sabato 13 settembre 2014

RENZI VUOLE IL POTERE, I GIUDICI NE HANNO TROPPO. UN CONFLITTO CHE POTREBBE PORTARE BUONE COSE.


Anche quando si ha un ideale molto forte, che per me è il Garantismo, bisogna stare attenti a non diventare talebani, e quindi criticare anche i piccoli miglioramenti solo perché "ben altro" è quello che serve. Sono consapevole di questo pericolo, e per questo lo rammento anche a me stesso. 
Quindi non mi aspetto rivoluzioni garantiste dal governo Renzi. Se il toscano lo fosse stato, un garantista, non ci sarebbe la Morani (una iattura vera) come responsabile giustizia del PD e nemmeno Orlando (che sicuramente non è un giustizialista, ma non è nemmeno uomo scelto dal Premier, che voleva a via Arenula un pm d'assalto, Gratteri ! ) , ma magari un paio di amici miei, che conoscono il diritto, bene, i problemi della giustizia, ugualmente bene, e sono garantisti veri. Proprio questa seconda cosa a mio avviso è tra i motivi che gli hanno nuociuto, posponendoli ad altre persone più malleabili, e comunque meno sospette agli occhiuti sguardi di ANM e MD (rispettivamente sindacato e setta delle toghe dei magistrati). 
Renzi non è nemmeno giustizialista. E' un'opportunista, e segue il vento. L' articolo di Verderami che segue, fa una sommaria rassegna dei casi susseguitisi nel tempo che testimoniano questa semplice verità.  Far lavorare di più i giudici, tutti e non solo i tanti onesti e volenterosi (che naturalmente ci sono), è qualcosa che Renzi perseguirà perché ritiene che i benefici potranno essere superiore ai costi. Se si ottiene una maggiore efficienza della giustizia, e quindi decisioni più veloci , questo farà bene - ormai lo scrivono tutti - agli imprenditori a agli investimenti (specie stranieri). Anche se il problema poi non riguarda solo la giustizia civile ("dimezzeremo i tempi dei processi" : AUGURI !! ) ma anche quella penale. Casi come quelli della Thyssen, Ilva, Finmeccanica e oggi Eni , al di là delle singole opinioni, obiettivamente non accrescono il nostro appeal con  le imprese straniere. Così come del resto il costo del lavoro e la pressione fiscale. Insomma, se la situazione interna fa si che i NOSTRI, di imprenditori, se possono, se ne vanno, perché mai quelli di fuori dovrebbero venire qui ? Giusto se vedono l'affarone (leggi : svendita).
Twittare "basta coi privilegi, ferie come gli altri"  o "chi sbaglia paga" sono cose che funzionano, perché la maggior parte della gente, anche tra i giustizialisti, risponde EVVIVA. Poi , in concreto, vedremo quali saranno i cambiamenti effettivi sulla sospensione feriale e, soprattutto, sulla responsabilità civile dei giudici. Ma sono temi sui quali Renzi può sfidare i giudici forte del consenso popolare su certi temi "egualitaristi" e rispondere, alla loro scomposta reazione  : "brrr, che paura" (attenzione però, che quelli certe guasconate possono farle pagare care...).
Ma sul resto - terzietà del giudice, limiti normativi concreti alla custodia cautelare , separazione della carriere, divisione dei poteri, controllo del rispetto delle regole procedurali (per esempio l'iscrizione nel registro degli indagati, da cui decorrono i termini per le indagini), regolamentazione dell'esercizio dell'azione penale ecc. - Renzi non farà nulla, sono pronto a scommettere.
A MENO CHE l'opportunità politica non lo spinga in questo senso. Per esempio, iniziative come quelli dei PM in Emilia (avviso di garanzia a Richetti e Bonaccini) e per l'ENI, che stavolta toccano non solo il PD ma proprio i renziani, potrebbero indurre il Premier a riflettere se veramente non sia il caso di ridare alla politica dei baluardi efficaci per evitare ingerenze "a orologeria" della casta togata. Non è necessario chiamarsi Berlusconi per essere colpiti dalla corrente, come la vicenda Mastella sta lì a ricordare ai più dotati di memoria. 
Insomma, Renzi è uno che vuole il potere, e i magistrati ne hanno troppo. Questo dovrebbe creare un conflitto (probabmente sta già accadendo). che il Premier magari ha il coraggio di affrontare, forte del consenso popolare e anche delle alleanze trasversali che potrebbe trovare in Parlamento.
Forse esagero...anche a me piace a volte sognare ad occhi aperti.



 
La linea garantista che agita il Pd
 
 

Prima da leader del Pd e poi anche da presidente del Consiglio, Renzi ha vissuto finora pericolosamente la sua stagione, oscillando sulle questioni da codice penale tra gesti intransigenti ed enunciati garantisti. Il modo in cui ieri ha difeso l’ad di Eni — accusato di una presunta tangente per una concessione petrolifera in Nigeria — è parsa una svolta, perché è stata insieme la rivendicazione della scelta fatta cinque mesi fa con la nomina di Descalzi, e la difesa di un principio costituzionale: «Rispetto le indagini e aspetto le sentenze».
Insomma, è una posizione coraggiosa, che rompe con gli atteggiamenti a volta farisei del passato e tende a restituire alla politica i suoi spazi e il suo primato. Il fatto è che Renzi non si è sempre mosso così da quando è balzato sulla scena. È vero che c’è una differenza tra un manager e un rappresentante del popolo. È vero che nel mondo del business internazionale il confine tra lobbismo e «stecca» è assai labile. Ed è vero infine che certe inchieste si portano appresso il rischio di quei «danni collaterali» — come li definisce il Giornale — a causa dei quali famose aziende di Stato italiane hanno perso commesse multimilionarie all’estero.
Tuttavia l’approccio del premier non fu lo stesso quando non era ancora premier. Ai tempi del «caso Fonsai» — che portò all’arresto dei Ligresti — il rottamatore chiese infatti le dimissioni del Guardasigilli del governo Letta. Secondo Renzi, la Cancellieri si sarebbe dovuta dimettere per via di quella telefonata con i familiari degli arrestati, durante la quale il ministro della Giustizia aveva criticato la decisione dei magistrati: «Indipendentemente se abbia ricevuto o meno un avviso di garanzia, sono per le sue dimissioni. Non è un problema giudiziario, questo. È un problema di opportunità politica».
L’«opportunità politica» fu lo scudo dietro cui Renzi protesse il suo garantismo e iniziò a picconare #enricostaisereno. Fu infatti per «ragioni di opportunità politica» — fresco vincitore delle primarie nazionali — che risolse con una telefonata il «caso Barracciu», la dirigente democratica vincitrice delle primarie in Sardegna e finita nell’inchiesta sulle spese pazze del Consiglio regionale. Lei era solo indagata, lui allora era solo segretario del Pd. Lei fece un passo indietro nella corsa da governatore, lui — appena diventato premier — le diede un posto nel governo. Fu un cambio di rotta tanto brusco quanto incomprensibile. Accusata di peculato, la Barracciu fu difesa dalla Boschi: «Non è nostra intenzione chiedere dimissioni di ministri o sottosegretari sulla base di un avviso di garanzia». Una posizione garantista, non c’è dubbio: ma perché non venne adottata prima?
Sarà stato per ragioni di «opportunità politica», le stesse che indussero Renzi ad avallare il voto a scrutinio palese della Camera sulla richiesta d’arresto — avanzata dalla procura di Messina — del deputato pd Genovese, che era solo indagato e non condannato. Fu una scena raccapricciante agli occhi di molti dei parlamentari dem. E la scelta iper giustizialista — non contrastata dal premier — più che una ragione di opportunità politica si rivelò un caso di opportunismo elettorale, visto l’approssimarsi delle Europee e la battaglia con il Movimento 5 Stelle. Lo si capì dal tweet di Renzi, qualche minuto dopo il voto (favorevole all’arresto) di Montecitorio: «Ora Grillo si asciughi la bava alla bocca».
Tenere parametri garantisti è complicato quanto restare dentro i parametri europei. Eppure il premier sembra stavolta intenzionato a non deflettere, e così come si è mosso a difesa di Descalzi, non si è mosso — almeno così pare — per invitare al passo indietro il compagno Bonaccini, in corsa per le primarie del Pd in Emilia Romagna e accusato dalla Procura bolognese dello stesso reato che impedì alla Barracciu la candidatura in Sardegna. Una svolta che sconta le contraddizioni del passato, perché mentre Renzi non intervenne a difesa di Genovese per risparmiargli la galera preventiva, si è esposto con l’ormai ex governatore emiliano Errani, che pure era stato condannato in secondo grado e al quale però aveva chiesto di restare al suo posto.
L’applauso per «Vasco», strappato domenica scorsa a Bologna dal segretario del Pd al popolo della festa dell’Unità, ha coinciso con l’offensiva riformista del premier sulla giustizia, con il tweet sulla responsabilità civile dei magistrati («chi sbaglia paga»), con il taglio delle ferie ai togati, con quel «brrrr che paura» con cui ha risposto agli attacchi dell’Anm. Renzi, che dismesso il vecchio Cda della «ditta», sembra volerne dismettere anche la linea politica. A questo punto resta da capire se si tratta solo di un caso di «annuncite», o se davvero il premier vorrà rottamare il giustizialismo insieme allo Statuto dei lavoratori. E se così fosse, bisognerà vedere se reggerà il Pd. A meno dell’ennesima correzione di rotta per ragioni di «opportunità politica».

Francesco Verderami 

Nessun commento:

Posta un commento