giovedì 9 giugno 2016

SCELTE LOTTIZZATE IN CSM ? MA CERTO CHE SI, LO DICONO ANCHE DAVIGO E FERRARELLA !

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Bè, se lo dicono anche loro... Parlo dei magistrati che biasimano i criteri adottati dal CSM per le nomine dei capi dei vari uffici giudiziari. Come ha detto il mio amico Annetta spiegando come certe figure di reato, di recente invenzione, siano molto delicate, se venissero intercettate le segrete stanze in cui i signori di Palazzo Marescialli decidono, ci sarebbe il rischio di una retata da parte della polizia per "traffico d'influenze".
Un "mercimonio" noto che va in onda da sempre, dove le parole di autoriforma per eliminarlo si sprecano da sempre, con i risultati che potete leggere ( e a scrivere, la penna amica delle toghe pregiate per eccellenza, l'ineffabile Luigi Ferrarella !).



Il Corriere della Sera - Digital Edition
 

«Un posto a te, un posto a lui Così il Csm a volte fa le nomine»

di Luigi Ferrarella

Davigo (Anm) contro le designazioni a pacchetto: sono una prassi orribile

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MILANO È verso la fine della prima Giunta itinerante dell’Associazione nazionale magistrati neopresieduta da Piercamillo Davigo, quando l’aula magna milanese comincia a spopolarsi, che si alza un magistrato di Corte d’appello, Barbara Bellerio, giudice ad esempio di uno dei processi ad Alberto Stasi per il delitto di Chiara Poggi a Garlasco, e pone la domanda che allenta la cravatta a un dibattito sino allora inamidato: «Vorrei che l’Anm si occupasse anche delle nomine “a pacchetto” fatte dal Consiglio superiore della magistratura... Di recente c’è stato un caso anche qui a Milano, non mi interessa il giudizio sulle persone, ma ormai parlano tutti apertamente di queste scelte lottizzate che fanno inorridire».

Ed è questa sollecitazione, dunque non su casi concreti ma in generale, che Davigo (ex esponente di «Magistratura indipendente» dalla quale è uscito per fondare la corrente di «Autonomia e indipendenza») raccoglie: «Le nomine “a pacchetto”, all’unanimità, sono una prassi orribile, perché somigliano non alla convergenza su qualità riconosciute, ma all’accordo su “questo posto a me, quello a te e quell’altro ancora a lui”...
Al Csm fanno quello che vogliono, addirittura a volte nelle valutazioni comparative per uno viene adottato un criterio e poi per un altro lo stesso criterio viene rovesciato.
Io sin dall’inizio sono stato critico verso la nuova circolare sui criteri del Csm per le nomine, non ha affatto ridotto quella discrezionalità che si diceva sarebbe servita a ridurre... Allora io a questo punto dal Csm pretendo però la trasparenza totale: siccome è al buio che avvengono le porcherie e i baratti, si mettano invece sulla rete Intranet il fascicolo personale e tutte le carte che la Commissione incarichi direttivi valuta quando sceglie un magistrato, e non mi si dica che non si può fare per esigenze di privacy delle toghe... Un magistrato che fa domanda per fare il capo di un ufficio fa il piacere di rinunciare alla privacy: così quantomeno si potranno apprezzare le scelte operate dai consiglieri Csm, e la prossima volta — ironizza Davigo — quando uno andrà a votare per il rinnovo del Csm saprà con quale consigliere prendersela...».

Interviene il vicepresidente di Davigo nell’Anm, Luca Poniz, esponente di Magistratura democratica e pm proprio nella Milano che ha appena visto il Csm nominare il nuovo capo della Procura e designare il nuovo presidente della Corte d’appello. E lo fa non per contraddire la bordata di Davigo, se mai per integrarla, con minore fiducia nel rimedio balsamico della trasparenza online e con una richiesta di autocritica ai colleghi: «Va benissimo mettere tutte le carte in Rete — dice Poniz —, ma non nascondiamoci che non basterebbe a eliminare quelle distorsioni. Perché dobbiamo chiederci con onestà se possiamo dire che il problema sia soltanto dentro il Csm, o se forse sia anche nel corpo della nostra categoria». Aggiunge un altro componente la giunta Anm, Giovanni Tedesco, giudice civile a Nola: «Sugli incarichi direttivi esiste una questione morale in magistratura: se è pieno di consiglieri Csm che ricevono telefonate, è perché è pieno di colleghi che telefonano ai consiglieri del Csm...».
Telefonate di cui la giudice di sorveglianza Mariolina Panasiti prospetta una curiosa attitudine: «Io sono uscita da poco dal Consiglio giudiziario, e posso dirvi che i pareri sulla professionalità dei magistrati sono tutti e sempre bellissimi: se si leggessero solo quelli, non si saprebbe chi scegliere. Così la telefonata e il chiacchiericcio finiscono per essere uno dei criteri valutativi, sul quale può succedere si innesti una perversa deriva».

«Stiamo attenti», esorta i colleghi il giudice civile Federico Rolfi legando questo scorcio di dibattito («l’Anm respinga la logica dei capi giudicati solo sui numeri prodotti») ai temi toccati nelle prime due ore, e cioè le maxi carenze di cancellieri (il 35% a Milano, 1 su 2 a Busto, denuncia il procuratore aggiunto Giuseppe D’Amico), le falle del processo telematico, le maxicompetenze ai giudici di pace ampliate dalla riforma della magistratura onoraria («è come l’Emmenthal, ci stanno svuotando da dentro»), il progetto di assorbire subito la giurisdizione tributaria in quella civile con la sola promessa di un futuribile ingresso di 750 nuovi magistrati: il denominatore comune, avverte Rolfi, è «lo schiacciarci su una visione impiegatizia della magistratura».

lferrarella@corriere.it

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