuti fa e ne viene subito fuori un’altra: non è vero che girasse in bicicletta.
Ti volti e dici: no, macché, questa non può essere.
E invece sì: lui girava bello comodo in macchina e poi, cinquecento metri prima di arrivare all’appuntamento, arrivava un furgone e dal furgone gli scaricavano la bici.

La racconta così Alessandro Onorato, il capogruppo della Lista Marchini. «Uno di noi lo beccò a Villa Torlonia, fece le foto con il cellulare: avremmo voluto montarci su un casino, il sindaco ecologista faceva il furbetto, ma il giorno dopo esplose la storia della Panda rossa e allora...».
Scendiamo dal Campidoglio tutti insieme, nella penombra gialla dei lampioni un piccolo corteo di politici e fotografi, cameraman e manifestanti (fino all’ultimo sono rimasti solo quelli che contestavano il sindaco: i suoi fan hanno eroicamente resistito per un po’, al tramonto hanno mollato).
Comunque, a ripensarci, prima della Panda rossa ci fu la storia delle nozze gay: con Marino che nella Sala della Protomoteca organizza una cerimonia ufficiale, s’infila la fascia tricolore e trascrive gli atti di matrimonio che sedici coppie avevano stipulato all’estero. Il giorno dopo esplode un putiferio, il prefetto dell’epoca s’infuria e gli intima di cancellare tutto «in tempi rapidi».
Sembra la battaglia di un sindaco moderno; ma nel volgere di poche settimane i romani scoprono altro: è pure un sindaco che non paga le multe.
Anzi, di più: prima lascia la sua Panda Rossa negli spazi riservati ai senatori davanti Palazzo Madama senza averne più l’autorizzazione; poi qualche anima pia del centrodestra spiffera: le telecamere di controllo ai varchi d’accesso del centro storico hanno rilevato, per otto volte, l’ingresso di una Panda rossa con la stessa targa di quella del sindaco. La Panda non aveva il permesso, le otto multe non sono state pagate.
La città, intanto, agonizza.
Sporca, insicura, strangolata dal traffico.

La decisione di pedonalizzare via dei Fori Imperiali — il provvedimento con cui Marino si era presentato ai romani — peggiora la viabilità di interi quartieri. Altri quartieri insorgono per motivi diversi: a Tor Sapienza si scatena la caccia all’immigrato e Marino arriva in ritardo, dimostrando di non conoscere il territorio, la struggente rabbia di certe periferie.
Abita nel cuore del centro storico, un vicolo dietro piazza del Pantheon. Un giorno apre il portone e trova i cronisti: «Oh, volete farmi festa già di buon mattino?». Quindi prova il solito numero, mettendo su un sorrisone e alzando il dito medio e l’indice aperti in segno di «V», vittoria.
Niente feste, signor sindaco, è appena esplosa l’inchiesta Mafia Capitale.
Marino l’attraversa, per tragiche settimane, ripetendo sempre una frase, qualcosa tra un mantra e un esorcismo: «Io non mi sono accorto di nulla». In Campidoglio, il suo soprannome diventa «Bambi» (copyright Walt Disney).
Il chirurgo di fama che a 59 anni arriva da Genova passando per la fondazione di Massimo D’Alema «Italianieuropei» e per Palazzo Madama con un curriculum di oltre 650 trapianti d’organo (compreso il primo nella storia dal babbuino all’uomo) e il poster di Che Guevara piegato nel trolley, eletto sindaco tra lo scetticismo del suo partito, il Pd, e grazie ad un colpo di mano del potente Goffredo Bettini, non si accorge di ciò che accade nel Palazzo Senatorio.
Zero, niente, mai neppure mezzo sospetto.

Eppure è circondato da persone che fanno affari con Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, «er cecato»: così gli arrestano assessori e consiglieri, il suo partito sprofonda nel fango, arrivano Matteo Orfini, che del Pd è presidente, a fare il commissario straordinario e un ex cacciatore di mafiosi come Alfonso Sabella, a fare il super assessore alla Legalità.
Il governo della città traballa, ma la macchina amministrativa — già traumatizzata dalla terrificante cura che gli aveva riservato Gianni Alemanno — lentamente si riaccende.
I camion bar della famiglia Tredicine, che erano davanti al Colosseo, vengono spostati. Chiusa la discarica di Malagrotta. Introdotte norme ferree per i cartelloni pubblicitari. Scatenata un’offensiva ai tavolini abusivi in piazza Navona. Abbattuti i muri abusivi sul lungomare di Ostia.
Poi Ignazio Marino parte.
Va in vacanza, al mare.
Ma non va a Fregene o a Sabaudia, a un’ora di macchina dalla città, come facevano altri sindaci (Francesco Rutelli e Walter Veltroni). No, va a tuffarsi nelle acque dei Caraibi.
Una mattina (fuso orario) quelli del suo staff, gli telefonano: «L’altro ieri ci sono stati i funerali di un Casamonica... hai presente quella famiglia mezza nomade e mezza malavitosa? Beh, era il loro capo... si sono allargati un po’».
Petali di rosa da un elicottero che sorvolava la chiesa di Cinecittà, musiche dalla colonna sonora del «Padrino», vigili urbani di scorta al feretro.
Poteva bastare per farlo tornare.
E invece no. Finisce le vacanze con comodo, poi torna e riparte.
Destinazione Filadelfia. Al seguito di Papa Francesco. Ma da imbucato. «Ho chiesto agli organizzatori e neanche loro lo hanno invitato», precisa — gelido — il Pontefice.
La vicenda degli scontrini è di questa settimana. Con la Procura che indaga per peculato: uso spregiudicato della carta di credito del Campidoglio, cene e pranzi offerti e ospiti (tra cui l’ambasciata del Vietnam e la Comunità di Sant’Egidio) che però negano di essere stati ospiti.
I fatti sono questi.
Cioè, no: c’è un ultimo sms. Entra sul cellulare a tarda sera.
«Ma lo sai che Marino oggi, ad un certo punto, s’è chiuso a chiave nel suo ufficio e non voleva più uscire? ».

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