sabato 22 agosto 2015

CHI SONO I CASAMONICA, OGGI COLPEVOLI DI UN FUNERALE "REALE"

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Un'eruzione di indignazione per i funerali "reali" di Vittorio Casamonica, il patriarca della famiglia e come tale celebrato dal clan e le sue ramificazioni. A me francamente non mi ha sconvolto.
So, da romano, chi sono i Casamonica e certo non li ammiro. Però non vedo come si possa impedirgli di celebrare un funerale secondo loro usi e costumi, se non ponendo limitazioni di carattere di ordine pubblico. Leggo per esempio che le centinaia di auto convergenti su Don Bosco per la celebrazione abbiano  causato non pochi problemi alla viabilità, e questo non certamente andava evitato. Ma al di là di questo, le altre cose, per me folcloristiche, kitsch, pacchiane anche, come il carro funebre attaccato ai cavalli, i manifesti osannanti, l'elicottero che lancia petali di rosa...che male fanno ?
E' male perché è la celebrazione di un Boss, una sorta di schiaffo allo Stato...Leggo queste cose ma non mi persuadono.
Lo Stato vince le sue sfide, afferma la sua autorità sconfiggendo i fenomeni criminali, catturando, processando e condannando gli autori di reati. Se questo non riesce a farlo, e Vittorio Casamonica era un libero cittadino, mi fa un po' sorridere il biasimo per la rivincita mancata attraverso i divieti di una celebrazione funeraria. 
Di seguito, per i non romani, un bignami dei Casamonica fornito dal Corriere della Sera




Il gruppo dei mille sottovalutato da tutti

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Originari dell’Abruzzo, i Casamonica — nomadi sinti arrivati negli Anni 70 a Roma e protetti dal pregiudizio « So’ zingari, menano... » — nel tempo si sono trasformati in un maxi gruppo criminale da mille affiliati alleato con ‘ndrangheta e camorra. Tra i vari affari malavitosi in cui sono coinvolti, anche l’inchiesta «Mafia Capitale».



Protetti da un pregiudizio. «So’ zingari, menano e fanno casino...», sbuffavano i coatti di batteria nella vecchia Roma criminale. Stupido, come tutti i pregiudizi. Sottovalutati dai boss e da troppi investigatori per quarant’anni, questi cavallari sinti immigrati dall’Abruzzo all’ombra della Magliana, poi alleati con ‘ndrangheta e camorra, sono cresciuti. Sono diventati «I Casamonica», che adesso all’estero suona un po’ come «I Soprano», nell’anno in cui Mafia Capitale ha tagliato le unghie a Massimo Carminati, che tutti controllava, anche loro.
Vittorio, lo «zio Vittorio» che la famiglia ha voluto salutare l’altro ieri con esequie da «re di Roma» scatenando un putiferio mondiale, era il più sveglio, sapeva giocarci con gli stupidi pregiudizi: «Sono uno zingaro, vendo macchine», disse con understatement nel 2004, sospettato di mafiosità dalla Dia: «Macché mafia e mafia! Non nego qualche reato in passato, ma di mafia, usura e droga non voglio neppure sentire parlare». Nella casa da satrapo, i detective di Vittorio Tomasone avevano trovato reperti archeologici rari, quelle chicche che portano i tombaroli e riempiono da sempre le ville dei Casamonica, nella loro enclave alla Romanina, primo fortino con tanto di vedette, tra via Devers e vicolo Barzilai.
Ora, lì davanti, la sua gente dice «la mafia è la politica, non noi»: il ritornello populista ha attecchito persino qui. «Zio Vittorio non era mafioso». «Zio Vittorio» raccontava che suo padre aveva «guadagnato coi cavalli, questi soldi li abbiamo fatti fruttare. Io mi occupo di automobili». Era fissato con le Ferrari: «Ho comprato anche quelle del grande maestro Trovajoli e di Claudio Villa».
A ogni blitz, sequestri di case, macchine, conti. Nel 2013 viene confiscata perfino una discoteca al Testaccio, ventitré ville. Il patrimonio vale cento milioni di euro; mille gli affiliati divisi in 43 famiglie, secondo l’antimafia. Quando dieci anni prima li scoprono, affrancati dagli anni cupi di Enrico Nicoletti, il cassiere della Magliana, i rotocalchi vanno a nozze con le foto di questi zingari rintanati in una piega della periferia romana, tra piscine hollywoodiane e water d’oro zecchino. «Il clan dei nullatenenti», li chiamano, perché nessuno risulta al Fisco, i soldi vengono investiti in Lussemburgo o a Montecarlo, zingari sì ma mica scemi. Invece, ammettiamolo, è un po’ da scemi la sceneggiata dell’altro ieri alla chiesa Don Bosco. Una fonte giura che sono stati loro, i Casamonica, ad avvisare tv e fotografi: l’impatto mediatico era voluto. Perché?
Con Carminati, l’ultimo padrone, spicciano ancora le faccende. Luciano Casamonica prendeva 20 mila euro al mese dal Cecato e dal «compagno Buzzi», gli teneva buoni i nomadi del campo di Castel Romano su cui la gang s’arricchiva. Faceva da «mediatore culturale», Salvatore Buzzi aveva senso dell’ironia: «Questo parla la stessa lingua tua, ve capite... è un grande mediatore, e me lo so’ portato, ah ah ah». Diventerà famoso, Luciano, per una sciaguratissima foto con Alemanno sindaco, una sera alla cooperativa Baobab in cui c’era pure Giuliano Poletti, allora presidente della Lega Coop. Buzzi rampognò il democratico Patané per «l’uso di quella foto». Patané si mise sull’attenti: «Caro Salvatore, io né come consigliere né come segretario del Pd di Roma mi sono mai permesso di fare alcun commento! Sai quanto sono sensibile a questi temi, spero avrai apprezzato». Questa era la Roma pasticciona e trasversale prima che Pignatone passasse con l’aspirapolvere.
In quella Roma, i Casamonica pigliavano ancora i crediti al 50%, sicuri di farseli rimborsare. Non era moral suasion , avevano una famiglia di boxeur: il più celebre è Romolo, campione italiano dei welter, poi arrestato per rapina, estorsione e usura. «Al matrimonio cattolico preferisco quello zingaro, si rapisce la ragazza e poi si sistema tutto: le unioni durano», disse a un’udienza papalina per celebrare un santo zingaro.
Tutto si mischia. L’ibridazione tra le radici slave e la cultura dei malacarne romani produce una creatura nuova, mafia dalle mille teste e dai tanti capi, dove le donne riciclano i soldi, dove è difficile trovare il bandolo. Blitz nel 2003, 2004, 2012, ogni volta dati per finiti, sempre risorti in mille forme, più forti di prima. Mai nessuno li ha capiti. Loro mostrano di avere capito noi. Un pm che li inquisisce ha il vizio delle donne: lo rovinano mettendogli tra le braccia l’amante di uno di loro. La giudice D’Alessandro li inchioda all’associazione a delinquere, che però cade in appello. Forti e invisibili. Ma allora perché uscire allo scoperto? Perché tirarsi addosso tutti gli «sbirri» d’Italia con il funerale-show?
Forse lo spiega in un’intercettazione proprio Carminati, quando si ritrova descritto sull’ Espresso come padrone della città: «Questo sul lavoro nostro so’ pure cose buone… so’ più pronti». Già, si deve sapere chi comanda. Ora comandano loro, i Casamonica? Di certo provocano un sia pur malato effetto marketing, da nuovi boss. L’agenzia funebre ingaggiata per «zio Vittorio» sostiene addirittura che il carro sia lo stesso usato per le esequie di Totò. E la morte sarà pure una livella, ma perdinci qui si esagera.

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