Curioso di storie. Mi piace ascoltarle e commentarle, con chiunque lo vorrà fare con me.
giovedì 20 novembre 2014
PENSIERI SUL PROCESSO ETERNIT : LA RICERCA DELLA GIUSTIZIA, NELL'ULTIMO LIBRO DI UN (EX) MAGISTRATO, GIANRICO CAROFIGLIO
Nel leggere la richiesta del Procuratore Generale nel processo cd. Eternit, la pronuncia di intervenuta prescrizione del reato, mi sono venute in mente le parole che uno scrittore, ex magistrato, più specificatamente ex pm, Gianrico Carofiglio, fa dire ad uno dei personaggi del suo ultimo libro, La regola dell'equilibrio.
La scena è un seminario della scuola forense, tenuto nel palazzo di giustizia di Bari, sul tema "Etica e ruoli nel processo penale" (già il titolo...), e il relatore che prende la parola è il Presidente del Tribunale del riesame.
Leggiamolo insieme
"...il lavoro dell'avvocato penalista consiste, perlopiù, nel difendere imputati colpevoli e nel cercare, con tutti i mezzi leciti, di farli assolvere...
Se le cose stanno così, e stanno così, è necessario capire dove si collocano il punto di compatibilità etica delle professione di avvocato e quello del lavoro del giudice. Anche il lavoro del giudice infatti presenta aspetti di grande quanto trascurata sensibilità etica. Basti ricordare che i giudici dispongono della libertà delle persone e, per questa ragione, dispongono delle loro vite. Una cosa che dovrebbe lasciarci sgomenti e che invece diamo per scontata.
Il nostro problema, dunque, è duplice : come ammettere la liceità etica della difesa di un colpevole di reati orribili; come ammettere la liceità etica della privazione della libertà personale di una persona da parte di un'altra persona.
Su quale terreno si colloca l' unica idea di giustizia che possiamo condividere senza essere influenzati dalla diversità dei nostri punti di vista morali ? Il terreno è quello delle regole di procedura.
Le regole di procedura e il loro rispetto sono l'unico modo per fare giustizia. Non esiste una giustizia sostanziale al di fuori del rispetto delle regole processuali
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Gli avvocati non vogliono giustizia. Non vogliono cioè che i colpevoli siano condannati e che le vittime siano risarcite. Gli avvocati vogliono vincere i processi. E io aggiungo : è giusto che sia così, perché quello è il loro compito nel meccanismo, nel quadro d'insieme. Se gli avvocati non volessero vincere i processi, gli imputati sarebbero sprovvisti di vera tutela e in particolare gli imputati innocenti - per pochi che siano - rischierebbero molto di più le condanne ingiuste.
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Gli imputati non vogliono giustizia, vogliono essere assolti. Gli avvocati degli imputati non vogliono giustizia, vogliono che i loro clienti siano assolti. E adesso dirò una cosa un po' forte. Nemmeno i pubblici ministeri vogliono giustizia. Salvo alcuni rari casi di palese malafede, però, non lo sanno. Loro credono di perseguire la giustizia, ma spesso confondono la condanna dell'imputato che considerano colpevole con l'idea della giustizia. E siccome per loro - per molti di loro - la condanna di chi considerano colpevole è giustizia, sono disposti ad accettare, a ignorare o addirittura ad occultare la violazione delle regole di procedura che potrebbero portare all'assoluzione di un imputato che considerano colpevole, soprattutto se di un grave reato.
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Voi potreste obiettare : almeno i giudici sono interessati a fare giustizia. Non hanno - non dovrebbero avere - nessun interesse a un risultato piuttosto che all'altro. Le cose purtroppo non sono così facili.
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Un giudice che ricopia per intero il provvedimento del pm, lasciandoci dentro anche gli errori di grammatica che a volte ci sono, vuole giustizia ? O forse sta solo cercando di lavorare il meno possibile. O forse si sente dalla stessa parte del pubblico ministero e della polizia giudiziaria. Forse è convinto che il suo lavoro sia togliere di mezzo i criminali - o presunti tali - piuttosto che fare il garante del rispetto delle regole.
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Per fare giustizia bisogna liberarsi dei falsi miti sulla giustizia.
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è certo che le garanzie del processo sono altrettanti limiti ad una libera (indiscriminata?) ricerca della verità. Se per esempio potessimo disporre intercettazioni telefoniche sulla base del semplice sospetto, delle congetture degli investigatori, sarebbe più facile captare conversazioni criminali e scoprire gli autori di gravi reati. Se fosse possibile interrogare gli indagati senza le garanzie della difesa sarebbe più facile ottenere confessioni. Ciò significa che regole e garanzie sono incompatibili con un'azione efficare di ricerca della verità? Io non credo.
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Certo però è che, fra lo scetticismo radicale di chi considera utopistica e ipocrita la stessa aspirazione alla giustizia e i fanatismi più o meno mascherati in cui si celano nuove versioni della legge del taglione, esiste uno spazio delle regole, delle garanzie e dei diritti. Diritti degli indagati e degli imputati, certo, ma anche delle persone offese dai reati. E' in questo spazio, lo spazio dei giuristi, il nostro spazio, che è possibile e lecito - con fatica, ma al riparo dell'arbitrio e della prevaricazione - cercare di ricostruire verità, accertare responsabilità e infine dispensare punizioni. Con senso del limite e accettando l'idea che in molti casi un colpevole verrà assolto e che questo è il prezzo da pagare per un sistema in cui sarà difficile (anche se mai impossibile) che un innocente venga condannato.
Ognuno sarà libero di chiamare come meglio crede i risultati di questo sforzo.
Anche giustizia, naturalmente.
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