martedì 6 marzo 2012

LE PRIMARIE A PALERMO: ULTIMI DANNI AL PD PRIMA DELLA LORO ABROGAZIONE

Ieri, parlando della dipartita prossima ventura dei partiti maggiori presenti in Parlamento (oggi e sostanzialmente da 20 anni ), il PDL e il PD, avevamo espresso forti perplessità sulle Primarie all'Italiana.
Negli USA la partecipazione a questo istituto da loro inventato non è aperta a chiunque, ma ai soggetti regolarmente iscritti al partito, democratico o repubblicano, e i candidati devono appartenere al partito.
Da noi no. In teoria anche un elettore del centrodestra potrebbe andare a votare per le primarie della sinistra. Ma a parte questo, quello a cui più spesso si sta assistendo è che il partito di maggioranza del centro sinistra finisce regolarmente per perdere questo round essenziale e si torva poi costretto a votare un candidato di minoranza. E quest'ultimo MAI potrebbe essere eletto senza i voti del partito che pure apertamente critica e a cui non lesina smarcamenti e distinguo. Ora, se alle primarie andassero a votare, come negli USA, una gran parte degli elettori aventi diritto, ancora ancora...Ma se come credo che accada, visto che a Palermo sono andati a votare in circa 30.000, che sono tanti ma certo meno di un quinto degli elettori del PD, allora il conto non torna più e il candidato viene scelto non dalla maggioranza ma dalla minoranza più partecipante.
Comunque anche la moda delle primarie, col prossimo ritorno al sistema proporzionale simil prima repubblica (sia pure con qualche correzione utile ) , presto sparirà, visto che è un sistema che ha senso nel maggioritario, dove si affrontano in un testa a testa i soli capolista prescelti.
Sull' argomento, vi lascio alle osservazioni , al solito acute e puntuali, di Angelo PAnebianco, nel suo editoriale odierno del Corsera.
Buona Lettura

FERRANDELLI, VINCITORE DELLE PRIMARIE A PALERMO
DOPO IL CASO PALERMO
Le primarie senza futuro
È ovviamente la scoperta dell'acqua calda: in condizioni di massimo discredito dei partiti politici è probabile che le primarie indette da quegli stessi partiti siano vinte da outsider, da persone che si candidano «contro» i candidati ufficiali, contro i candidati sponsorizzati dai leader nazionali di partito.
Il risultato palermitano delle primarie del centrosinistra conferma il trend: contro la candidata ufficiale, Rita Borsellino, sponsorizzata dalla segreteria nazionale del Pd (oltre che da Di Pietro e Vendola) vince un candidato «centrista» (ex Idv) che ha dietro di sé il sostegno del presidente della Regione, Raffaele Lombardo, e del Pd locale alleato di Lombardo. La sconfitta della Borsellino arriva, come sappiamo, dopo una lunga serie di sconfitte di candidati ufficiali del Pd, da Milano a Napoli a Genova.
Ciascuno di quei risultati si spiega, prima di tutto, alla luce di circostanze locali. Ma ci sono anche ragioni più generali. Discredito dei partiti a parte, giocano in questi risultati anche alcune anomalie, soprattutto la natura «bizzarra» delle primarie all'italiana. In primo luogo, non si tratta di gare ove ciascun candidato possa lottare «alla pari» (almeno in linea di principio) con gli altri candidati. Qui ci sono appunto «candidati ufficiali», sponsorizzati da apparati di partito. Col risultato che se l'apparato gode localmente di prestigio vincerà il candidato ufficiale (il caso di Piero Fassino a Torino) e se invece è screditato vincerà l'outsider. In secondo luogo, si tratta di primarie aperte che si svolgono in un contesto multipartitico, per giunta altamente frammentato. Ma mentre in contesti bipartitici le primarie possono risultare un utile strumento per selezionare gruppi dirigenti, è più difficile che ciò possa accadere in contesti multipartitici frammentati.
Ciò detto, un merito, nella attuale situazione, l'istituzione delle primarie lo ha senz'altro: è uno dei pochi mezzi di collegamento rimasti fra i cittadini e la politica rappresentativa. Esile e distorto, certamente: dietro lo schermo della retorica democratica, può consentire a micro-frazioni di attivisti, non rappresentativi del più ampio elettorato, di condizionare i risultati. Ma in una fase in cui i partiti nazionali sono oscurati dal governo (detto) dei tecnici, le primarie, sia pure solo per la scelta di candidati locali, mantengono una loro utilità.
Non è detto che si tratti di una istituzione destinata a durare. Forse, le primarie sopravvivranno per qualche tempo nelle competizioni locali, cittadine. Non avranno invece alcun futuro nella selezione dei gruppi dirigenti nazionali. Se ci sarà la prevista riforma elettorale in senso proporzionale, se si chiuderà l'epoca delle coalizioni contrapposte che chiedono il voto agli elettori l'una contro l'altra, allora di primarie nazionali non si parlerà mai più. Per una semplice ragione: se i governi si formano in Parlamento dopo le elezioni, allora i gruppi dirigenti dei partiti devono disporre della massima libertà di manovra (massima libertà di contrattare a destra e a manca gli accordi di governo) e nessuno potrà e dovrà disturbare i manovratori. Dunque: niente primarie nazionali.
Sarà un bene o un male? Si vedrà. Di sicuro, però, dopo tante parole spese contro il «Parlamento dei nominati», sarà divertente vedere a quali contorsioni dialettiche dovranno sottoporsi coloro che si sono più impegnati in quella campagna per spiegarci in che cosa il prossimo Parlamento sarà diverso dall'attuale.
RITA BORSELLINO, LA SCONFITTA

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