mercoledì 9 ottobre 2013

GLI EX GIUDICI DELLA CORTE COSTITUZIONALE CONTRO LA PROCURA DI BARI


Avevo già letto l'intervista di Barbera dopo la comparsa sui giornali della notizia delle indagini contro professori eccellenti di varie Università (tra cui ben 5 "saggi" della squadra richiesta da Letta per indicazioni e consigli sulle riforme costituzionali ) che spandeva malizia sull'iniziativa giudiziaria.
In effetti non diceva cose sbagliate, però provenivano da un diretto interessato.
Adesso le stesse cose le dicono soggetti non solo neutrali, ma da annoverare tra coloro che hanno spesso difeso la magistratura dagli strali berlusconiani, parlo in particolare di Valerio Onida , i quali fanno ben capire che questa iniziativa della Procura di Bari è strana, per non dire sospetta. 
E da uomini di diritto pongono domande : come mai dopo tanti anni queste indagini non sono ancora sfociate in una richiesta di rinvio a giudizio ? Se si ritenesse di non aver raccolto elementi sufficienti, allora non resterebbe che l'archiviazione. Certo non è legittimo restare indagati all'infinito (oppure no ? ). 
I due ex giudici della Corte Costituzionale si dolgono poi del ruolo della stampa, delle notizie date parzialmente, del segreto istruttorio violato, delle intercettazioni messe in piazza...
Mentre leggevo, pensavo a come chi ha lamentato in questi anni le stesse identiche cose è sempre passato per un colluso dell'illegalità sostanziale, l'amico di Berlusconi che invocava cavillose garanzie per nascondere il marcio in cui era immerso l'uomo più criminale d'Italia.
Adesso due famosi (emeriti, per chi li considera tali. Io no ) costituzionalisti prendono carta e penna e denunciano il complotto - in cui sarebbe evidentemente invischiata, se non addirittura organizzatrice, la parte della magistratura che ha l'incubo di una revisione costituzionale che finalmente la riformi - di coloro che non vogliono alcuna riforma, che nella palude in cui ci troviamo loro navigano benissimo.
Da leggere

Opinioni contrarie, non metodi incivili 

 
Caro direttore, i quotidiani hanno dato notizia in questi giorni di una indagine giudiziaria della Procura di Bari, che coinvolgerebbe un gran numero di professori universitari, in particolare di diritto costituzionale, di tutta Italia, già indagati o solo citati in atti di indagine, e riguarderebbe presunti accordi illeciti volti a determinare i risultati di concorsi per posti di professore o ricercatore in undici Università italiane. Indagine che sarebbe partita vari anni fa, e non si capisce come mai non sia ancora conclusa, visto che la legge prevede un termine massimo di due anni, scaduto il quale la Procura deve tirare le somme e chiedere o l’archiviazione o il rinvio a giudizio. Ciò non risulta ancora avvenuto, e anzi a quanto pare diversi dei professori di cui si è fatto il nome non hanno ricevuto alcun atto, nemmeno l’informazione di garanzia. Si capisce però l’«improvvisa» scoperta – dopo anni! - della notizia da parte di alcuni organi di stampa, se si osserva che è stato fatto, con grande evidenza, il nome di alcuni soltanto dei professori presunti coinvolti, e principalmente, guarda caso, di cinque costituzionalisti che hanno fatto parte della commissione governativa «per le riforme» costituzionali che ha concluso i suoi lavori il 17 settembre scorso. L’operazione «politica» è trasparente: si vuole attaccare e screditare la commissione, nell’ambito della campagna volta ad avversare le prospettive di riforme costituzionali promosse dal Governo Letta, e cosa di meglio che «scoprire» una indagine giudiziaria che riguarderebbe alcuni dei suoi membri? Ci sono però alcune domande che andrebbero fatte, e che non dovrebbero restare senza risposta. Quali sono le notizie di reato sulla cui base l’indagine è partita? Quale è l’oggetto preciso della stessa (posto che non potrebbe essere genericamente un vero o presunto diffuso malcostume accademico nella gestione dei concorsi)? Quali sono i fatti precisi, di rilevanza penale, contestati a persone precise, e accertati con tutte le garanzie previste? Quali sono gli indagati? Quando è stata avviata l’indagine? Ci sono state proroghe, e motivate come? In ogni caso, se, come pare, i primi passi di essa sono lontani nel tempo, come mai l’indagine non è stata ancora chiusa, pur essendo trascorsi più dei due anni previsti come massimo dal codice? Queste domande devono essere rivolte all’ufficio del pubblico ministero procedente, e precisamente al Procuratore della Repubblica di Bari, capo di quell’ufficio. E non si potrebbe dire che la risposta non può essere data, perché c’è il segreto delle indagini. È vero: la legge prevede che gli atti possano essere conosciuti, e quindi resi pubblici, solo quando ne avviene il deposito, per lo più a conclusione dell’indagine. E la rivelazione di atti coperti da segreto è punita come reato. Ma nella specie questa rivelazione è clamorosamente avvenuta: i giornali hanno riportato nomi e, addirittura fra virgolette, stralci di atti (peraltro contenenti affermazioni generiche) attribuiti alla Guardia di Finanza, presumibilmente formati nell’esercizio dell’attività di polizia giudiziaria, sotto la direzione del pubblico ministero. Dunque, mentre si va a caccia di ipotetici reati commessi dagli indagati, c’è un reato sicuro, la rivelazione di atti coperti da segreto, e i possibili responsabili sono da ricercarsi fra coloro che a quegli atti hanno avuto accesso. E comunque l’opinione pubblica, a questo punto, ha diritto di conoscere i fatti e le ipotesi di reato nella loro completezza, per non rimanere in balia di «rivelazioni» confuse, parziali e politicamente interessate. Il 12 dicembre a Roma si terrà una manifestazione a difesa della Costituzione. Ma se i «difensori» usassero o avallassero questi metodi, non la difenderebbero, concorrerebbero a violarla. Si può essere d’accordo o non d’accordo, nel merito, su questa o quella proposta di riforma costituzionale o sul metodo seguito (e la relazione della commissione governativa ha dato conto delle diverse e anche opposte opinioni espresse, pur nella comune convinzione che non solo non sia vietato, ma anzi sia utile, mettere in cantiere qualche riforma: ad esempio, il superamento del bicameralismo perfetto). Ma il primo modo di difendere la Costituzione è quello di osservare canoni di civiltà, lealtà e rispetto nel dibattito politico. (già giudici costituzionali)
RENZO CHELI E VALERIO ONIDA

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