venerdì 27 giugno 2014

ANCHE I FEDELISSIMI DELLE TOGHE IN DIFFICOLTA' PER IL CASO BRUTI LIBERATI - ROBLEDO


Luigi Ferrarella è la versione educata di quel pasdaran delle toghe magistratuali che è Marco Travaglio.
Il secondo ci è diventato ricco, agganciando la sua amicizia con i pm   all'anti berlusconismo militante, il primo si limita ad essere una firma del Corriere della Sera esperto del settore giustizia. 
Leggere che anche lui, difensore strenuo dei magistrati, specie di quelli milanesi,  definisca "pilatesca" la pronuncia del CSM sul caso Bruti Liberati - Robledo, e denunci l'edulcorazione improvvisa delle relazioni delle commissioni, che in un primo tempo contenevano ( educate e pacate)  critiche all'operato del Procuratore Capo, poi sparite dal testo finale, ci sorprende e ci fa piacere.
Il problema di una riforma dell'autogoverno dei magistrati non vieni quindi negato nemmeno dai difensori più fedeli, quelli sempre pronti a ripetere lo stolido mantra della corporazione : salvaguardia dell'indipendenza e dell'autonomia. Non che siano valori da non garantire, ci mancherebbe, ma, come si vede sempre più spesso, in nome di essi si difendono posizioni di potere, intrusive e lesive di prerogative di altri organi istituzionali (governo e Parlamento, ma non solo a questo punto), e di privilegio.
Intanto, si continua a leggere che nel preparare il cd. pacchetto giustizia, tutto viene sottoposto al preliminare vaglio dell' Associazione Nazionale Magistrati. Cioè il sindacato di quella casta. 
Eppure il metodo Renzi, quello predicato in libri e leopolde, dovrebbe essere un altro : ascolto attento delle parti interessate e a conoscenza dei problemi del settore (quindi anche gli avvocati, oltre ai magistrati, e pure il personale amministrativo dovrebbe dire la sua sulla sui  modi e tempi di fattibilità delle riforme ipotizzate), dopodiché il governo decide e presenta la sua proposta ALLA LUCE DEL SOLE. A quel punto le parti restano ancora libere di criticare e anche suggerire modifiche, che potranno essere accolte o meno nell'iter parlamentare.
Così invece siamo nemmeno alla concertazione, ma al lobbismo occulto : il peggiore.




il NON governo dei magistrati
di LUIGI FERRARELLA 
 
Chi ottimisticamente non credeva che al Consiglio superiore della magistratura(Csm) una settimana fa potesse davvero «finire così», cioè a tarallucci e vino sullo scontro senza precedenti tra capo e vice alla Procura di Milano, dopo la pilatesca non-scelta del Csm ora non può credere che possa «continuare così»: cioè a piatti in testa ogni giorno, a colpi di circolari di Bruti Liberati che svuotano Robledo e di nuovi esposti al Csm di Robledo contro Bruti Liberati, per la gioia degli indagati (sinora nelle inchieste Sea, Expo e firme false) che si tuffano nelle contraddizioni regalate loro.
A parziale discarico dei pubblici ministeri milanesi va però osservato che il silenzio imbarazzato dell’intera categoria dei magistrati e l’impasse dei propri meccanismi di controllo sembrano stare facendo di tutto per disorientare i cittadini, intaccare un ventennale capitale di credibilità nella Procura italiana faro di indipendenza e capacità, indebolire la profondità delle indagini, e rendersi incomprensibili agli operatori stranieri che guardano a Expo 2015.
Da tre mesi i magistrati, di solito sensibili alle minacce alla propria indipendenza sia esterna sia interna, mettono la testa sotto la sabbia per fingere di non vedere quanto sia cruciale sciogliere il nodo dei poteri e doveri dei capi degli uffici giudiziari alla luce dei frutti avvelenati della gerarchizzazione delle Procure in base alle norme del 2006/2007. Le correnti, concentrate invece sulle elezioni per il rinnovo del Csm il 6 e 7 luglio, non fanno che strumentalizzare l’appoggio a priori a Bruti o a Robledo solo per contrapposti interessi di bottega. Fino al punto che al fondamentale autogoverno della magistratura abdica proprio chi dentro l’istituzione Csm, invece di incarnarlo, o non si è trattenuto dall’invocare l’interferenza esterna di una ispezione del ministero della Giustizia (dove è sottosegretario il capocorrente di chi la chiedeva pro-Robledo), o ha chinato il capo all’inopportuna anticipazione di giudizio pro-Bruti palesata a mezzo stampa dal vicepresidente Vietti dopo un incontro con il capo dello Stato. Così come i primi a svalutare le conclusioni proposte dalle due commissioni sono stati proprio i relatori che le avevano vergate, precipitatisi a ritirarle e a depennare talune flebili critiche a Bruti appena diffusasi la notizia dell’esistenza di una misteriosa missiva del presidente della Repubblica a Vietti: lettera di cui un uso improprio e ambiguo è stato consentito dal rifiuto di Vietti di leggerla ai consiglieri del Csm perché «allo stato non ostensibile».
Ora questo Csm sta per scadere, il prossimo sarà operativo solo dopo l’estate, e anche il procuratore generale della Cassazione annuncia che su eventuali rilievi disciplinari deciderà nulla sino a settembre. Tutti continuano a non avere fretta, magari coltivando il retropensiero che tanto, a sciogliere la convivenza forzata tra Bruti e Robledo, arrivi il pensionamento anticipato del quasi settantenne Bruti ben prima dei prossimi 4 anni di dirigenza: o a dicembre 2015 con la deroga accreditata dall’interpretazione del Csm, o già a ottobre 2014 senza deroga secondo il criterio adottato dalla Ragioneria dello Stato per calcolare gli oneri della norma. Ma con la quotidianità di indagini delicate che non possono aspettare Godot, e con in ballo il destino di Expo 2015, sarà una pericolosa illusione delegare solo al tempo che passa quella parola chiara sinora non pronunciata dalle istituzioni preposte a dirla.

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