venerdì 13 gennaio 2017

RICOLFI E L'ITALIA TRIPOPULISTA

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Nel 2017 ci saranno importanti appuntamenti elettorali nel vecchio continente, in ordine di crescente importanza : Olanda, Francia e Germania, con l'Italia che potrebbe inserirsi nel mazzo.
Propria sull'Italia viene l'osservazione più arguta del bravo politologo, che rileva come da noi un qual certo populismo serpeggia tra tutte le forze politiche in campo. Dei grillini e della Lega (insieme a quelli di Fratelli d'Italia), si sapeva, per il loro dichiarato antieuropeismo , sia pure diversamente rappresentato. Ma anche il Pd renziano, osserva Ricolfi, si era fatto sedurre da vene populiste, con le aspre polemiche contro i vertici di Bruxelles e di Berlino.
Certo, Renzi non ha mai predicato l'uscita dall'euro e tantomeno dall'Europa, ma che abbia cercato, con esiti deludenti, di cavalcare la disaffezione italica nei confronti dell'Unione, non più destino inevitabile, è palese.
Dopo gli inaspettati successi della Brexit e di Trump (soprattutto quest'ultimo, ché il duello oltremanica si sapeva correre sul filo, ancorché tutti si aspettassero "l'happy end" con la vittoria del Remain) , il 2017 potrebbe vedere un exploit della vena cd. populista.
Non ci annoieremo.


Sarà l’anno dei populismi in Europa?

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Che il 2016 sia stato, per il mondo occidentale, un anno di svolta decisivo l'abbiamo capito un po' tutti dopo la duplice onda d'urto populista della Brexit nel Regno Unito (giugno) e dell'elezione di Trump negli Stati Uniti d'America (novembre), due eventi che hanno finito per oscurarne altri due di segno simile, ma accaduti dopo, in due paesi meno cruciali: il 4 dicembre l'Austria consegnava quasi la metà dei consensi a Norbert Hofer, candidato alla presidenza della Repubblica per la destra nazionalista e anti-immigrati; e nello stesso giorno, in Italia, le forze ostili alla riforma istituzionale, egemonizzate dalle formazioni più populiste del sistema politico italiano, riportavano una clamorosa vittoria elettorale.
Quel che forse non è altrettanto chiaro, invece, è che, in Europa, non dovremo attendere più di qualche mese, in questo 2017 appena iniziato, per saggiare le prime conseguenze della svolta. Una imperscrutabile congiunzione astrale dei pianeti della politica, infatti, fa sì che i mesi centrali del 2017 siano affollati da una sequenza di appuntamenti elettorali quanto mai significativi per valutare la forza e la tenuta dell'onda populista.
A marzo si voterà in Olanda, dove il governo di grande coalizione di Mark Rutte rischia di essere travolto da una vittoria del Partito della libertà di Geert Wilders, una formazione populista anti-islamica e anti-europea. Il suo leader ha di recente subìto un processo per le sue idee anti-immigrati, rimediando una assoluzione (per istigazione all'odio razziale) e una condanna (per istigazione alla discriminazione), ma il partito è in grande ascesa nei sondaggi, difficile dire se grazie o nonostante il processo intentato a Wilders da migliaia di membri delle comunità musulmane. In caso di vittoria Wilders promette una linea più dura sull'immigrazione e un referendum sulla permanenza dell'Olanda nell'area euro.
Fra aprile e maggio si voterà per le elezioni presidenziali francesi, e Marine Le Pen, leader del Fronte Nazionale, è l’unica candidata ad essere praticamente certa di arrivare al ballottaggio. È verosimile che la vittoria finale spetti al candidato della destra liberale ed europeista François Fillon, su cui dovrebbero convergere i voti degli altri candidati filoeuropei, ma questo solo perché in Francia il Fronte Nazionale è ancora considerato una forza politica impresentabile, e tutte le volte che si arriva allo scontro finale genera un “sussulto repubblicano” che lo tiene lontano dal potere: accadde già nel 2002 con Le Pen padre, sconfitto dalla santa alleanza destra-sinistra fra Chirac e Jospin, è successo di nuovo alle elezioni politiche del 2015, con la figlia Marine Le Pen, sconfitta al ballottaggio dal fronte repubblicano destra-sinistra guidato da Sarkozy e Hollande, tradizionalmente rivali ma ora coalizzati per sbarrare la strada al Fronte nazionale.
A giugno si potrebbe votare in Italia, secondo gli auspici di una parte delle forze politiche (Pd, Lega e Fratelli d’Italia), saldamente maggioritarie sia alla Camera sia al Senato. Che si voti in giugno, si voti in settembre, o si attenda la scadenza naturale della Legislatura (febbraio 2018), la scelta degli italiani non sarà fra forze populiste e forze anti-populiste, ma fra i tre tipi di populismo che si contendono il governo del Paese: il populismo anti-europeo di Salvini, il populismo anti-tedesco di Renzi, il populismo anti-tutto di Grillo.
A settembre si voterà in Norvegia (uno dei tre paesi non Ue, insieme a Svizzera e Islanda), dove c’è un governo di centro-destra che già include un partito populista di destra (il Partito del Progresso), fortemente ostile all’immigrazione.
E infine, a ottobre, si voterà in Germania, dove i partiti più leali con l’Europa (Popolari, Socialdemocratici, Liberali) rappresentano tutt’ora la maggioranza degli elettori (oltre il 70% dei consensi alle politiche del 2013), ma rischiano di dover cedere una parte dei loro voti ad Alternative für Deutchland, il partito anti-immigrati di Frauke Petry, in netta ascesa nei sondaggi e nei più recenti appuntamenti elettorali, come le elezioni regionali dell’anno scorso. In quella occasione, nel Land del Meclemburgo, lo stesso in cui la cancelliera Merkel ha il suo collegio elettorale, il partito della Petry, con il 20.8% dei consensi, arrivò addirittura a superare il partito della Merkel, fermo al 19,0%, divenendo il secondo partito dopo i socialdemocratici.
La Germania, fra i Paesi europei di tradizione occidentale, è probabilmente quello meno esposto all’onda populista, se non altro perché è uno dei pochissimi passati quasi indenni dalla lunga crisi iniziata nel 2007. E tuttavia, dopo l’attentato di Berlino di dicembre, il quinto dall’inizio dell’anno, tutto fa pensare che il consenso ad Alternative für Deutchland possa ancora crescere molto.
Di quanto?
Nessuno può saperlo, ma un ordine di grandezza viene fornito dal modello matematico-statistico messo a punto dalla Fondazione David Hume per spiegare l’avanzata populista nell’Unione Europea fra il 2009 e il 2014 (vedi il dossier pubblicato il 6 novembre scorso sul Sole 24 Ore). Secondo le equazioni del modello il consenso ai partiti populisti dipende dall’ampiezza della crisi economica e dalla paura per immigrazione e terrorismo, che a sua volta dipende da vari fattori fra cui, naturalmente, anche il fatto che un paese abbia recentemente subito attacchi terroristici. Una stima dell'impatto degli ultimi attentati (da prendersi ovviamente con la dovuta cautela) suggerisce che lo spostamento di consensi per l’intera Germania possa essere dell’ordine di 4 milioni di voti, pari al 9% del corpo elettorale. Tenuto conto che, rispetto al modesto 4,7% del 2013, il partito della Petry era già cresciuto molto alle Europee e nelle successive elezioni regionali non mi stupirebbe, il prossimo autunno, un risultato prossimo al 20% dei consensi.
Quel che sembra fuori discussione è che, in Germania, la vera battaglia sarà fra l’illuminismo cosmopolita di Angela Merkel e il nazionalismo anti-immigrazione di Frauke Petry. Una battaglia il cui esito, insieme a quelli degli altri scontri politici che il calendario elettorale prevede, ci permetterà di farci una prima idea della forza effettiva dell’onda d’urto che ha colpito l’Europa e l’America in questo cruciale 2016.

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