Danilo Taino è il giornalista del Corriere che dall'inizio ha seguito la vicenda dei Marò prigionieri in India, così come Maria Giovanna Maglie lo ha fatto per Libero e Roberto Toscano (in veste però di editorialista più che di cronista) su La Stampa.
La Maglie ha una posizione netta e intransigente : l'India sta violando ogni norma di diritto internazionale e l'Italia, che indubbiamente - questo lo dicono TUTTI - ha fatto numerosi errori nel condurre la vicenda dall'inizio, deve decidersi a seguire la linea dura pretendendo presso i vari organismi, sia giuridici che politici, che si avvii finalmente un arbitrato internazionale e che i due marò lascino l'India, anche al limite ospiti di uno stato terzo, in attesa della fine del giudizio.
Taino è assai più prudente, come dimostra anche in questa controversa occasione della temporanea liberazione di Latorre, cui è stato permesso di tornare in Italia per curarsi e trascorrere la convalescenza a seguito dell'ischemia che lo ha colpito.
Quattro mesi, alla fine dei quali dovrà tornare i India.
Ecco, in questi 4 mesi si dovrà trovare, scrive Taino, la famosa soluzione diplomatica, quella che non è riuscita per due anni e mezzo, si dice per le continue elezioni indiane e per la presenza al vertice dello stato di Sonia Ghandi, un'italiana che non si poteva permettere di essere accusata di tradire l'India a favore del paese d'origine.
Oggi che la Ghandi non c'è più, e al suo posto c'è il premier Modi, appena eletto e quindi senza incubi elettorali alle porte, le cose potrebbero essere diverse.
Speriamolo.
Però leggo che, ancora una volta, la strada dell'arbitrato sarebbe stata accantonata, e l'Italia si sarebbe mostrata disponibile ad accettare la giurisdizione indiana...Spero si tratti di un errore, o che io interpreto male, perché sarebbe assai pericoloso puntare tutto e solo sulla diplomazia. Il caso dei Marò NON è SOLO un caso diplomatico, è un problema giuridico. C'è un'accusa di omicidio, e un processo si dovrà fare. Dove ? Con quali giudici ? Questo è un nodo di diritto (che dovrebbe vederci prevalere), che si continua a non voler affrontare adeguatamente su questo piano, sperando sempre nell'"aggiustamento".
Latorre torna a casa
4 mesi per risolvere
la questione dei marò
Roma collabora con la giustizia indiana
Il marò Massimiliano Latorre sta per tornare in Italia in convalescenza. E il governo italiano — dice Matteo Renzi — ha deciso di collaborare con la giustizia indiana, cosa che fino a 48 ore fa si rifiutava di fare. L’ischemia che ha colpito il 31 agosto il fuciliere di Marina (dalla quale si sta riprendendo) ha insomma decisamente cambiato le carte sul tavolo attorno al quale Italia e India si confrontano. Si è aperta una dinamica nuova sul piano diplomatico: sia Roma sia Delhi capiscono che la vicenda va risolta in quattro mesi, entro il 13 gennaio, quando Latorre dovrebbe tornare nella capitale indiana sulla base dell’impegno che ha preso ieri con la Corte Suprema; e la questione ora è direttamente nelle mani di Renzi e del primo ministro indiano Narendra Modi.
Ieri, la Corte Suprema di Delhi ha concesso a Latorre di tornare in Italia per quattro mesi: potrà curarsi in un ambiente sereno. I giudici hanno però preteso due garanzie scritte di rientro, una a nome del governo italiano, fornita dal nostro ambasciatore in India Daniele Mancini, l’altra firmata dal marò. Latorre partirà per l’Italia forse oggi stesso. Salvatore Girone, il suo commilitone, rimarrà invece a Delhi. La decisione dei giudici, alla quale il governo Modi non si è opposto, è stata giudicata un gesto distensivo e amichevole: l’Italia «la apprezza molto», ha commentato il ministro degli Esteri Federica Mogherini; un passo «che dimostra la sensibilità dei giudici indiani», ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti. A Roma, nel governo, nessuno ha più parlato di ricorso all’arbitrato internazionale, cioè del rifiuto di riconoscere il diritto della giustizia indiana di processare i due marò, fino a poche ore fa ritenuto indiscutibile. Svolta segnalata da Renzi con un tweet nel quale parla di «collaborazione con la giustizia indiana e stima per il premier Modi e il suo governo».
L’obiettivo di Roma e Delhi, a questo punto, è quello di trovare una soluzione diplomatica entro quattro mesi. Se prima infatti tutta la vicenda non aveva una data di riferimento e poteva essere trascinata nel tempo, ora una scadenza c’è: se infatti si arrivasse al 13 gennaio prossimo senza una soluzione e Latorre dovesse tornare in India, il governo italiano sarebbe in un angolo, stretto tra la pressione domestica di chi chiederebbe a gran voce di non farlo partire e il fatto che Girone è sempre a Delhi, in stato di semi-cattività; il governo indiano, per parte sua, sa che se si arrivasse a gennaio senza un accordo la questione prenderebbe caratteristiche internazionali sgradevoli. Dalle due parti, dunque, si vuole arrivare a una soluzione entro quella data.
Dal 31 agosto, quando Latorre ha avuto il malore, l’Italia si è mossa rapidamente con l’immediato viaggio del ministro Pinotti a Delhi, con l’intervento in prima persona di Renzi nella vicenda e con la richiesta di rientro temporaneo del marò. Il governo indiano ha fatto anche di più. Prima ha deciso senza esitazione di non opporsi al viaggio di convalescenza, nonostante alcune opposizioni che si sono sollevate. E nei giorni scorsi ha lavorato affinché la decisione della Corte fosse presa in fretta: tanto da avere spinto — secondo quanto risulta al Corriere — Freddy Bosco, il proprietario della barca su cui erano i due pescatori della cui uccisione sono accusati Girone e Latorre, a ritirare un’eccezione avanzata al tribunale che avrebbe ritardato il rientro del marò in Italia.
Ora, Renzi dovrà dare gambe alla trattativa. Tenendo ferma la possibilità di ricorrere all’arbitrato internazionale, si tratterà di mettere sul tavolo un pacchetto di proposte e di richieste per avviarla (non in pubblico): «lavoreremo insieme su tanti fronti», ha anche scritto nel suo tweet il premier italiano. Alcune indiscrezioni — non confermate — indicano che Roma sarebbe anche disposta a ammorbidire la sua storica opposizione a un seggio permanente per l’India nell’ambito della riforma del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Il negoziato, se andrà a buon fine, dovrà poi trovare un passaggio, almeno formale, per qualche meandro della giustizia indiana.
Danilo Taino
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