mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto…»
Giuseppe Gioacchino Belli
Fino a poco tempo fa erano ormai in molti a sostenere che non ci fosse più grande differenza tra destra e sinistra, che il comunismo era stato sconfitto e così anche il socialismo nella sua dimensione più radicale e massimalista. Al contempo anche il capitalismo, per non fare la fine dell'ideologia avversaria, si era dovuto "adattare", annacquando i suoi principi di "laissez faire" , di mercato libero, e dovendo proprio a questa maggiore duttilità la propria sopravvivenza rispetto al crollo dell'altro.
In fondo, nel mondo occidentale, il tutto si poteva ridurre ad uno schema bipolare, non più contrapposto tra i moderati e i riformatori. Il modello sembravano essere gli USA , dove anche il partito Democratico, più "popolare", certo non sostiene politiche di stampo socialista. E proprio a quel partito in fondo sembrava ispirarsi il nuovo PD italiano, quello inaugurato da Veltroni, che doveva rappresentare un superamento delle due formazioni fondanti: i DS (passati dal comunismo alla socialdemocrazia) e la Margherita ( la sinistra DC, il cattolicesimo più solidaristico e assistenziale, i riformisti laici).
Il PDL a sua volta era un contenitore dove c'erano si i liberali, ma anche i vecchi socialisti craxiani (fieramente anticomunisti ma certamente NON antistatalisti) , la destra sociale del vecchio MSI, e in genere l'elettorato moderato e anti sinistra, contro le tasse ma non certo avverso alla "generosità" statale.
Formazioni siffatte hanno fatto sì che la seconda repubblica, che doveva rappresentare una cesura col consociativismo che aveva impregnato e corrotto una buona metà della prima, alla fine ne aveva riprodotto i vizi : la concertazione col sindacato "regola " insuperabile ( i risultati si sono sempre visti), la spesa pubblica come fattore di "calmiere" sociale oltre che di clientelismo immarcescibile, l' irriformabilità del sistema, a tutti i livelli, al di là degli annunci sempiterni e disattesi.
A bloccare ancora di più il paese ci si è messa pure la questione "Berlusconiana", con l'uomo individuato da metà degli italiani come il MALE assoluto, e un'altra parte a difenderlo se non a idolatrarlo.
Una ben triste cosa. Oggi che è finita, vediamo bene che il problema non era certo lui, ancorché non fosse nemmeno la soluzione.
Il crollo dei partiti contenitore a cui si sta assistendo, ripropone in qualche modo il contrapporsi di due modi nettamente diversi di vedere la società : il dirigismo statale, che da noi l'ha sempre fatta, alla fine, da padrone, e il liberalismo, dove lo Stato dovrebbe avere pochi, essenziali compiti, e provvedere al rispetto e alla salvaguardia delle regole da parte dei cittadini che operano, SENZA operare esso stesso.
Uno Stato siffatto, evidentemente con meno compiti e meno persone a farlo funzionare, sarebbe più piccolo, più snello , meno lento e meno costoso.
NICOLA ROSSI |
Sulla necessità di tornare ad una distinzione sociale NETTA, e sull' identità liberale OGGI, scrive un libro Nicola Rossi, uno di quelli che aveva creduto alla fola del PD progressista e moderno, e che risvegliatosi dal sogno, continua a sperare nella nascita di una formazione nuova dove lo Stato abbia le caratteristiche descritte, e dove i cittadini siano tali , e non già "sudditi" con libertà assai limitate, più apparenti che reali.
Il libro, che già è recuperabile nel suo formato e-book (4 euro) e che a giorni uscirà in libreria, si intitola appunto "SUDDITI. Un programma per i prossimi 50 anni ".
Così ne ha parlato Danilo Taino sul Corriere della Sera:
Quale spazio per i liberisti in Italia?L'Istituto Bruno
Leoni pubblica “Sudditi”, libro manifesto a cura di Nicola Rossi«Dobbiamo
tornare a dividerci», sostiene Nicola Rossi. Anche su basi ideali. «Non è vero
che tutto è uguale - dice -. Il mondo è diviso tra coloro che ritengono di
sapere meglio di me qual è il mio bene e coloro che ritengono che la scelta
vada lasciata a ogni individuo. Questa deve diventare una discriminante
ideologica». Detto nell'era dei tecnici - quando tutti i gatti sembrano dello
stesso colore, data l'apparente ineluttabilità delle scelte politiche - è un
concetto forte, controcorrente. Il professore di economia e senatore del gruppo
misto (ex Pd) va però oltre la bella frase: vuole creare uno spazio, un po'
culturale e un po' politico, nel quale i liberali italiani possano ritrovarsi.
Ed essere influenti. Gli sembra il momento giusto: il rapporto tra Stato e
cittadini è probabilmente il maggiore punto di frizione innescato dalla crisi.
Per farlo, non esita a criticare il governo di Mario Monti: gli pare pienamente
interno alla tradizione illiberale che ha dominato l'Italia unita.
Il veicolo con il quale vuole tracciare i confini di questa
area è un libro che lo stesso Rossi ha curato, edito dall'Istituto Bruno Leoni
(del quale l'economista è presidente): un manifesto liberale a più mani, per un
Paese che liberale non è mai stato. Il titolo è Sudditi. Un programma per i
prossimi 5o anni: lo si potrà trovare da oggi in forma di ebook (€ 4,90) e
dalla settimana prossima nelle librerie (€ 20). Si tratta di una serie di saggi
brevi su un ventaglio di temi - dalle tasse all'urbanistica, dalla sanità alle
autostrade - legati da un filo rosso: sempre, in questi ambiti, lo Stato è il
sovrano, spesso assoluto, e il cittadino è il suddito. Mai su un rapporto di
parità. Una costante storica della politica e dell'amministrazione pubblica
italiane, sostenuta, appunto, dall'idea che lo Stato e chi lo occupa (i partiti
e i funzionari) la sappia sempre più lunga sul bene dei cittadini, e per questo
sia legittimato a limitarne le libertà.
Sul piano dell'attualità, nell'introduzione ai saggi, Rossi
parla di fisco - l'elemento più palese nel rendere il rapporto Stato/cittadino
uguale al rapporto Sovrano/suddito - e critica il presidente del Consiglio per
non avere reso trasparenti i risultati della lotta all'evasione fiscale, in ciò
seguendo una tradizione «frutto del sospetto e del pregiudizio nei confronti
del contribuente». Smonta il decreto-liberalizzazioni. Sottolinea la differenza
di trattamento tra dipendenti pubblici e privati ancora riaffermata nelle
politiche sul lavoro del governo Monti. Un secolo e mezzo dopo - dice - «la
libertà rimane la libertà limitata, controllata» che ha caratterizzato lo Stato
unitario praticamente dalla sua fondazione. Da una parte un «supersoggetto» -
come lo definisce in uno dei saggi il filosofo del diritto Giorgio Rebuffa -, e
dall'altro il cittadino senza diritti individuali, cioè senza «il fondamento di
ogni regime liberale».
Una metà del manifesto è ovviamente dedicata alle tasse. Ma
la vessazione di Stato è descritta in profondità in praticamente tutti gli
aspetti della convivenza civile: tra gli altri ne scrivono Franco Debenedetti,
Natale D'Amico, Pietro Ichino, Alessandro De Nicola, Fabio Scacciavillani.
Secondo Rossi, l'origine dell'attitudine illiberale dello
Stato unitario è un famoso dibattito del 1874 tra Francesco Ferrara e Luigi
Luzzatti, vinto dalle posizioni «vincoliste» del secondo. Da allora, la
continuità autoritaria è stata la regola, con il fascismo solo più determinato
nel farla sentire. Ecco: Rossi vorrebbe che su quei temi oggi ci si dividesse
di nuovo. «Il centrosinistra si è ricollocato nell'alveo socialdemocratico, di
chi pretende di sapere meglio di te quale sia il tuo bene - dice -. Si tratta
di creare uno spazio contrario, che privilegi la libertà di cittadini non più
sudditi».
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