Siccome se ne parla sempre di più, e anzi sulle promesse del mitico reddito di cittadinanza si giocherà una buona parte della partita delle prossime elezioni politiche, ormai certe tra un anno, con i fautori delle anticipate in disarmo, che comunque non è tra molto, propongo un nuovo post di Luca Ricolfi sull'argomento. Avevo a suo tempo riportato un altro intervento del bravo professore e analista ( http://ultimocamerlengo.blogspot.com/2017/01/luca-ricolfi-spiega-il-mito-del-reddito.html ), ma a volte repetita juvant, specie quando si ha il dono della chiarezza, toccato in sorte a quello che è sicuramente uno degli opinionisti preferiti dal Camerlengo.
Quello che emerge è che il concetto è assai semplificato, e di fatto in molti lo richiamano discostandosi dall'utopistico modello originale - che prevederebbe un assegno minimo a TUTTI, individuale e incondizionato (che cioè non tenga conto né del reddito dei destinatari e a prescindere dal loro impegno a trovarsi un lavoro no : sei cittadino ? tanto basta....una follia...) - e la sua realizzazione pone problemi comuni :
- il costo (variabile a secondo dell'estensione della platea dei fruenti)
- il controllo delle condizioni per l'applicabilità (se si ha diritto e fino a quando)
- l'incentivazione al lavoro nero quando proprio a non cercarsi un lavoro.
Non mi sembrano bazzecole
Buona Lettura
Reddito di cittadinanza, spiegato
Nel dibattito politico spesso il tema viene analizzato in modo improprio. In una sorta di vademecum facciamo chiarezza su cosa prevede e ciò che esclude
Qualche tempo fa avevo scritto che, stante la completa
assenza di idee politiche nuove, la prossima campagna elettorale sarebbe stata
dominata dal dibattito sul cosiddetto reddito
di cittadinanza o reddito di base.
Non pensavo, però, che questo sarebbe accaduto così presto,
ovvero un anno prima della data del voto. E invece basta ascoltare la radio,
guardare la tv, navigare su internet o leggere i giornali per rendersi conto
che ci siamo già dentro in pieno. Da alcune settimane un po' tutti ne parlano.
LEGGI
ANCHE: Reddito di cittadinanza, perché ci porta più vicini all'Europa
LEGGI ANCHE: Reddito di cittadinanza e l'esperimento in
Finlandia
L'idea di un reddito di cittadinanza, lanciata dal Movimento
5 stelle fin dal 2013, subito dopo le passate elezioni, ormai tiene
banco un po' in tutte le forze politiche.
Ne parla il Pd, tramortito dalla scissione e alla
ricerca di slogan efficaci in vista delle imminenti elezioni politiche.
Ma ne parlano anche dalle parti di Forza Italia, dove circolano cifre (10 miliardi l'anno) e strumenti (la cosiddetta imposta negativa sul reddito). Né mancano le proposte provenienti dalla società civile, come quelle del Reis (Reddito di inclusione sociale), promossa dalle Acli e da decine di altre associazioni, per lo più appartenenti al cosiddetto Terzo settore.
Tutti pazzi per il reddito di cittadinanza, dunque? Proprio
per niente. Il bello è che nessuna, ma proprio nessuna, delle proposte che
partiti e forze politiche si affannano a denominare "reddito di
cittadinanza" corrisponde a un vero reddito di cittadinanza.
Anzi, nella
maggior parte dei casi ne rappresenta l'esatto contrario. Curioso. Se c'è
un'espressione su cui tutti gli esperti e gli studiosi di scienze sociali
concordano, se c'è un'espressione su cui non si assiste mai a sterili
controversie terminologiche, perché tutti la intendono nello stesso modo, è
proprio l'espressione reddito di cittadinanza, un'idea che risale a
oltre un secolo fa ma che è tornata di grandissima attualità fin dagli anni
'80, quando sorse un movimento di pensiero a suo favore (guidato dal
filosofo belga Philippe von Parijs), e venne fondato il Bien (Basic income
european network, oggi ribattezzato Basic income earth network).
Che cos'è il reddito di cittadinanza?
È un reddito che lo Stato corrisponde a tutti i suoi cittadini, ricchi e poveri, su base individuale e non familiare, dalla nascita o dalla maggiore età, senza alcuna restrizione, obbligo o contropartita. Detto in altre parole, è un sostegno permanente e incondizionato, che proprio perché viene erogato a tutti e senza chiedere nulla in cambio, non richiede di mettere in piedi un apparato di amministrazione, controllo, monitoraggio dei beneficiari.
È un reddito che lo Stato corrisponde a tutti i suoi cittadini, ricchi e poveri, su base individuale e non familiare, dalla nascita o dalla maggiore età, senza alcuna restrizione, obbligo o contropartita. Detto in altre parole, è un sostegno permanente e incondizionato, che proprio perché viene erogato a tutti e senza chiedere nulla in cambio, non richiede di mettere in piedi un apparato di amministrazione, controllo, monitoraggio dei beneficiari.
Ebbene,
molto si può discutere sui meriti e demeriti delle varie proposte messe in
campo in Italia da partiti e associazioni, quasi sempre presentate come forme
di reddito di cittadinanza, ma su tre punti c'è perfetta sintonia: in tutte
le proposte il sussidio, o sostegno (espressione più raffinata e
politicamente corretta), il reddito che si intende attribuire non è destinato a
tutti (ma solo ai poveri), è determinato su base familiare
(anziché individuale), e prevede precise contropartite (non è incondizionato).
In breve: è l'esatto contrario del reddito di cittadinanza.
Da questo punto di vista, il massimo di bisticcio con la lingua italiana è
offerto dal Movimento 5 stelle, che per giustificare il titolo del suo disegno
di legge sul reddito di cittadinanza di fronte a chi giustamente criticava la
scelta di un termine così fuorviante, non ha trovato di meglio che rispondere:
la nostra è una proposta di "reddito di cittadinanza condizionato",
come non sapessero che, per definizione, il reddito di cittadinanza è
incondizionato, altrimenti è un'altra cosa, che in tutta Europa viene
chiamata, più prosaicamente, "reddito minimo".
Ma quali sono le differenze fra le varie proposte di
reddito minimo?
Fondamentalmente sono cinque. Primo. La quantità di risorse stanziate, che va da un minimo di 1-2 miliardi l'anno (governo Renzi), a un massimo di 15-20 (5 Stelle e Sel).
Fondamentalmente sono cinque. Primo. La quantità di risorse stanziate, che va da un minimo di 1-2 miliardi l'anno (governo Renzi), a un massimo di 15-20 (5 Stelle e Sel).
Secondo. La percentuale di famiglie o di individui
beneficiari, che varia ovviamente in funzione delle risorse stanziate, ma anche
a seconda degli importi e della durata. A questo proposito vale la pena
osservare che il concetto di povertà è così elastico che, a seconda di
come lo si definisce, si può passare dal 7 per cento degli individui (povertà
assoluta) al 29 per cento (rischio di povertà o di esclusione sociale),
passando attraverso le platee intermedie del 14 (povertà relativa) e del 20
(rischio di povertà relativa).
Terzo. Le condizioni di accesso e di mantenimento del
sussidio, che possono essere più o meno severe, potendo comportare l'obbligo di
cercare attivamente un lavoro, di seguire corsi di formazione, di accettare
proposte di lavoro retribuito, di erogare lavoro gratis in attività socialmente
utili.
Quarto. La complessità (e il costo) dell'apparato di
amministrazione, sorveglianza, formazione messo in campo per gestire i
beneficiari. Un indicatore assai significativo in proposito è la quota delle
risorse stanziate che non va in tasca ai poveri, ma a coloro che dei poveri
stessi dovrebbero occuparsi, tipicamente tecnici, impiegati, assistenti
sociali, formatori ed esperti, tutte figure appartenenti al ceto medio. Fra le
varie proposte in campo, quella che meno concede agli apparati di controllo è
l'imposta negativa (caldeggiata da Forza Italia), mentre quella che dirotta la
quota maggiore di risorse alla macchina dell'inclusione sociale è quella dell'Alleanza
contro la povertà (i proponenti del Reis), come del resto è comprensibile visto
che occuparsi del disagio sociale è il mestiere, più o meno volontario e più o
meno retribuito, di tante fra le associazioni che propugnano il "reddito
di inclusione sociale".
Quinto. L'incentivo a cercare e trovare lavoro, che è
fortemente compromesso dalla prospettiva di perdere in parte o in tutto il
sussidio. Questo, in realtà, è il tallone di Achille di un po' tutte le
proposte, perché tutte (tranne, in parte, quella dell'imposta negativa) di
fatto rendono alquanto conveniente non lavorare, o lavorare in nero, una
scelta che i recenti dati sulle dichiarazioni dei redditi (straordinariamente
basse rispetto a quel che ognuno di noi vede a occhio nudo) mostrano essere tutt'altro
che teorica.
Che fare, dunque?
Il mio consiglio è di fare come si fa (o si dovrebbe fare), quando si fa un investimento finanziario: "leggere attentamente il prospetto informativo", senza lasciarsi sedurre dalla pubblictà ingannevole dei proponenti.
Il mio consiglio è di fare come si fa (o si dovrebbe fare), quando si fa un investimento finanziario: "leggere attentamente il prospetto informativo", senza lasciarsi sedurre dalla pubblictà ingannevole dei proponenti.
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