lunedì 30 gennaio 2017

IL RE NON E' MORTO, VIVA IL RE (ROGER) !

Risultati immagini per federer batte nadal in australia

Gaia Piccardi, giornalista del Corsera che si occupa della pagina sportiva dedicata al tennis, è una delle milioni di persone, donne e uomini, letteralmente innamorata di Roger Federer.
L'articolo che segue, scritto all'indomani della incredibile vittoria nello slam australiano, credo 4 se non 5 anni dopo l'ultima vittoria a Wimbledon, è la testimonianza palpitante di questo amore inossidabile. Dopo il 2012, Nadal prima, Djiokovic poi, gli avevano sbarrato il passo. Ma pur perdendo il trono del ranking, per tutti gli appassionati di tennis dubbi non ce n'erano e non ce ne sono : il più grande restava lui. Di tutti i tempi dicono in tantissimi. 
Ieri, nel vedere la conclusione del match, ho visto l'impianto di Merlbourne esplodere di gioia per un doppio fallo di Nadal, manco fossimo in uno stadio di calcio, tanto grande era il desiderio che Federer tornasse a vincere. E Nadal è uno che ha tantissimi tifosi, e non è un "nemico" di Re Roger ( anzi, è l'unico con il quale accetta di perdere, parole del sovrano ! ) . Figuriamoci se ci fossero stati dall'altra parte Djiokovic o, peggio Murray...
Ho letto una cosa interessante su un altro articolo : lo splendido rovescio di Federer sarebbe merito proprio di Nadal. E' stato il mancino diabolico dello spagnolo a costringere lo svizzero a migliorare tantissimo un colpo che ad inizio carriera non era così incisivo, in quanto non indispensabile, essendo dritto e servizio  più che sufficienti a dominare il ranking. Con l'avvento di Nadal no, e ieri si è visto, con tanti momenti in cui proprio dal lato sinistro Federer ha fatto partire dei vincenti scoraggianti.
Alla fine il Re non è morto, e mai come stavolta il popolo del tennis osanna "viva il re", purché sia Roger.



Il Corriere della Sera - Digital Edition


Il ritorno  del   Re

Federer batte Nadal in un match leggendario
È lui il più grande tennista di tutti i tempi

 Risultati immagini per federer batte nadal in australia

La vera verità, in conclusione di quest’esperienza mistica a stento contenuta dal perimetro del campo centrale di Melbourne, è che non abbiamo bisogno del replay per sapere che Roger Federer è il più grande tennista di ogni tempo. «I record, il quinto Australian Open a sette anni di distanza dall’ultimo, il 18esimo Slam, le statistiche, l’epica di questa partita me li sarò dimenticati entro domattina…». Eppure dopo cinque set di un videogioco durato tre ore e 37 minuti siamo tutti lì appesi alla parabola lentissima di quel dritto liquido e perfetto che tutti sanno — lo sappiamo noi, lo sa Roger e pure Rafa Nadal, che chiama il challenge con la forza cupa della disperazione: glielo leggi in faccia — essere destinato al bianco bianchissimo della riga. L’antitesi che non regge alla logicità stringente della tesi. No, in fondo non c’è molto altro da dire.

«Irreale», aveva definito Federer la finale dell’Australian Open pensando a Nadal e alla simmetria delle vite parallele dei due carissimi nemici. È stata qualcosa di più. Irreale e bellissima e, soprattutto, congrua: alle aspettative, al palcoscenico, alla leggendaria densità dei precedenti (23-12 per lo spagnolo, arrotondati a oggi), alla reazione che s’innesca ogni volta che queste due categorie del pensiero si incrociano, Roger l’estetica e Rafa la critica della ragion pura, a partire da quel gancio mancino che è argomento di raffinatissima e assurda bruttezza.

Cinquantotto mesi di differenza, da sempre, servono a Nadal, 30 anni, per compensare con agonismo brutale (e un fisico da toro, più che da torero) l’abbondanza di tennis nel braccio destro di Federer, 35 anni, una dote di natura come l’orecchio assoluto o il ritmo nel sangue che sostiene la certezza che lo svizzero sia il capitale umano più rispondente alla nostra idea di divinità e per questo, ogni giorno di più, idolatrato. Per il resto, Rogi e Rafa potrebbero essere le due facce della personalità di un genio bipolare. L’euforia di un dritto tirato con i piedi dentro il campo (26 vincenti di Federer) verso un rovescio-baluardo e incline a momenti di depressione (11 errori di Nadal, incluso quello che regala il break del primo set sul 3-3); la lucida follia di un rovescio mai giocato in back, mai , per non dare tempo al rivale contro quella chela da granchio di terra capace di profondità abissali, un moltiplicatore di punti (19). È sulla diagonale, come sempre, che si decidono i destini di Melbourne. E quando, a tratti, Federer smarrisce il drive, quando la stanchezza (13h40’ in campo per arrivare in finale) lo offusca, ecco il servizio, ricco di nuove sfumature. Sul 6-4, 3-6, due rasoiate da sinistra cancellano le palle break prima che un dritto in controbalzo a velocità siderale gli dia il vantaggio (2-0) che Rafa non colmerà (6-1). Con Rod Laver in tribuna, dinosauro mai estinto dell’era geologica precedente, e il mostro a due teste in azione, lo spettacolo non può essere banale. Il break del quarto set sul 2-1 spedisce Nadal nella zona di confort da cui estrarre la pepita al quinto game che vale il quarto set (6-3): un dritto adunco e strettissimo, che persino Roger applaude. «Nel tennis non c’è pareggio ma stasera l’avrei voluto — dirà senza ombra di piaggeria —. Rafa è l’unico avversario con cui perdere mi può star bene».

Il trekking necessario per inoltrarsi nel quinto, è roba da alta montagna. Roger esce per farsi massaggiare dal fisioterapista, come con Wawrinka in semifinale. Rafa a quel punto ha nelle gambe quasi 22 ore di tennis. Strappa subito il servizio a Federer, annulla tre palle break poi, sul 2-1, vomita. Mentre il raccattapalle corre a pulire il campo, il volto di Rafa perde colore. Giallognolo come il formaggio che detesta, comincia a vedere i fantasmi. Calano le percentuali al servizio, montano gli errori (9 gratuiti). Sul 3-2 lo svizzero lo mortifica con un rovescio foderato di velluto bordeaux e lui, per il dispiacere, regala il break. Sul 4-3 (game tenuto a zero), Federer passa a condurre per la prima volta nel set. È il segnale che l’equilibrio è rotto, l’inerzia indirizzata. Una magia in allungo di dritto, pescata nel burrone di uno scambio lungo 26 colpi, manda Roger in orbita (5-3), fino a quell’ultimo drive di cui il replay esalta le virtù, semmai ce ne fosse bisogno.

I numeri (18 Slam, il primo da Wimbledon 2012), la top 10 riguadagnata, il senso di riconoscenza di noi tutti per la giustizia morale che questo trionfo incarna, non rendono. Al Federer che viaggia nel futuro alla straordinaria media oraria di 35 anni e 176 giorni interessa l’intensità dell’abbraccio a rete con Nadal («È speciale, mi ha reso migliore: non lo battevo in una finale Slam da Wimbledon 2007, è la mia sfida più alta»), il senso di questo ritorno dopo sei mesi di stop. «Se gioco così, cose buone possono ancora accadere». Cose buone e giuste: è di una religione, in fondo, che si parla.

Gaia Piccardi

Nessun commento:

Posta un commento