"Lei non si preoccupa mai?" chiede Donovan/Hanks. "Servirebbe?", è la sua risposta costante. |
Non è facile , me ne rendo ben conto, eppure è facile comprendere che è proprio così.
Lo scambio di battute mi è tornato in mente leggendo l'articolo settimanale di Alessandro Fugnoli, che compare sulla rubrica settimanale Il Rosso e il Nero, edizioni KAIROS.
In genere l'esperto di economia e finanza è osservatore tendente, se non all'ottimismo, alla spiccata positività, e questo lo rende uno dei miei favoriti ( insieme alla vasta cultura, che arricchisce di aneddoti e curiosità originali i suoi scritti).
Stavolta non dico che si sia fatto contagiare dal dilagante pessimismo, però è sicuramente meno sorridente...
Oddio, francamente non saprei cosa obiettare alle sue analisi, però osservo che esse sono valide non certo da oggi, e quindi anche in passato questo accenno di mestizia sarebbe stato comprensibile e anzi scontato.
Viceversa il "nostro" ci stupiva per la fiducia lanciata oltre l'ostacolo.
Certo, rispetto a certi profeti di sciagura, Fugnoli resta un ottimista, ma forse i suoi lettori più assidui saranno d'accordo con me nel notare questo spostamento, non drastico ma visibile, di rotta.
Buona Lettura
FRA CINQUE ANNI
Domande scomode sul futuro prossimo
Arthur Clarke e Isaac Asimov fecero tra gli anni Cinquanta e
Ottanta previsioni straordinariamente lucide sul mezzo secolo successivo. Il
loro oggetto di indagine era però limitato alla scienza e alla tecnologia, due
campi in cui sono solitamente aperti ampi programmi di ricerca, grandi cantieri
che procedono seguendo un progetto. Lungo la strada si possono naturalmente
incontrare ostacoli imprevisti o, al contrario, fortunate serendipità (quando
si cerca una cosa e se ne trova per caso un’altra ancora più interessante) ma
le linee guida sono comunque tracciate e visibili.
Nessuno è invece mai riuscito a prevedere correttamente gli
sviluppi storici, economici e politici non solo sul mezzo secolo successivo, ma
anche solo a vent’anni. Secondo Keynes, il più riverito fra gli economisti, noi
del XXI secolo dovremmo vivere già da tempo lavorando quattro ore e dedicando
il resto della giornata a scrivere poesie e ad ascoltare o comporre sinfonie.
Non sta andando così, almeno per il momento. E d’altra parte nel 1996, in pieno clintonismo
trionfante tra crescita e globalismo, nessuno avrebbe potuto formulare
l’ipotesi di un’altra Clinton, vent’anni dopo, candidata a governare la deglobalizzazione
e la semistagnazione.
Se dunque vent’anni sono al di là del possibile, in un
orizzonte più modesto, diciamo cinque anni, qualcosa si può provare a
intravedere.
Oggi i mercati, grazie alle banche centrali, vivono in una realtà
alternativa come l’umanità di Matrix. L’unica ansia è quella di continuare a
ricevere la razione quotidiana di oppiacei per potere tornare in uno stato di
torpore. Le preoccupazioni per la crescita, gli utili, il debito sono uscite
dall’orizzonte mentale e nessuno si dedica più a pensare al futuro, perché con
i tassi a zero il tempo non ha più valore e si trasforma in un eterno presente.
Alla lunga, però, i sogni svaniscono, mentre la realtà non svanisce mai.
E come saranno le variabili reali fra cinque anni? Proviamo a
rispondere a un questionario.
1. Fra cinque
anni ci sarà nel mondo più debito o meno debito? Ce ne sarà sicuramente di più.
I disavanzi pubblici sono destinati a crescere. In America il Congressional
Budget Office calcola che, a legislazione vigente, il disavanzo raddoppierà da
qui al 2020 e triplicherà da qui al 2025. La legislazione verrà però resa
certamente ancora più espansiva, con più spese per infrastrutture e più spese
militari. I privati continueranno a ridurre molto lentamente il loro
indebitamento, ma le imprese continueranno ad aumentarlo. Anche in Europa e in
Asia il debito continuerà a crescere.
2. Fra cinque
anni ci sarà più o meno crescita? Probabilmente la stessa di oggi.
Non essendo
in vista riforme strutturali e spirando ancora il vento a favore di una sempre
maggiore regolazione dell’economia è difficile scorgere motori di crescita
ulteriore. Per mantenere il livello attuale sarà tuttavia necessario ricorrere
alla spesa pubblica ed è difficile pensare che per questa via si riesca a
risollevare la produttività, oggi ai minimi di crescita dell’ultimo mezzo
secolo.
3. Fra cinque
anni ci sarà più o meno inflazione? Ce ne sarà di più se le politiche monetarie
e fiscali avranno avuto successo (in questo caso tutti i bond soffriranno). Ce
ne sarà di meno se avremo attraversato una nuova recessione, anche solo
superficiale (in questo caso soffriranno i crediti e l’azionario, ma non i bond
di alta qualità).
4. Fra cinque
anni i margini di profitto saranno più alti o più bassi? Molto probabilmente
più bassi, anche se di poco, per effetto di una maggiore pressione salariale in
un contesto di bassa produttività. Se il vento protezionista si rafforzerà
potremo vedere casi di miglioramento dei margini nei produttori che verranno
messi al riparo dalla concorrenza, ma il gioco sarà, nel complesso, a somma
negativa.
5. Fra cinque
anni ci sarà più o meno stabilità politica? Impossibile dirlo, ma non si può non
osservare che la bassa crescita erode progressivamente il consenso.
Questa
erosione si può tradurre o nel prevalere di forze antisistema o, nel caso
queste non siano credibili, in un senso di estraneità crescente verso le
istituzioni. Il rimedio proposto da una parte delle elites è di redistribuire
ricchezza e reddito attraverso la tassazione. L’esperienza più recente in
questo senso, quella del Brasile sotto la Rousseff , non è finita bene.
6. Fra cinque
anni ci sarà più o meno Europa?
Al momento tutto è congelato e così resterà
fino al prodursi di qualche fatto nuovo. Il fatto nuovo non sarà il referendum
italiano e non lo saranno nemmeno le elezioni dell’anno prossimo in Germania e
in Francia. La novità, nel caso, sarà la prossima recessione. È lì che si dovrà
decidere sul serio se andare avanti o salutarsi.
Può darsi che
il corso dei prossimi cinque anni sia molto diverso da quello che abbiamo
tentato di disegnare. Per un conflitto locale, la Siria , abbiamo assistito nel
giro di poche settimane a un’escalation che ha portato alcuni a ipotizzare
perfino una guerra nucleare. I nervi sono fragili e la seconda guerra fredda
non dispone ancora delle regole minuziose di cui si era dotata la prima. Può
darsi anche, perché no, che le cose vadano molto meglio di come le abbiamo
immaginate.
Quello che è
certo è che i mercati non prezzano il mondo a cinque anni che si può immaginare
oggi con la limitata visibilità di cui disponiamo. Certo, un prolungarsi delle
politiche eccezionalmente espansive potrebbe gonfiare ancora i multipli
azionari e regalare un’altra vita ai bond, ma allontanerebbe ancora tra loro il
mondo reale e il mondo virtuale.
Il
ricongiungimento tra reale e virtuale, inevitabile, può avvenire o con un
sorprendente miglioramento del reale o con uno sgonfiamento del virtuale. Nei
prossimi due anni non vediamo crolli del virtuale, ma una maggiore volatilità
certamente sì, già a partire dal prossimo anno.
Questa
maggiore volatilità si eserciterà più verso il basso che verso l’alto anche se
il risultato finale potrà essere, a fine 2017, un livello di bond e azioni non
molto diverso dall’attuale. Per approfittare delle opportunità che questa
volatilità potrà offrire suggeriamo di continuare a creare liquidità nei
portafogli in questa fase di bonaccia.
Vogliamo
concludere con una nota di speranza. Fra cinque anni, nel 2021, inizierà
lentamente a scemare l’onda quindicennale dei baby boomers. Il mercato del
lavoro, in tutto l’Occidente, tornerà gradualmente verso l’equilibrio. Il Pil
potenziale risalirà e torneremo forse, se non avremo fatto errori di policy, a
rivedere livelli di crescita più alti.
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