mercoledì 27 aprile 2016

MA QUANDO CESSA PER I BAMBOCCIONI L'ASSEGNO DI PAPA' ?


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I magistrati si lamentano perché sono "delegittimati", ché a causa degli attacchi dei politici, "megafonati" dai media, la gente perde fiducia nei giudici. Da molto tempo più di un italiano su due non si fida di loro..., io sono sorpreso dall' "altro", quello che invece gli crede ancora, e la spiegazione che mi do è che si tratti di un fortunato che con le aule di Tribunale, civile, penale o anche amministrativo, non ha mai avuto a che fare.
Intendiamoci, non penso male di tutti i magistrati, ce ne sono anche di bravi e ancora dotati di buon senso, dote che, insieme alla preparazione, è bene che accompagni i detentori di un simile potere.  Penso male del SISTEMA GIUSTIZIA nel suo insieme, che vedo come un teatro di figuranti, dove ognuno recita una parte, necessaria - si può immaginare un paese senza Giustizia, e quindi i tribunali in cui essa è amministrata ? - ma troppo spesso sterile.
Che giustizia è quella che arriva, in qualunque campo, dopo anni e anni ? E quei signori vorrebbero anche eliminare la prescrizione, come se lustri e lustri non siano sufficienti per decidere che insomma, se non si è deciso fino ad allora, meglio darsi pace.
E la gente, anche giornalisti che dovrebbero avere una media cultura se non una minima intelligenza (ho in mente i Bianconi, i Ferrarella, la Sarzanini, tutti "campioni" di giudiziaria al Corsera...), sono lì a reclamare provvedimenti che prolunghino i tempi per arrivare alla sentenza definitiva.
Questo nonostante che loro colleghi, un attimo più seri, si affannino a spiegare che tra i motivi per cui da noi languono investimenti e crescita c'è l'inaffidabilità del sistema giudiziario, in primis per i suoi tempi biblici.
Detto questo, parlando in generale, a volo d'aquila sui "massimi sistemi", ci si scoraggia ancora di più scendendo nei casi singoli, di cui purtroppo la cronaca è piena.
Oggi, in prima pagina, il Corriere della Sera mette giustamente in risalto l'assurdità di una pronuncia del Tribunale di Modena che ha confermato l'obbligo di un genitore di corrispondere un sostegno economico al figlio 28enne, che aveva pensato bene di iscriversi ad un corso di cinematografia...
28 ANNI.
So bene che i genitori italiani mantengono figli anche ultratrentenni ma lo fanno di loro sponte, probabilmente sbagliando ma almeno senza obbligo. Qui invece intervengono i giudici, i quali evidentemente ritengono che uno che ha condotto con molta comodità gli studi universitari (al momento avrebbe conseguito la laurea breve, quella triennale, mettendocene poco meno di dieci...ah la facoltà è Lettere, non Fisica nucleare..., il completamento verrà chissà quando e se ) , abbia comunque il diritto di seguire le sue aspirazioni, iscriversi ad un corso di cinema, con spese di trasferta e alloggio a carico del padre (perché in un'altra città è sì più caro, ma vuoi mettere quanto più figo ??).
Per non parlare dell'altro caso di seguito citato, con una ragazza di 25 anni, che pure lavorava, ma "solo" come commessa, laddove lei, con il diploma di ragioneria, aspirava a qualcosa di meglio.
Messa così, sembra veramente la fiera dei mentecatti.
E' però indispensabile fare un inciso. I giornali NON brillano per precisione e accuratezza nel dare le notizie. MAI. E quindi questi casi, che riportati così fanno venire la voglia di andare dai signori in toga e chiedere cosa abbiano nel cervello, potrebbero essere del tutto diversi, con particolari importanti non riportati e che magari renderebbero il tutto più umanamente comprensibile ed accettabile.
In questi termini, sfioriamo il delirio, e allora inutile stupirsi se stiamo messi male come raccontava desolatamente Galli della Loggia qualche giorno fa ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2016/04/galli-della-loggia-e-il-quadro.html ) o se sempre meno italiani fanno figli.
A questi bamboccioni di papà (a volte malgrado i padri) i figli degli immigrati gli gireranno intorno e gli mangeranno in testa, allenati in ben altro modo ad affrontare la vita.




Il Corriere della Sera - Digital Edition

Fino a che età è giusto pagare i sogni dei figli

Modena, il Tribunale ordina a uno scrittore di versare i soldi per un corso di cinema

di Elvira Serra

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L a storia è questa: scrittore di discreto successo, divorziato, un figlio di 28 anni che arranca negli studi e non è ancora in grado di mantenersi. Il padre si rivolge al giudice: fino a quando devo mantenerlo? Il suo non è un caso isolato. Sono 8 mila le vertenze simili, con un aumento del 20% negli ultimi dieci anni. Gli avvocati matrimonialisti: «La Suprema corte stabilisca un limite».

Fino a quando un genitore deve mantenere la prole? Diciott’anni? Ventotto? Trentotto? A vita? Non scriviamo per assurdo, ma, semplicemente, osservando le ottomila vertenze l’anno di figli verso genitori. Negli ultimi dieci anni c’è stato un incremento del venti per cento. Ed è il motivo per cui l’Ami, l’associazione matrimonialisti italiani, da tempo sta promuovendo una campagna affinché la Suprema corte stabilisca una volta per tutte un limite di età.

L’ultimo caso lo ha raccontato la Gazzetta di Modena e riguarda un padre con caratteristiche precise: «Scrittore di discreto successo, con pubblicazioni presso alcune tra le maggiori case editrici nazionali». Divorziato, ha chiesto al Tribunale civile di Modena di eliminare, e in subordine, di ridurre l’assegno di mantenimento del figlio 28enne. Il rampollo, infatti, dopo aver conseguito con i suoi tempi (lenti) la laurea triennale in Lettere, anziché completare il titolo con la magistrale, si è iscritto a un corso di cinematografia sperimentale a Bologna. Da lì avrebbe avanzato nuove richieste di rimborso spese per trasferte e alloggio.

Secondo il padre, il giovanotto «non è meritevole di ulteriore sostegno economico, non avendo compiuto scelte lavorative volte all’autosostentamento o scelte di continuare studi confacenti alla sua formazione pregressa». E qui, però, a giocare contro lo «scrittore di discreto successo» è stato proprio il clima di creatività nel quale è cresciuto il figlio.

Il decreto firmato dal presidente Angelo Gin Tibaldi della Seconda sezione del Tribunale civile di Modena ha infatti messo in evidenza che i corsi di cinematografia sono previsti in diverse facoltà di Lettere e, comunque, sono «in linea con le aspirazioni personali del figlio (in questione, ndr ), anche in ragione delle attitudini familiari e del clima culturale vissuto in famiglia, certamente non estraneo a tendenze artistiche e propensione alla creatività».

In definitiva non si possono mortificare «le aspirazioni personali» del ventottenne. E poiché le spese universitarie erano già previste nella precedente sentenza di divorzio, e poiché non è cambiato nulla da allora che giustifichi una variazione dell’assegno, il padre deve continuare a mantenere il figlio (salvo ricorso in Appello a Bologna o, eventualmente, in Cassazione).

«È molto difficile applicare schemi rigidi, il bello della giurisprudenza è proprio affrontare caso per caso», interviene l’avvocato Cesare Rimini. «Alcune professioni richiedono un cammino lungo e difficile che deve essere sostenuto. La valutazione, però, va fatta tenendo conto dello status della famiglia, ma anche della reale attitudine allo studio del figlio, perché non è giusto che un padre o una madre paghino per un fannullone».

Lo «scrittore di discreto successo» può consolarsi pensando a quei genitori ai quali è andata peggio. Nel 2011 la Suprema Corte confermò l’obbligo di un padre a mantenere la figlia 25enne che viveva ancora con la madre e che aveva un impiego a tempo indeterminato. Perché? L’occupazione trovata non rispettava le sue aspirazioni: faceva la commessa con diploma di ragioniera.

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