sabato 13 settembre 2014

LE RAGIONI PER CUI L'ACCUSA DI PISTORIUS NON HA VINTO



La sentenza che condanna Pistorius solo per omicidio colposo, sollevandolo dalla più grave accusa del dolo, oltretutto premeditato, ha messo alla dura prova il garantismo in genere granitico di un giornale che ha, non a caso, come nome "Le cronache del Garantista". La giornalista a cui è stato affidato il pezzo ha ammesso che, stavolta, la sentenza non le sembra equa.
Ecco, secondo me è qui l'equivoco. Il Garantismo non significa innocentismo, ma piuttosto la rivendicazione che in una vicenda giudiziaria, dal suo inizio al suo epilogo, siano rispettate le regole e i diritti, senza cadere nella tentazione della condanna esemplare.
Preservate queste, se si arriva ad un verdetto di colpevolezza, che sia. In questo caso, l'entità della condanna deve anch'essa ubbidire a criteri di equità e diritto, senza farsi prendere la mano dalla tentazione di dare "esempi" (come, per dire, nel caso di Fabrizio Corona, sicuramente punito con una severità inusitata e ingiusta).
Quindi rassicurerei la giornalista di Sansonetti : non è che lei non sia garantista perché NON crede all'innocenza di Pistorius (innocenza in questo caso sta per il "non dolo"), semmai la domanda che in tutta onestà  si deve fare è : il ragionevole dubbio era stato superato dall'accusa, con le prove addotte ? Ecco, se la risposta è sì, non ha tradito i suoi principi. Se invece ha ceduto, magari perché donna, forse perché influenzata dal fatto che la vittima era la fidanzata dell'omicida, ad un pregiudizio, e quindi, ancorché nel dubbio, avrebbe preferito  si corresse il rischio di una punizione eccessiva piuttosto che quello di   non punire adeguatamente il possibile colpevole, allora no, allora ha "peccato".
La donna che ha presieduto il processo contro Pistorius è un giudice anziano, esperto,  e la Corte si è pronunciata all'unanimità nel derubricare l'accusa.  
Eppure nemmeno la solida reputazione di questa giudice, celebre per il suo rigore nei confronti di uomini violenti, uxoricidi o stupratori, passati davanti al suo martelletto, è bastata a preservarla dalle critiche e dai sospetti di eccessiva indulgenza verso il campione paralimpico. 
Selvaggia Lucarelli, brillante giornalista ma di cronaca "colorata", non certo esperta di cose giuridiche, ha buon gioco a solleticare la pancia dei colpevolisti, specie donne, commentando con sarcasmo su Libero la sentenza di Pretoria, riportando   tutte e sole le tesi dell'accusa, ironizzando sulla loro disattesa da parte del giudice.
Nemmeno un rigo sui motivi, anche opinabili per carità, per cui quelle tesi sono state ritenute insufficienti. 
Perché è questo che la gente non accetta. Per i più, se le prove sono insufficienti, allora si deve CONDANNARE, perché per loro  quello che non deve accadere è che un colpevole possa non essere punito, e pazienza se per perseguire questo scopo a tutti i costi si rischia di perseguire un innocente. 
Quindi, sono gli imputati a dover provare, oltre ogni ragionevole dubbio, la loro innocenza ! E se non ci riescono, peggio per loro.
Da noi è così, la maggior parte delle persone sono così,  avvocati (non i penalisti, almeno i più) compresi, e il principio "in dubbio pro reo" resta più spesso sulla carta. 
Nei paesi di tradizione anglosassone - e il Sud Africa, causa passato coloniale - è tra questi, è invece reale, solido.
E questa sentenza ne è la dimostrazione.
Con tutto ciò io non sostengo che sia GIUSTA, e nemmeno so se il Giudice ha applicato correttamente al caso concreto i principi evocati nella sua motivazione. SO che quei principi (ragionevole dubbio, indipendenza del giudizio dei testi) sono sacrosanti.
Sono quelli che difendo e sostengo, non la singola pronuncia di un processo avvenuto nell'altro emisfero del mondo, durato un anno e mezzo (veloci peraltro, LORO), e di cui so solo quello che leggo sui giornali, notoriamente non una fonte di quelle indiscutibili e tanto meno integerrime.

Di seguito, l'articolo su La Stampa, che ha avuto l'ardire di esporre le ragioni delle pecche delle tesi accusatorie (secondo quanto si evince dalla sentenza ovviamente). 
Mi impegno coi lettori, se la trovo on line,a pubblicare, in un altro post (che questo è già troppo lungo),  l'arringa accusatoria della bella Selvaggia.

 

Troppe falle nell’accusa: così Pistorius si è salvato

Il movente, i testimoni, l’autopsia e il dolo: il processo ai raggi x

Oscar Pistorius
petroria

Per molti, esperti e non, la mancata condanna per omicidio volontario ai danni di Oscar Pistorius ha rappresentato la grande sconfitta di Gerrie Nel, il pubblico ministero soprannominato «pitbull» per la sua capacità di saltare alla gola dei testimoni attraverso i suoi interrogatori. Ma il pm non è riuscito a portare in aula prove schiaccianti per fare condannare Pistorius a 25 anni di carcere. Dove ha sbagliato?  
Il movente  
La prova della gelosia solo negli sms di Reeva  
Nel ha sempre sostenuto che il campione paralimpico abbia premuto il grilletto dopo aver litigato con la fidanzata, magari in seguito a un attacco di gelosia. Così ha puntato molto sui messaggi WhatsApp di Reeva, in cui la modella sudafricana mostrava paura per alcuni atteggiamenti del corridore, soprattutto legati a un’eccessiva gelosia. Ma il giudice Masipa ha smontato tutto, sostenendo che «poche frasi scambiate su un cellulare non possono essere considerate prove e che le relazioni umane sono imprevedibili».  
I testimoni  
I vicini di casa lontani dalla scena del crimine  
Proprio nel tentativo di dimostrare che quella notte i due avevano litigato duramente, Nel aveva iniziato il caso chiamando a testimoniare una dei vicini di casa di Pistorius: questa aveva sostenuto di aver sentito urla «pietrificanti» di donna poco prima degli spari. Ma la giudice ha definito la deposizione della teste non attendibile a causa dell’eccessiva distanza dalla scena del crimine, 177 metri, troppi per udire con chiarezza.  
L’autopsia  
I medici incapaci di dimostrare l’ora del pasto  
Un altro punto sui cui ha fallito Nel è stata l’incapacità di dimostrare scientificamente, tramite l’autopsia, che Reeva aveva consumato l’ultimo pasto due ore prima dell’omicidio e non sette come sostenuto da Pistorius, prova che avrebbe screditato la versione del 27enne.  
Il dolo  
La volontà di uccidere data subito per scontata  
Al termine dell’udienza Nel ha persino messo le mani avanti, sostenendo che anche nel voler accettare l’assurda «versione dei fatti» di Pistorius, chi spara in una toilette chiusa lo fa per uccidere. Come per dire, meno dell’omicidio doloso non può prendere. Ma ancora una volta la togata sudafricana l’ha sorpreso sostenendo come non sia stato in grado di dimostrare l’intenzionalità dell’imputato di sparare per uccidere. Infine la grande debacle. Nessuna prova che certifichi la premeditazione del gesto, ossia che Pistorius quella notte volesse davvero uccidere Reeva.

1 commento:

  1. MARCO PAGELLA

    Nel 2006, colla novellazione dell'art. 533 § I C.P.P. il ragionevole dubbio è divenuto finalmente criterio vincolante per il Giudice . Non mi perito d'affermare che molti Avvocati e Magistrati non hanno tuttora metabolizzato siffatto mutamento .

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