venerdì 3 febbraio 2017

"IL DIRITTO E' LA VENDETTA CHE RINUNCIA" ANCHE NO GRAZIE

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Come molti, suppongo, sono rimasto molto colpito dal gesto di Francesco Di Lello, l'uomo che ha ucciso Italo D'Elisa, il ragazzo che, tempo fa, aveva investito con la propria auto Roberta Smargiassi, la moglie del primo. Una tragedia , cui segue un'altra tragedia.
La prima cosa che mi è venuta in mente è stata la bellissima frase attribuita ai filosofi Adorno ed Horkheimer, per la quale "il Diritto è la vendetta che rinuncia".
Ecco, nella nostra società questa cosa è sempre meno vera, e  la maggior parte della gente confonde la giustizia proprio con la vendetta.
Non mi riferisco tanto al gesto dell'uomo, che chissà quale inferno si è acceso dentro di lui per la morte di una moglie teneramente e profondamente amata, con l'idea, supposta, che fosse insopportabile la semplice sopravvivenza del responsabile della sua drammatica scomparsa.
Credo che per Di Lello il problema non fosse la lentezza della giustizia - problema pure reale e grave del nostro sistema - ma l'inaccettabilità : Roberta morta, Italo vivo.
Non ci sarebbe stato carcere che poteva ripagare questo.
Dopodiché le polemiche sono sempre le stesse : "l'assassino" che girava libero in attesa del processo, cosa inspiegabile per la gente comune che proprio non ne vuole sapere che, per privare qualcuno della libertà, ci vuole appunto il giudizio di un Tribunale e una condanna, definitiva.
Non ne vogliono sapere, fino a quando non capita a LORO di aver bisogno del rispetto di questi elementari diritti, trascritti in tutte le costituzioni moderne ed in realtà acquisiti fin dai tempi più antichi (per dire, qualcuno ricorda la Magna Charta Libertatum ? roba del 1215...).
Purtroppo, negli ultimi 10 anni, nonostante l'inasprimento di codici e leggi, da ultimo con l'invenzione de "l'omicidio stradale", sono morte 50.000 persone. Pensate se tutti i familiari di quelle vittime avessero reagito come il povero Di Lello.
Un olocausto, ha scritto, esagerando per rendere l'idea, il Dr. Biserni, dirigente della polizia stradale e presidente di una associazione legata al suo lavoro.
Oggi su La Stampa ho letto la riflessione di Mattia Feltri, che condivido dalla prima all'ultima riga.
Di Lello e D'Elisa sono vittime, resta il problema, grande, di una giustizia che non funziona - ed è vero - ma di una società che ignora le basi stesse del Diritto.
"La vendetta che rinuncia ? anche no, grazie " e la notte si fa ancora più buia.

LaStampa.it

BUON LINCIAGGIO 
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Non ci azzarderemo a spendere una sola parola sull’uomo che a Vasto ha ammazzato il ragazzo di 21 anni che gli uccise la moglie passando col rosso.
Solamente un pazzo o Fëdor Dostoevskij oserebbero mettere dito nell’anima di un uomo disperato a tale punto.
Ma vogliamo dire qualcosa su una comunità - su tutti noi - che chiedeva giustizia prima del processo, come funzionava nel Far West coi ladri di cavalli. È stata chiesta con manifestazioni di piazza e sentenze spietate e inappellabili sul web, e giustizia equivaleva a carcerazione preventiva. E cioè, in galera subito, per placare la rabbia, e poi si vedrà, e nonostante il ragazzo la sera dell’incidente guidasse a poco più cinquanta all’ora, non fosse né drogato né ubriaco, non fosse fuggito e insomma non c’era un solo appiglio per rinchiuderlo prima del giudizio in tribunale, se non attraverso la logica della corda insaponata.  
 
È stata data la colpa alle lentezze della magistratura, ed è una faccenda con cui tocca fare i conti. E c’è chi lo spiega da decenni, inascoltato. Ma la pretesa di una giustizia di piazza è anche il «fuori i nomi» di qualche giorno fa sui ritardi di Rigopiano, è anche la periodica speranza di una «giustizia esemplare», che esiste in Cina, mentre in una democrazia esiste la giustizia e punto, senza aggettivi, ed è anche rispondere a ogni emergenza con lo sbrigativo «inasprimento delle pene», e sono tutti fuochi del cuore che portano il nome del linciaggio: il modo più comodo e sommario di sentirsi migliori del linciato.  

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